Oristano
15 Febbraio 2016
Cari amici,
Personalmente l’ho
sempre sostenuto: non c’è futuro senza un legame con il passato. In natura, lo
sappiamo, solo un albero con ampie e profonde radici può avere vita lunga e continuare
a dare nel tempo fiori e frutti copiosi. Questa continuità si tocca con mano anche
nell’evoluzione costante in tutti i campi inerenti la vita dell’uomo; nella continua ricerca della perfezione, nella sperimentazione di nuovi processi e di nuovi
prodotti, il nuovo ha (o dovrebbe avere) sempre un riferimento al passato, di
cui il nuovo, sotto certi aspetti, è figlio.
Certo, questo non vuol
dire che determinati prodotti o processi applicati non subiscano nel tempo
cambiamenti anche epocali, ma certamente il nuovo che ne deriva sarà sempre
frutto anche delle esperienze del passato. Ho fatto questa premessa, oggi, per
parlarvi della riscoperta di un antico condimento: l’AGRESTO. Forse molti di Voi non conoscono neppure questo
prodotto, che invece in passato ha avuto momenti di grande splendore. Vediamo insieme
cos’era e cos’è, cercando anche i motivi della sua riscoperta.
L’agresto (Il nome
deriva dal latino "Agrestus") è un condimento che si ricava dalla
spremitura dell’uva immatura (ne esiste anche una particolare varietà chiamata
proprio agresto o agresta); il succo di quest’uva, impossibile da bere, veniva
usato in cucina come ingrediente acidulo per insaporire molti cibi (anche al
posto dei limoni), spesso anche per nascondere alcuni odori scarsamente
gradevoli della carne e ancor più del pesce, se mal conservati. Oltre che per
sue proprietà gastronomiche questo condimento, già conosciuto ai tempi dei
romani (gli antichi romani ricavavano l’Agreste dall'uva di secondo fiore,
quella che matura in Novembre), era apprezzato anche per le sue proprietà
medicamentose, ben decantate da Dioscoride, o addirittura magiche. Si riteneva,
per esempio, che servisse per far partorire le mucche o che addirittura agevolasse
l’innamoramento tra un pretendente e la donna amata. Forse, però, l’utilizzo di
un prodotto come l’agresto in quegli anni così bui, era maturato nella logica
che nulla poteva essere buttato via ma recuperato.
Successivamente questo succo
d’uva trovò ampio spazio nella cucina medioevale, come si può rilevare da
numerose testimonianze scritte in cui si descrive il suo uso in cucina e anche il
sistema di preparazione; lo storico dell’alimentazione J.L Flandrier, ha
calcolato che l’agresto era presente nel 42% delle ricette riportate nel
celebre trattato di cucina medioevale Viandier de Taillevent. Nei testi di
cucina del sedicesimo e diciassettesimo secolo (fra i più importanti ‘cantori’
de questo condimento si ricordano Bartolomeo Stefani, cuoco della famiglia
Gonzaga di Mantova, Cristoforo di Messisburgo, cuoco presso il Cardinale di
Ferrara degli Estensi e Vittorio Lancelotti, cuoco presso il camerlengo di
Santa Chiesa in Roma), l’agresto è osannato e decantato.
In Toscana, dove il
condimento si affermò maggiormente, il condimento divenne un prodotto
assolutamente unico e privilegiato, anche se col tempo, nell’era moderna, lentamente
uscì quasi di scena, sostituito da altri prodotti più adatti al ‘fast lunch’. Questo
condimento tipico toscano, però, recentemente ha avuto la fortuna di essere
stato riscoperto.
A svelare ai meno esperti le origini e gli usi di questo
condimento ci ha provato il libro
“Agresto. Un condimento ritrovato” (C&P Adver Effigi, 2015) curato da
Giancarlo Scalabrelli, docente dell’Università di Pisa, e da Aurelio Visconti.
A partire da diversi
vitigni presenti nell’Amiata, oltre che dal Sangiovese, i ricercatori hanno
ottenuto vari tipi di agresto da uve da agricoltura biologica, realizzando un
condimento con proprietà antiossidanti, un elevato contenuto di acidi organici
e catechine, privo di conservanti e senza alcool, dato che la sua produzione
non richiede alcuna fermentazione. Alla base della sua preparazione c’è una
particolare lavorazione dell’uva. L’agresto si ottiene dopo la concentrazione a
caldo e l’eventuale aggiunta di erbe e spezie. Accanto a storia e ricette, il
volume illustra i risultati dell’attività sperimentale nata dalla
collaborazione tra il dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e
Agro-Ambientali dell’Ateneo pisano e la ditta Lombardi e Visconti di Abbadia
San Salvatore.
“Pur esistendo
un’antica ricetta, il nostro obiettivo era di ottenere un agresto peculiare, da
utilizzare come ingrediente per i piatti tipici del territorio – spiegano
gli autori del volume - in modo da soddisfare una nicchia di
consumatori che gradiscono un condimento genuino, ottenuto con metodi naturali,
e di gusto facilmente riconoscibile. L’agresto viene attualmente
commercializzato in piccole quantità, ma essendo particolarmente richiesto
dalla ristorazione toscana, è probabile che in futuro il suo utilizzo possa
espandersi”.
Cari amici, tornando
alle mie considerazioni iniziali, plaudo a questa ri-scoperta. Sono certo che,
come è già avvenuto per molti altri ritorni
al passato (seppur in chiave moderna) anche l’agresto possa, anzi debba,
riprendersi il suo palcoscenico culinario. Per la Vostra curiosità ecco una
piccola ricetta che potrebbe farvelo non solo conoscere ma anche…apprezzare!
SALSA
DI AGRESTO.
INGREDIENTI:
400 grammi di uva bianca acerba, i gherigli di 6 noci fresche, 50 grammi di
mollica di pane, prezzemolo, una cipolla piccola, uno spicchio d’aglio, un
cucchiaino di zucchero, un bicchierino di aceto di vino bianco, 2-3 capperi
dissalati, 2 acciughe dissalate e deliscate, sale e pepe q b.
ISTRUZIONI
DI PREPARAZIONE.
Mondate e lavate l’uva,
staccatene gli acini e spremeteli eliminando i vinaccioli; raccogliete il succo
ricavato in un mixer, aggiungete il prezzemolo e la cipolla, la mollica del
pane, l'aglio, lo zucchero, le noci, i capperi e le acciughe. Quando tutto sarà
ben miscelato uniformemente ponete il composto in una casseruola con l'olio e
fate scaldare senza far bollire (girando continuamente), aggiungendo poi l'aceto
e spegnendo la fiamma. Se il composto risultasse troppo denso, diluitelo con una piccola
aggiunta di olio e/o aceto.
Trasferite ora la
preparazione in una salsiera, decorando a piacere con qualche gheriglio di noce
e foglie di prezzemolo e servendo come accompagnamento alle carni. Questa antica
salsa, pur partendo dall’antica ricetta, è stata opportunamente adeguata ai
tempi nostri, anche se non troppo. Chi la prova la troverà certamente ottima
sui bolliti, come condimento di insalate verdi in foglia o per la carne alla
tartara, anche se uno degli utilizzi più sfiziosi è quello di insaporire, in
modo eccellente, la zuppa di cipolle. Buon appetito!
Ciao, a domani.
Mario
Nessun commento:
Posta un commento