Oristano
9 Febbraio 2016
Cari amici,
Il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, attraverso il Piano Nazionale Scuola Digitale intende
attuare quella riforma che il Governo, per riposizionare la scuola italiana
nella società dell’informazione e della tecnologia, ha previsto con l’emanazione
della Legge 107/2015, meglio nota come legge della "Buona Scuola". A
sentire il Governo la riforma è un pilastro fondamentale del rinnovamento
scolastico: fissa le priorità e le azioni da svolgere, stabilisce l’importo
degli investimenti, dopo aver recuperato le risorse necessarie. Apparentemente la
riforma non è un progetto calato dall’alto, in quanto intende operare in modo
collaborativo: creare le nuove opportunità che la scuola richiede attraverso
una continua collaborazione tra Ministero, Regioni, ed Enti locali, promuovendo
un'alleanza capace di innovare concretamente la scuola italiana.
Per varare questa
riforma epocale Renzi ha inteso mettere in atto una profonda trasformazione
culturale, che, partendo dalla scuola, possa coinvolgere pienamente anche le
famiglie, sia quelle dislocate nei centri urbani più affollati che quelle delle
periferie più isolate. Sarebbe banale pensare che un piano così complesso, per poter “cambiare verso”
alla scuola di oggi, si potesse limitare all’inserimento nelle classi semplicemente
della nuova tecnologia! Questa è solo una parte, certamente importante del
rinnovamento, ma per introdurre variazioni complesse è necessario ben
altro: per esempio “ripensare ex novo” la didattica, gli ambienti di apprendimento, le modalità
di istruzione degli studenti, la formazione dei docenti, dando vita ad un nuovo
“schema rivoluzionario”, capace di mandare in soffitta il vecchio sistema
educativo, sostituendolo completamente.
Centrare l’obiettivo di
una riforma reale, promuovendo e
diffondendo il cambiamento nella scuola, necessita di un epocale cambio delle metodologie didattiche
in uso, aprendosi senza remore all'uso del digitale sia da parte dei docenti che degli alunni, senza
scordare le famiglie. L'Italia, rispetto alla maggioranza dei Paesi europei, è
in ritardo per quanto riguarda l'uso dei mezzi digitali all'interno delle
scuole. Lo rivela una ricerca dell'Ocse. Nello studio relativo al Piano nazionale
italiano per la Scuola Digitale, presentato a Roma al Ministero
dell’Istruzione, è emerso chiaramente che nell’uso della tecnologia a scuola siamo in ritardo rispetto alla
maggioranza degli altri Paesi: nel 2011 solo il 30% degli studenti italiani di terza
media utilizzava le ICT (Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione) come
strumento di apprendimento durante le lezioni di scienze, rispetto a una media
del 48% negli altri Paesi dell’Ocse.
L’indagine ha rilevato
che nelle scuole elementari c'è mediamente un computer ogni 15 bambini: circa uno per classe, o poco più. Alle medie un PC ogni 11 studenti, mentre
alle superiori se ne conta uno ogni
8 ragazzi. Inoltre, solo in un'aula su cinque delle scuole italiane è installata la LIM,
la Lavagna Interattiva Multimediale, che 8 scuole su dieci sono connesse a Internet,
ma solo in metà delle classi si ha l'accesso alla rete. Ora, col varo della Legge
107/2015, si spera che anche l’Italia possa avvicinarsi alle più alte medie
registrate negli altri Paesi.
Insomma, cari amici, la
svolta sembra vicina anche da noi: potremo dire, se tutto funzionerà per il
meglio, che anche i nostri ragazzi cambieranno modo di apprendere facendo
continua ricerca (con Internet è possibile), dichiarando una volte per tutte la
fine del nozionismo statico. A parole sembra tutto facile, ma per attuare una
riforma così complessa, non basta certo dotare le classi di lavagna interattiva
e usare i tablet al posto dei libri: la rivoluzione digitale nella scuola si
può attuare solo se oltre a Internet e ai tablet, la riforma verrà completata
con il forte coinvolgimento del corpo docente, con l’adozione di moderne metodologie
didattiche, integrate dalle nuove tecnologie. In parole povere si tratta
di mandare in soffitta la vecchia lezione frontale, trasmissiva ed
enciclopedica, sostituendola con quella che coinvolge attivamente e non
passivamente gli studenti.
Sarebbe sicuramente una
rivoluzione epocale: l’applicazione di questa “didattica nuova”, fatta di
costante ricerca e di "scoperta in tempo reale" fatta dagli studenti, che
passerebbero da uno studio passivo e poco motivante ad uno molto più vero e
coinvolgente, di maggiore soddisfazione, sia per chi studia che per chi insegna. Perché ribadisco che tutto questo sarebbe una rivoluzione epocale? Perché il Pianeta Giovani, ben più noto come “Generazione Digitale”, rifiuta il vecchio concetto
nozionistico calato dall’alto, essendo in possesso di quelle nuove competenze
tecnologiche che a noi invece sono poco note. I nativi digitali, che hanno ‘succhiato
latte e computer’, hanno acquisito una tale dimestichezza con i nuovi strumenti tecnologici, in quanto questi hanno permeato tutti gli ambiti della loro vita fin dalla
nascita: dai giochi infantili fino alle relazioni sociali adolescenziali! Ecco il motivo per
cui a loro sta stretta la vecchia scuola nozionistica calata dall'alto, che rifiutano per pretendere una nuova scuola più consona, quella dell’innovazione costante, portata avanti da loro insieme ai docenti, "scuola di apprendimento nuova", scuola del talento e della creatività senza confini.
Cari amici, credo che
la strada intrapresa vada nella giusta direzione, e porterà certamente buoni frutti se
applicata in modo corretto. Abbandonato il
nozionismo gli studenti, novelli Indiana Jones, si trasformeranno, da insipidi e
annoiati studenti in “ricercatori attivi”, veri esperti curiosi, protagonisti
delle scoperte portate avanti con i docenti in modo paritario. Il fatto poi che
ogni singola ricerca, il più delle volte portata avanti in gruppo, sia
immediatamente disponibile (nello spazio e nel tempo), consente un maggior
dialogo di squadra con gli altri ragazzi, contribuendo a formare “gruppi di
lavoro” coesi (docente compreso), per l’ottenimento del miglior risultato.
Ben venga, dunque, la Buona Scuola, quella dei fatti, però,
non delle belle parole!
A domani.
Mario
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