Remo Branca io l’ho conosciuto nel 1979, all’inizio dell’estate, a Fonni. La nostra amicizia, come avrò modo di raccontare, durerà tutta la vita.
“Il Professore”, come era semplicemente chiamato dai tanti amici, era già molto noto a Fonni, dove da anni trascorreva il periodo estivo. Io ero arrivato nel centro barbaricino a Febbraio del 1979, con l’incarico di aprire ed avviare la nuova filiale del Banco di Sardegna. Non potendo trasferire la famiglia per motivi di lavoro di mia moglie, avevo scelto di vivere in albergo, alloggiando all’Hotel Cualbu, in Viale del Lavoro, dove Lui trascorreva le vacanze. L’albergo, struttura moderna per l’epoca per una zona montana come Fonni, era stato “inventato” dal vulcanico proprietario, Ziu Battista Cualbu, uomo dalle idee avveniristiche, che da pastore si era ritagliato anche il ruolo di albergatore, intuendo che il turismo di montagna avrebbe, anche se lentamente, attecchito anche nelle zone interne.
Il professore, dopo una lunga e avventurosa vita lavorativa, al termine della sua carriera si era stabilito a Roma, ma la nostalgia della sua Sardegna, e della Barbagia in particolare, lo tormentavano a tal punto che, appena poteva, lasciava la capitale per immergersi nuovamente in quell’antico e sotto certi aspetti aspro mondo che aveva amato fin da giovane, quando faceva il praticante legale a Nuoro. Prima di parlarvi di Lui come amico, voglio riepilogare la sua luminosa carriera di uomo e di artista, personaggio che ha dato e continua a dare fama e prestigio alla nostra terra sarda.
Il Prof. Remo Branca nasce a Sassari da famiglia benestante il 4 Maggio del 1897. Compie gli studi nella sua città fino alla laurea in giurisprudenza, che consegue nel 1921. Nonostante la formazione scientifica e giuridica in particolare, c’è in lui un amore sconfinato per l’arte e l’incisione in particolare.
Il primo incontro di Remo Branca con la xilografia avviene nel 1915 sui banchi del Liceo a Sassari. In una mattina di maggio, mentre sfoglia una rivista, vede ed osserva con attenzione alcune stampe di Mario Mossa De Murtas e di Giuseppe Biasi. Per il giovane Remo, allora diciassettenne, questa scoperta è una specie di “rivelazione”, che gli apre le porte di un mondo che non conosce ma che già ama.
Il secondo incontro, quello decisivo, avviene due anni dopo nelle campagne di Ozieri. Il giovane Remo, appena diplomato, è ospite di una famiglia ozierese, a pranzo in una tenuta di campagna. Tra le chiacchiere di un dopopranzo riposante, prova curiosamente ad incidere delle figure su di un legno che però ben presto si bagnò del suo sangue. Remo, ancora inesperto, non aveva grande dimestichezza con le lame affilate, ed il coltello che un pastore di Dorgali gli aveva prestato si chiuse inaspettatamente nella sua mano, producendogli una profonda ferita nel pollice, che gli lasciò un’indelebile cicatrice. E’ il caso, a volte, a segnare il destino degli uomini! E questo, forse, fu un segno del destino, perché il legame di Branca con l’arte dell’incisione su legno si cementò proprio con questo “patto di sangue”, durando poi per tutta la vita.
Autodidatta in arte, il giovane Branca esordisce nel 1918-19 come illustratore sul “Giornalino della Domenica” e sulla “Rivista Sarda”. In veste di xilografo partecipa poi, a partire dalla fine degli anni Venti, a diverse esposizioni nazionali e internazionali di incisione, assumendo in seguito il ruolo importante di “guida” del cosiddetto gruppo sardo degli xilografi.
Terminato il liceo il giovane Branca si iscrive all’Università in Giurisprudenza, nell’intento di dedicarsi all’attività forense, laureandosi nel 1921. Quell’idea iniziale di vivere nelle aule giudiziarie, però, non dura a lungo. Più che i codici nella sua mente trovano maggiore spazio le figure, le incisioni; il pensiero di dedicarsi all’arte è non solo più forte ma maggiormente coinvolgente. Nella sua mente, che manca ancora di chiarezza circa il suo avvenire, è però presente, forte come una roccia, lo spirito di libertà che cerca di esprimere in tutti i modi, facendo anche il giornalista.
L’Italia viveva in quegli anni l’avvento al potere del Regime Fascista. Il suo forte spirito libertario era profondamente critico nel confronti di questo regime e, da intellettuale, cercò di combatterlo attraverso il giornale “Libertà”, di cui era giornalista e direttore. Le ire del regime non tardarono ad arrivare. Per sfuggire ai rigori della repressione lasciò Sassari, trasferendosi nel 1925 ad Iglesias. Il suo soggiorno iglesiente durerà circa un decennio, fino al 1936. In quegli anni cercò di concretizzare il suo sogno: realizzarsi nell’arte. Nel Liceo scientifico di Iglesias, dove prima insegnò e che successivamente diresse, istituì nel 1926 una scuola d'arte decorativa unica in Sardegna, dove la xilografia ebbe un ruolo fondamentale, e che contribuì alla formazione di numerosi ed affermati xilografi.
Remo Branca in quegli anni era già noto anche fuori dall’Isola. Le opere del Professore avevano già varcato il Tirreno e iniziavano a farsi strada anche in Italia. Nel 1922, anno della Esposizione d'Arte Sardo-Piemontese presieduta da Leonardo Bistolfi, alcune sue opere ebbero premi e riconoscimenti; Remo Branca da allora registrò all'attivo numerosissime mostre personali e collettive. Sue incisioni xilografiche in “Xilografia”, vennero presentate a Faenza nel 1925, mentre le illustrazioni della sua opera “San Francesco d’Assisi” (del 1926) furono esposte alla Mostra Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma. Altre sue opere andarono in mostra a Sassari nel 1926, e successivamente in varie altre parti della penisola. Nel 1935 per una xilografia fu premiato con la medaglia d'oro al Concorso della Regina.
Ormai l’obiettivo iniziale di dedicarsi alla carriera forense sembrava tramontato del tutto. Nel 1927 conseguì a Firenze il Diploma della Scuola di Belle Arti, a cui poi aggiunse la laurea in Lettere nel 1936. I titoli conseguiti gli consentirono di svolgere l’attività di docente di Storia, Filosofia, Economia, Geografia, e successivamente di Disegno e storia dell’arte presso il Liceo Scientifico Giorgio Asproni di Iglesias, chiamatovi dal preside Agostino Saba, al quale subentrò nella direzione dell’Istituto dopo un breve periodo in cui la presidenza fu assunta dal professor Emilio Alfieri.
Ormai era uno Xilografo e pittore di fama nazionale ed internazionale, giornalista, scrittore, critico d’arte, profondo conoscitore e scrittore di argomenti storici, pedagogici e didattici. Dopo il periodo iglesiente, operò a Nuoro, a Novara, sempre come insegnante, e poi a Roma, dove si stabili dopo il lungo peregrinare, e dove visse per oltre 40 anni, pur mantenendo stretti contatti con la Sardegna, delle cui vicende culturali, storiche, artistiche, umane era profondo conoscitore e scrittore. Gli anni trascorsi a Nuoro furono particolarmente importanti per fargli conoscere a fondo ed amare quella Barbagia che scoprì nella sua “vera essenza”, facendo negli anni giovanili l’uditore giudiziario a Nuoro dove seguì da vicino i grandi processi che riguardavano il mondo agro-pastorale dell’epoca: le grandi faide di Orgosolo, Mamoiada, Fonni, Orune e cosi via, dove la “disamistade” e l’applicazione del “Codice Barbaricino”, governavano ben più del Codice dello Stato Italiano.
Nel secondo dopoguerra, a Roma, si dedica alia cinematografia didattica e fonda la rivista “A passo ridotto”. Il giornalismo e la comunicazione lo affascinano sempre di più. Nel 1968 fonda una rivista nuova: “Frontiera”. L’esperienza maturata nel campo della cinematografia didattica e documentaristica lo portano a lavorare a lungo per il Ministero della Pubblica Istruzione; utilizzò anche le sue profonde conoscenze storiche per lavorare, da assistente, all’Università di Roma nella cattedra di Storia Medievale e Moderna.
Innumerevoli le sue pubblicazioni che affrontano temi diversissimi. Tra le molte opere ricordiamo, in particolare, i tre volumi fondamentali per la conoscenza dell’arte incisoria, sarda, italiana ed europea: “la Xilografia in Sardegna”, “ Breviario di xilografia”, “Incisori sardi”. La vasta produzione spazia dagli studi su Grazia Deledda, ai problemi sociali, che mettono a fuoco soprattutto l’aspro mondo barbaricino. Tra i più importanti: “Sardegna Segreta”, “Medioevo a Orgosolo”, “Raffaello”, “La vita nell’arte di Francesco Ciusa”, “Frate Silenzio”, “Giorni di Roma- 1942-44”, “Una gioventù bruciata”, “Il Crocefisso di Oristano”, “Fra Ignazio da Laconi” ed altri.
Remo Branca fu un uomo che prima di ogni altra cosa non rinunciò mai ad essere libero. Uomo di vasta cultura, oltre che artista poliedrico ed eclettico, rimase sempre fedele ai suoi ideali anche a costo di rinunce e sacrifici. Costretto all’esilio, trasformò l’abbandono, la fuga da Sassari, in forte “nuova occasione” per realizzarsi, cercando e trovando un rinnovato modo di scoprire altri mondi ed altre realtà. Un uomo solare, positivo, mai domo, geloso ed orgoglioso della sua libertà. Oggi le sue opere sono gelosamente conservate non solo in Sardegna (io ho il privilegio di averne diverse, tutte “dedicate” , a me o a mia moglie) ma in diverse parti del mondo: dal British Museum di Londra ad Atene; in Germania il più grande repertorio mondiale sugli artisti gli ha recentemente dedicato “un capitolo”, riepilogando la sua grande opera di incisore, pittore, letterato e cineasta, onorando cosi, con Lui, tutta la Sardegna.
Si dice, da sempre, “Nemo profeta in patria”. Credo che Sassari avrebbe potuto tributargli ben altri onori e riconoscimenti. Lo ha fatto, invece, a nome di tutta l’Isola, Iglesias, la città del suo “esilio”, dedicandogli nel 1997 il Liceo Artistico. Oggi ad Iglesias in suo onore è operante l’Associazione Remo Branca”, di cui è presidente onorario il figlio, Prof. Francesco Paolo. L’associazione, nata il 6 maggio 2008 con l'obiettivo di ridare vita all'arte xilografica avviata a Iglesias nel 1926 da Remo Branca, ha ora lo scopo di valorizzare il patrimonio culturale e artistico lasciato dall’illustre artista, il cui passaggio nella città di Iglesias ha lasciato una impronta indelebile nel campo dell'arte e della cultura. La famiglia Branca ha donato al Comune di Iglesias ed all’Associazione numerose opere dell’illustre artista.
Credo che Remo Branca, attraverso l’associazione che porta il suo nome, continuerà “ A VIVERE”, ad essere un grande punto di riferimento per l’arte: Il suo nome e le sue opere vivranno in eterno.
Cari amici, dopo aver riepilogato sinteticamente l’uomo e le sue meravigliose opere voglio ora parlarvi dell’AMICO, Remo Branca.
Come ho accennato aprendo questa riflessione con Voi, io l’ho conosciuto nella primavera del 1979. Frequentando lo stesso albergo, in periodi di non troppo affluenza di clienti, è facile fare la conoscenza degli ospiti. A pranzo ed all’ora di cena ci si siede, se non allo stesso tavolo, al tavolo vicino. Il padrone di casa, Ziu Battista, persona forgiata dal tempo e dalle non poche difficoltà di una vita di campagna, era un grande anfitrione e amava intrattenere gli ospiti dell’albergo, quella “sua creatura”, nata da una “pazza idea”, in tempi che pensare ad un albergo turistico a Fonni era davvero una scommessa.
Fu Lui a presentarmelo e in poco tempo diventammo amici. Il professore nel 1979 aveva già i suoi 82 anni ma non li dimostrava proprio! Si muoveva velocemente a piedi, in campagna, anche in zone ripide che provavano le gambe di soggetti ben più giovani. Adorava i colori della campagna sarda dell’inizio dell’estate. In particolare quel giallo dorato dell’erba che ingialliva sotto il sole e che, agli inizi del tramonto assumeva una particolare sfumatura che lui chiamava “Giallo Branca”. Sia di mattina che a mezza sera era solito girovagare per le campagne in cerca del “paesaggio giusto” che lo colpisse: querce millenarie, terreni variegati con pietre a lungo scolpite dal vento e dalle intemperie, nuraghi, dumus de janas e tombe di giganti.
Pochi giorni dopo la nostra conoscenza eravamo già ‘in sintonia’. Lui apprezzava il mio modo di fare, io il suo estro, la sua cultura e le sue capacità artistiche. Un giorno mi chiese (era un pomeriggio ed io ero appena rientrato dal lavoro verso le 17,00) se potevo accompagnarlo in una località, sulla strada che conduceva a Nuoro, per dipingere una grande quercia millenaria. Detto fatto. Arrivati sul luogo prescelto cercò con calma una posizione che gli consentisse di trovare la giusta luce e l’inquadramento migliore. Io lo osservavo senza profferire parola. Era la prima volta che assistevo ad una operazione di questo tipo. Aperto un piccolo sgabello e un tavolino portatile iniziò a sistemare colori, tavolozza, bottigliette, stracci e cosi via. Dopo un po’ sistemò sul cavalletto ll supporto di compensato (dipingeva quasi esclusivamente, in quel periodo, su compensato di legno) e, dopo non pochi piccoli spostamenti, iniziò l’opera pittorica.
Prima dei colori usava un carboncino, con cui abbozzava la scena da dipingere. Le sue mani correvano veloci sulla superficie che si preparava a prendere forma. Disegnava e correggeva, cancellando il carboncino con il dorso della mano, fino a che si riteneva soddisfatto. Lavorava con una concentrazione che affascinava. Io lo osservavo, immobile a pochi passi da Lui. Presa la tavolozza ne copriva, in vari punti, la superficie con tanti colori: bianco, rosso, verde, giallo ed altri, che spremeva con forza dai contenitori. Afferrati poi tre o quattro pennelli di varia grandezza iniziava a creare i “suoi colori” che ricavava, mischiandoli, con maestria. Sulla “traccia” creata prima a carboncino lavorava con una velocità impressionante. Lo sfondo con i monti, gli alberi, la grande quercia, l’erba secca intorno, tutto “cresceva” nel dipinto come se l’opera uscisse dalli mani di un mago. Lavorava il colore con quella capacità che solo pochi anno: le sfumature erano praticamente infinite: i mille colori delle nuvole, l’incredibile varietà del marron e del verde degli alberi, il giallo oro dell’erba, lo scuro delle pietre e dei muretti, il bianco sporco degli animali al pascolo.
Se l’opera realizzata aveva raggiunto la sua soddisfazione lo vedevo subito dal suo comportamento e dal sorriso che incorniciava il suo volto. Un paio d’ore erano normalmente sufficienti per un quadro di piccole dimensioni. A lavoro finito lo aiutavo a raccogliere tutta l’attrezzatura e per l’ora di cena si rientrava in albergo. Nei mesi di Luglio e Agosto veniva raggiunto dalla moglie Lucia ed anche io portavo mia moglie Giovanna a Fonni, per un riposante soggiorno estivo. L’amicizia “allargata” tra la mia famiglia e la Sua, fu particolarmente interessante perché mia moglie già dipingeva, anche se a livello dilettantistico. Fu l’occasione per ideare ed avviare, a Fonni, una piccola scuola di pittura che entusiasmò diversi giovani locali: oltre mia moglie furono suoi allievi Elisabetta Falconi ed i fratelli Rita e Tonino Soddu -Pirellas, quest’ultimo oggi artista affermato.
Nei tre anni della mia permanenza a Fonni la nostra amicizia si consolidò. Sapendo che apprezzavo molto i suoi lavori me ne donò alcuni, altri li comprai. Tutti sono dedicati, con affetto, a me o a Giovanna, mia moglie. Volle anche farci posare per due piccoli ritratti ad olio che, con l’affettuosa dedica, conserviamo con grande gioia. Anche dopo il mio trasferimento ed il rientro ad Oristano la nostra amicizia non perse spessore. D’estate andavo a trovarlo a Fonni e Lui ricambiava, a fine estate, accettando di trascorrere qualche giorno a casa mia a Norbello.
Ci frequentammo ancora per alcuni anni, poi, per problemi di salute, smise di venire in Sardegna d’estate. Gli acciacchi della vecchiaia se lo portarono via proprio in uno dei mesi a Lui più cari: Luglio. Si spense a Roma il 26 Luglio del 1988, sicuramente attraversando quel ‘tunnel di luce’ che lo trasportava in Sardegna, sua patria d’origine, ed in particolare in quella Barbagia dove le luci i colori e le sfumature sono impregnate di quel particolare “Giallo Branca” che Lui ha cosi ben evidenziato in tante sue opere!
Perdere un amico è sempre una grande tristezza. Io, però, rivedo tutti i giorni alle pareti le sue opere: posso dire che l’amico Remo è sempre ancora con me!
Grazie a tutti Voi dell’attenzione.
Mario
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