Oristano
10 Maggio 2016
Cari amici,
Domenica 8 Maggio, accogliendo
l'invito di Don Italo Schirra, la Delegazione di Oristano dell'Ordine Equestre del S.S. di Gerusalemme, guidata dalla responsabile
Dama Angela Loi, ha trascorso una gran bella giornata
di fraterna amicizia nell’amena località di San Serafino, rinomato novenario
posto in territorio di Ghilarza. Qui Don Italo, che oltre che cavaliere
ecclesiastico dell’Ordine è Assistente
Spirituale della Delegazione di cui faccio parte, ci ha ricevuti nel “Muristene” della
sua famiglia, ha accolto noi e i nostri familiari con grande gioia, felice
della nostra presenza. Con Lui abbiamo trascorso una giornata davvero speciale,
proprio indimenticabile! Poiché, però, sono sicuro che molti di Voi che quotidianamente mi
leggete non conoscono questo magnifico ed antico luogo, voglio renderlo
noto, riportando, per quanto in modo sintetico, la storia di questo luogo.
Che la Sardegna sia
ricca di antichissimi insediamenti abitativi e venerati luoghi di culto è cosa
nota. Li troviamo in molte località oggi poco abitate, ma in passato certamente
centri molto più vivaci e operosi. Uno di questi è certamente quello ubicato
nella campagne di Ghilarza, denominato “Novenario di San Serafino”, anche se la
chiesa è dedicata a San Raffaele Arcangelo.
Posto sulle pendici
dell’altopiano “Perda e Pranu”, quasi a ridosso di un’ansa dell’attuale lago
Omodeo, questo novenario con al centro la Chiesa, è sorto sicuramente su resti
di probabile origine nuragica. Il posizionamento a ridosso di un fiume
importante (l’attuale ansa del lago era in precedenza un fiume) e la presenza
di numerosi betili e resti di capanne nuragiche lo testimoniano. La felice
posizione del luogo, che risulta protetto e riparato dai venti freddi, oltre la
vicinanza di un corso d'acqua perenne, che ha consentito lo sviluppo di una
ricca vegetazione che ancora oggi appare lussureggiante, hanno sicuramente
favorito l’insediamento umano.
Scoperte recenti hanno
evidenziato una sicura costruzione romana, presumibilmente del secolo VII d.C.
(numerosi sono stati gli elementi ceramici rinvenuti e riconducibili al periodo
romano tardo-imperiale), sulla quale venne successivamente edificata una chiesa
bizantina. Una costruzione romana a San Serafino risultava in sintonia con
quanto già scoperto in località vicine, dove furono rinvenute testimonianze di
vita riferibili a tale periodo. Tra esse, due iscrizioni ritrovate a “Sa
Manenzia”, una nel 1885, l’altra nel 1887. Queste furono messe in relazione con
la strada che da Karalis andava a Turris Libyssonis, la più importante arteria
romana che, passando per Fordongianus si dirigeva verso Abbasanta attraversando
proprio le campagne di S. Serafino.
Le vie romane di allora
erano intervallate da particolari strutture, dette “Mansiones”, che oggi noi
chiameremo stazioni di servizio, nelle quali trovavano riparo e ristoro i
viandanti e i cavalli che trainavano i carri; queste postazioni diventavano
anche mercati di scambio (vi confluivano, infatti, dalle campagne i contadini),
dove venivano commercializzati i prodotti della terra. Con molta probabilità a
“Sa Manenzia” vi era appunto una di queste Mansiones.
Poco e niente,
comunque, rimane di questo antico impianto se non l’intitolazione a San
Serafino, Santo del calendario greco, che attesterebbe la presenza di monaci
orientali nel Novenario, attivi in Sardegna fin dal VI secolo d.C., i quali,
oltre al culto dei loro santi, portarono nei conventi dell’Isola usi, costumi e
pratiche agrarie, che costituirono nell'Alto Medioevo una forte connotazione
culturale.
In epoca giudicale (XIV
secolo), la chiesa bizantina fu ricostruita e ampliata, fino a raggiungere la
forma che è giunta fino a noi, anche se con diverse modifiche: un ambiente di pianta
rettangolare ricoperto con tetto ligneo su capriate e abside semicircolare.
Storicamente risulta che agli inizi del XVII secolo la chiesa si trovò totale
abbandono: in grandissima parte spoglia, senza neanche un cassettone di legno
dove custodire gli arredi sacri. Anche la stabilità dell’edificio risultava in
pericolo: con il tetto malconcio, le infiltrazioni d’acqua, tanto che vennero effettuati lavori di consolidamento negli anni
1603, 1659 e 1663. La chiesa, pur con vari interventi e di restauro, conservò
il suo aspetto medioevale fino al 1884 quando furono costruite due cappelle
laterali, diventando così a croce latina.
Anche i “muristenes”
intorno alla chiesa lentamente scomparvero: nel 1657 ne sopravviveva solo uno!
Successivamente, sia nel Settecento che nell’Ottocento, si riprese però a
costruirli: nel 1882 le casette erano già 44 di cui 17 appartenenti alla chiesa
e 27 a privati, tutte costruite intorno all’edificio sacro e lungo una delle
strade poste più in alto. Oggi attorno al Novenario si contano oltre Cento
"muristenes" dove, in occasione della festa (ma anche per dei periodi
di riposo estivo) soggiornano i novenanti. La festa di San Raffaele Arcangelo è
celebrata il 24 Ottobre, con una processione svolta all'interno del Novenario,
seguita dalla messa solenne. Il simulacro è portato nel novenario dalla chiesa
di Ghilarza il terzo giovedì del mese di Ottobre, dove viene riportato dieci
giorni dopo. Oltre alla tradizionale novena il Sabato avviene il rito del giro
delle cumbessias, con la statua che fa il giro delle “visite” alle dimore dei
novenanti.
Nella chiesa del periodo giudicale
permangono alcuni interessanti elementi decorativi esterni. Nella facciata sono
evidenti sia la decorazione a foglie lobate della porta d’ingresso che
un’apertura a forma di croce; sopra il portale, si notano scolpiti l’albero dei
giudici d’Arborea (deradicato ma senza le barre, eliminate da Mariano IV dopo
la rottura dei rapporti con gli aragonesi) e una formella con l’Agnus Dei in cui
è rappresentato l’agnello che porta una croce imbandierata sulle spalle e calca
il piede sopra il demonio, che sta per terra, volgendo lo sguardo verso il
serafino con le ali dispiegate. Sull’architrave della porta laterale posta a
Nord (oggi murata), invece, vi è scolpita un'iconografia in bassorilievo che
raffigura al centro il Serafino a sei ali, benedicente, che tiene in mano una
foglia di vite e sotto il braccio un rotolo, forse il Codice Rurale; alla sua
sinistra il giudice Mariano IV e dietro di lui la moglie Timbora de Roccabertì,
riconoscibili entrambi dall’abbigliamento regale; le due figure poste sulla destra
sono quelle di un vescovo e di un presbitero. La raffigurazione ricorda
probabilmente la promulgazione della Legge Agraria da parte dello stesso
giudice.
Cari amici, con Italo a
fare da cicerone, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere meglio San Serafino e
la sua lunga storia, che evidenzia la presenza dell’uomo su quel sito prima in
epoca nuragica, poi romana e successivamente giudicale; abbiamo visitato
l’interno la chiesa, rivissuto il suo percorso storico, unitamente a quello dei muristenes dislocati intorno, e messi al corrente anche della recente
scoperta nel sito di un antico insediamento nuragico con pozzo sacro e resti di
capanne votive.
In conclusione, è stata
proprio una bella gita! La felicissima posizione di questo luogo è oggi meta
ambita di molti Ghilarzesi (e non solo) che lo utilizzano anche per
soggiornarvi d’estate e trascorrervi giornate serene e riposanti. Noi, nel
grazioso “muristene” della famiglia del nostro carissimo Don Italo siamo stati
divinamente, in letizia, consumando un'agape fraterna! Persone straordinarie come Lui, cari amici, riescono a darci la
vera dimensione e positiva vocazione dell’uomo: quella di cercare di essere sempre degni
figli di Dio e interpreti del Suo grande disegno: popolare e vivere in pace
sulla terra, rispettandone i Suoi insegnamenti.
Grazie, amici, a
domani.
Mario
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