Oristano
23 Febbraio 2016
Cari amici,
non so quanti di Voi
sappiano che in questa legislatura fino ad oggi oltre 300, tra deputati e
senatori, hanno “cambiato casacca”, ovvero hanno lasciato lo schieramento in
cui erano stati eletti per confluire in un’altra formazione politica. La
pattuglia, in effetti, risulta alquanto numerosa, quantitativamente mai vista prima! Non,
quindi, uno sparuto gruppetto di eletti non più in sintonia con il gruppo
elettorale di partenza, ma una vera e propria “legione straniera”, una specie
di grosso gregge in transumanza. Si,
questo Parlamento in carica è riuscito a battere tutti i record del passato,
con una media di 10 deputati e senatori al mese, contro i 4 per mese della
scorsa legislatura.
Questi dati sono stati
diffusi da OpenPolis, (l'associazione
di promozione sociale che si occupa di accesso ai dati pubblici promuovendo
progetti e piattaforme web volte alla partecipazione democratica dei cittadini
e al confronto con la classe politica), e hanno meravigliato non poco. Per
quanto possa apparire scandaloso, però, il fenomeno non è certo nuovo: la piaga
del trasformismo e dei voltagabbana ha sempre imperversato nelle pieghe della
politica. A leggere i fatti del passato, questo trsformismo fece
storia tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, riesplodendo
successivamente alla metà degli anni Novanta, dopo il tramonto della prima
Repubblica e l'introduzione del sistema maggioritario. Il fenomeno, lungi
dal diminuire col passare del tempo, sta assumendo proporzioni sempre più
importanti, come appunto rilevato da OpenPolis.
In realtà, quando un
brutto fenomeno anziché diminuire aumenta, sorge spontaneo il desiderio di trovare
soluzioni risolventi, anche drastiche. Le proporzioni attuali del fenomeno, che
alcuni considerano allarmanti, spingono molti a proporre misure draconiane per
cercare di arginarlo. Alcuni partiti ricorrono alle multe, come il Movimento 5
stelle, altri arrivano addirittura a sollecitare il ripristino del “mandato vincolato”
ai parlamentari. Il vincolo di mandato (o mandato
imperativo), voglio ricordarlo, vigeva in Europa prima della Rivoluzione
francese. Era infatti pratica comune nelle assemblee rappresentative dell’Ancien Régime (ad esempio i famosi
Stati generali francesi). Secondo il diritto costituzionale, esso consiste
nell’instaurazione di un rapporto esclusivo tra l’eletto e la specifica fazione
che l’aveva votato e che, in ogni momento, poteva revocargli il mandato,
qualora questi non realizzasse gli obiettivi per i quali l’aveva ricevuto.
Il divieto di mandato
imperativo è oggi presente in quasi tutte le democrazie rappresentative. Nella
Costituzione francese (articolo 27, comma 1), in Germania (articolo 38, comma 1
della Legge Fondamentale), nella Costituzione spagnola (articolo 67, comma 2) e
così via. Il mandato imperativo è rimasto in quattro Paesi: Portogallo,
Bangladesh, India e Panama; come ha spiegato anche il Sole 24 Ore, in
Portogallo, ad esempio, chi lascia il suo gruppo in Parlamento cessa di essere
parlamentare. Negli altri Paesi, il parlamentare perde il seggio se ci si dimette
dal gruppo parlamentare e/o si vota in modo diverso dalle indicazioni del partito in cui si era stati eletti.
La nostra Costituzione
prevede espressamente il divieto del
mandato imperativo (art.67 della Cost.), chiarendo espressamente l’esistenza
della “libertà di mandato”. Durante i lavori dell’Assemblea Costituente, tra il
1946 e il 1947, la questione del libero mandato venne discussa ampiamente. Uno
dei relatori, il giurista Costantino Mortati, disse: «Sottrarre il deputato alla
rappresentanza di interessi particolari significa che esso non rappresenta il
suo partito o la sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme». Questo principio fu
poi adottato a maggioranza: ed è oggi ben espresso proprio nell'art. 67 della Costituzione, entrata in vigore nel 1948.
Proprio per questo
principio, il parlamentare, una volta eletto dal gruppo di cittadini che lo ha
votato, non agisce quale loro mandatario, ma è libero di compiere le scelte
politiche che ritiene più opportune. Ciò significa che egli non può essere
chiamato a rispondere civilmente delle proprie decisioni, anche se in contrasto col suo 'gruppo', ma sicuramente si può affermare che politicamente “si gioca la rielezione”, in quanto difficilmente chi lo
aveva votato lo rieleggerà. In passato, tra i metodi usati dai partiti per
garantire il rispetto della linea politica da parte dell’eletto vi erano le
dimissioni con data in bianco (da firmare all'atto di adesione al partito) e la
deposizione anticipata del mandato (cioè l'abbandono della carica su semplice
richiesta del partito). Ora, però, i tempi sono cambiati.
Cari amici, via sempre più libera, dunque, ai cambi di
casacca, che, come detto prima, hanno interessato praticamente tutto l'arco
costituzionale. Il rimedio, a mio avviso, non sta tanto nel proporre di tornare
al passato cercando di ripristinare il ‘mandato imperativo’, ma in quello di
scegliere, come nostri “rappresentanti nelle Istituzioni”, persone serie, con reale e
concreta competenza. È la “libera saggezza” degli eletti, fatta di serietà,
etica, competenza, disponibilità e rispetto per gli elettori, che stabilisce
quel forte ‘vincolo morale’ che è certamente ben più valido del vincolo
giuridico.
Grazie amici, a domani.
Mario
Nessun commento:
Posta un commento