Oristano
2 Aprile 2014
Cari amici,
da millenni il mondo è
impregnato di maschilismo! Nonostante le difficili conquiste ottenute dalle
donne e avvenute con lentezza esasperante, l’uomo continua a cercare di
relegare la donna in un ruolo a lui subalterno. La recente sconfitta, in sede
di prima approvazione della nuova legge elettorale, sulla parità di genere, ne
è un esempio eclatante. Non scrivo questa riflessione per riportare l’elenco
delle battaglie che nei secoli le donne hanno portato avanti per riconoscere i
loro sacrosanti diritti, ma semplicemente per parlare di un argomento che tanto
mi affascina: la Filosofia. Anche in
questo campo le donne sono state protagoniste, addirittura in tempi
antichissimi. Le donne non hanno mai avuto paura di cimentarsi in tutti i campi
dello scibile, privilegiando proprio le scienze del pensiero.
Immanuel Kant
(Königsberg, 22 aprile 1724 – 12 febbraio 1804), il grande filosofo considerato
uno dei più importanti esponenti dell’illuminismo tedesco, anticipatore e
protagonista della filosofia idealistica, aveva delle donne un concetto ben
diverso dai numerosi maschilisti del suo tempo; ecco una delle sue frasi
celebri, pronunciate nel loro confronti: “…Tutto ciò che è stato scritto dagli uomini
sulle donne deve essere ritenuto sospetto, dal momento che essi sono ad un
tempo giudici e parti in causa…”. Le donne, pur nel sofferto ruolo di
sudditanza che nelle società del passato le vedeva poco partecipi della vita
sociale, hanno sempre cercato di superare questo Gap che le vedeva escluse dallo studio, dalla conoscenza, dalla
paritaria partecipazione alla vita di relazione.
Mai arrese al ruolo di
suddite dell’uomo, già secoli prima di Cristo, secondo quanto riporta Giamblico
(251-325 d.C.), nella sua “Vita pitagorica”, le donne fecero la loro prima
apparizione, come seguaci e praticanti di filosofia, nella scuola di Pitagora
(VI sec. A.C.) dove pare che ben 17 discepole lo seguissero! La passione
filosofica delle donne non era casuale. Intorno al 440 a.C. si distinse, tra le
altre, Aspasia di Mileto, che fu l’amante di Pericle, e la sua casa fu il
centro della vita letteraria e filosofica dell’Atene del V secolo.
Tra le altre
donne amanti della filosofia si distinse Diotima, sacerdotessa di Mantinea,
divenuta famosa anche perché ricordata in un dialogo platonico, il Simposio
(201–212), in cui Socrate dice di aver appreso da Lei la teoria
dell’amore.
Diogene Laerzio,
invece, ci parla di Ipparchia, che aderì alle teorie dei Cinici. Di Lei viene
esaltata la grande cultura filosofica e l’eleganza del ragionamento,
paragonandola addirittura a Platone. La figura più luminosa, fra queste donne amanti
di filosofa, tramandataci dall’antichità greca, è quella di Ipazia, donna di
tendenze neoplatoniche, morta verso il 415 d.C. Ipazia era figlia del
matematico e astronomo Teone di Alessandria e si interessò Lei stessa di
scienze. Recatasi ad Atene ebbe una notevole influenza negli ambienti
filosofici, unificando il pensiero matematico col neoplatonismo. Pur di
religione pagana, era sostenitrice della “separazione e autonomia” fra
filosofia e religione, riuscendo ad acquisire prestigio anche negli ambienti politici e
stringendo amicizia con il prefetto romano Oreste. Questa sua fama e importanza,
però, le attirò il rancore degli ambienti cristiani, tanto da portarla alla
morte: un giorno Ipazia fu aggredita per strada e uccisa da un gruppo di
fanatici. Anche nel mondo romano le
donne cercarono di emergere: un esempio eclatante fu quello di Plotina,
consorte dell’imperatore Traiano (53-117 d.C.), che fu seguace della scuola
epicurea e ne favorì il rilancio a Roma.
Nei secoli successivi,
in un mondo rimasto profondamente maschilista, la lotta delle donne per
emergere continua senza fermarsi. Nel Medioevo, periodo notoriamente buio sotto
tanti aspetti e di marca squisitamente “inquisitoria”, le “donne colte”,
istruite, erano viste come preda della blandizie del diavolo e quindi da
mandare al rogo. Tuttavia, anche allora, emersero alcune figure notevolissime come
Trotula de Ruggiero, Ildegarda di Bingen e Rebecca Guarna.
Tra il Cinquecento e il Seicento si distinsero
Cristina di Lorena (1565-1636) e Elisabetta di Boemia (1618-1680): Cristina, in
particolare, fu famosa per essere stata la destinataria delle lettere di
Galilei, denominate in seguito Lettere copernicane: in esse Galilei voleva
mostrare a Cristina come le sue idee non fossero in contrasto con la Bibbia. Molto
più rilevante, dal punto di vista filosofico, fu lo scambio epistolare fra la
bellissima principessa del Palatinato, Elisabetta, e il filosofo francese
Cartesio. I due si scrissero dal 1643 al 1649: il carteggio a noi pervenuto
comprende 26 lettere della principessa e 33 del filosofo. In genere il
contenuto degli scritti di Elisabetta viene sottostimato, a vantaggio delle
idee del filosofo, mentre in realtà Elisabetta pone delle questioni che mettono
in difficoltà il celebre pensatore.
Nella cultura
protestante inglese del Seicento una figura di spicco fu quella di Mary Astell
(1666-1731). Dalla sua formazione (grazie ad uno zio che le fece da precettore
e le permise di studiare e leggere di tutto) trasse il profondo convincimento
della legittimità e della necessità di una evoluzione spirituale e culturale
delle donne e decise di adoperarsi per spezzare il circolo vizioso di ignoranza
e inferiorità culturale che imprigionava gran parte delle donne del suo tempo.
Intorno alla Astell, a Chelsea nei pressi di Londra, si venne formando un Club
di donne, per lo più nubili o vedove, mosso da principi di devozione e di
carità oltre che da interessi di studio e di discussione.
Di grande rilievo è
l’opera filosofica e letteraria dell’italiana Lucrezia Marinelli (Venezia 1571-1616),
figlia di un medico e filosofo di orientamento aristotelico. In una sua opera
importante, “La nobiltà e l’eccellenza delle donne co’ difetti et mancamenti degli
uomini” (1601), Essa fa un’analisi approfondita dei testi antichi
(Platone, Aristotele, Plutarco ecc.), concludendo sulla sostanziale eguaglianza
fisica e metafisica fra uomo e donna postulata dai grandi filosofi. Il suo
pensiero si sofferma anche sul mito delle Amazzoni, dove porta ulteriori
elementi a sostegno della tesi della parità uomo-donna. Il
fine del suo discorso non è mai moraleggiante bensì è quello di argomentare
rigorosamente la tesi della parità e dell’eccellenza delle donne anche in campo
intellettuale.
Il Novecento vede
altre donne filosofe primeggiare: in Germania Edith Stein (1891-1942), nata da
una famiglia di commercianti ebrei, studiò filosofia a Gottinga con Husserl (il
fondatore della corrente filosofica chiamata "fenomenologia", che
anticiperà alcuni temi dell’esistenzialismo) e ne divenne assistente; in
Francia Simone
Weil (1909-1943), nata a Parigi da una famiglia ebrea non praticante, che studiò
filosofia e per alcuni anni insegnò al liceo; sempre in Franca Simone De Beauvoir
(1908-1986), nata a Parigi da una giovane e agiata coppia borghese, che dopo
aver vissuto una fanciullezza serena si iscrisse alla Sorbona per studiare
filosofia, dove nel 1929 conobbe Sartre, con cui condivise tutto il resto della
vita; ancora in Germania Hannah Arendt (1906-1975), nata ad
Hannover da una famiglia ebrea, che studiò filosofia con i più importanti
filosofi tedeschi del tempo (Husserl, Heidegger, Jaspers). Potrei continuare a
lungo, ma credo che bastino questi esempi.
Cari amici, oggi ho
voluto parlare di “Donne filosofe”,
uno dei tanti campi in cui le donne si sono cimentate e dove hanno dimostrato
di essere capaci di recitare un ruolo almeno paritario a quello degli uomini.
In tanti altri campi la donna ha saputo essere “grande”: senza remore, dubbi, o
possibilità di sottomissione. La mia convinzione, da sempre, è che la donna, a
prescindere dal riconoscimento negato, ha le stesse capacità dell’uomo e deve
avere lo stesso riconoscimento, in tutti i campi; la parità, l’uguaglianza, tra
uomo e donna, trionferanno: Dio uomini e donne, li ha fatti e li ha voluti sempre
uguali!
Grazie dell’attenzione.
Mario
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