Oristano 27 Febbraio 2016
Cari amici,
Che la disoccupazione
sia uno dei problemi principali delle economie moderne è un dato di fatto: nell’Area
Euro, quella in cui siamo immersi, essa si attesta intorno all’11%, con
variazioni però molto variegate, alquanto disomogenee. La Germania per esempio
vanta un tasso di inoccupati del 4,5%, in Francia i disoccupati sono il 10,9% e
in Italia poco meno del 12% (11,9%), confortati però dal dato della Spagna che
addirittura tocca punte del 22,3%.
Le analisi sul fenomeno
certo non mancano: il dato più interessante però non è solo la carenza di posti
di lavoro da occupare, ma il fatto che spesso mancano sul mercato determinate
“competenze professionali”, ovvero che scarseggiano determinate figure che le
Aziende cercano ma non trovano. In parole povere abbondano i lavoratori con qualifiche che
poco servono e mancano quelli che, invece, sono in possesso di Competenze particolari, quelle così dette Digitali, la cui carenza è ormai abbastanza nota. Questo divario
tecnologico, tecnicamente definito con un termine inglese skill mismatch, è un ostacolo assolutamente da superare, se si vuole più facilmente incrociare domanda e offerta di lavoro.
Da anni gli economisti
studiano il fenomeno della disoccupazione che, pur con i molteplici tentativi
fatti, non accenna a diminuire. Tra le cause più accreditate figurano la
rigidità del nostro mercato, a partire dai salari, più elevati rispetto a
quelli dei Paesi emergenti, dove risulta più conveniente produrre; ma a questo
‘macigno’ del costo si aggiunge anche, come prima accennato, il fenomeno dello skill
mismatch. Trascurato per un lungo periodo questo "moderno possesso di competenza tecnologica" sembra ora essere pervenuto all'attenzione dei policy makers europei, che hanno raggiunto
la consapevolezza che lo skill mismatch, ovvero il disallineamento tra la
domanda e l’offerta di lavoro, è qualcosa di veramente serio e che necessita di
adeguati interventi per essere eliminato.
I dati dell’ILO (Organizzazione Internazionale del
Lavoro) al riguardo sono crudi, espliciti: a partire dal 2000 gli skills
mismatches, misurati come differenza nel livello di istruzione tra gli occupati
e i disoccupati, sono peggiorati considerevolmente in quasi tutto il
Continente. L’aumento del fenomeno risulta in gran parte determinato dalla
continua innovazione, in particolare dalla diffusione delle tecnologie
digitali, che stanno costantemente cambiando i processi economici produttivi, scartando i lavoratori inadeguati.
Lo studio portato
avanti dall’ILO, ha messo in luce che in Europa una percentuale che va dal 25
al 45 per cento dei lavoratori sono sovra o sotto qualificati per il tipo di
lavoro svolto, evidenziando quel sostanziale disallineamento (mismatch) tra
offerta e domanda di lavoro. Lo studio ha riguardato 24 Paesi europei: nei
Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Svizzera, i lavoratori inadeguati sono meno del 6 per cento, mentre, per esempio in Paesi come Cipro e Russia
supera il 20 per cento. Lo studio ha evidenziato anche la punta dell’iceberg:
in Portogallo, la percentuale supera addirittura il 50 per cento. Il fenomeno
col passare del tempo continua a crescere: nel 2012, la percentuale di
lavoratori fuori ruolo si aggirava intorno al 10-20 per cento nella
maggioranza dei Paesi esaminati.
Anche la Sardegna ha
cercato di prendere atto del pericoloso fenomeno e nell’Ottobre scorso a
Cagliari si è tenuto un Convegno interamente dedicato alle competenze digitali.
La domanda principale posta era “Cosa fare per affrontare il problema?
Nell’incontro, tenuto presso l’Auditorium del Campus di Tiscali, la riflessione
collettiva aveva per titolo “Competenze
digitali: una priorità per lo sviluppo della Sardegna”, e faceva parte
delle iniziative previste per la Sardinia
Code Week 2015. Il convegno ha
coinvolto molti operatori del territorio interessati ai processi di
digitalizzazione: istituzioni pubbliche, scuole, università e mondo delle
imprese. Tra i presenti anche il Presidente della Regione Sardegna Francesco
Pigliaru.
Cari amici, dallo
studio se ne ricava un dato importante: che l'acculturamento generico fornito a scuola o formativo non è sufficiente, se questo non corrisponde a quello che il mercato del lavoro richiede. «Fornire ai lavoratori le competenze non è sufficiente se queste non
corrispondono a quelle richieste dai datori di lavoro. Lo studio invita i
governi e le parti sociali a creare servizi di collocamento efficienti e
opportunità di formazione, nonché a rafforzare le relazioni tra scuola e
formazione da un lato e mondo del lavoro dall’altro», ha concluso, Theo
Sparreboom, autore dello studio dell’ILO.
Sono
convinto che quanto messo in evidenza dallo studio debba essere quanto prima messo
in pratica; secondo l’esperto dell’ILO, sistemi di apprendistato di qualità per
i giovani, che colleghino la scuola e la formazione sul posto di lavoro, sono
parte della soluzione. Questi sistemi innovativi richiedono un efficace dialogo sociale
tra governi e parti sociali, condivisione dei costi tra pubblico e privato e
servizi per l’impiego efficienti. Credo che anche in Italia il progetto in atto
sulla “Buona Scuola” proceda in questa direzione.
Si perché se è vero che
alti livelli di istruzione sono importanti, è anche vero che alla formazione
teorica va aggiunta quella pratica. La formazione, sia quella iniziale che
quella successiva (ormai la formazione permanente sta diventando
indispensabile), è l’unica che rende possibile un accesso più facile al moderno
mercato del lavoro. Ecco perché sarà necessario riformare, in molti Paesi, gli
attuali sistemi di istruzione e di formazione professionale per rendere
possibile la giusta preparazione per tutti.
A domani.
Mario
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