Oristano
12 Aprile 2014
Cari amici,
nelle tre puntate
precedenti abbiamo visto la grande scoperta della fotografia, la lenta
evoluzione, fino alla sua enorme diffusione, tale da essere in grado di creare
una grande industria fotografica. Nonostante la perfezione raggiunta ed il
successo ottenuto altre tappe attendevano l’arte fotografica: la perfezione dell’immagine,
che avvicina sempre più le foto ai dipinti, e la scoperta del colore, che si
affiancherà prepotentemente al bianco e nero (anche se mai lo sostituirà in
toto) ed, a seguire, negli anni successivi la scoperta della foto digitale, che
contribuirà enormemente alla diffusione “globale” ed in tempo reale delle
immagini. In questa quarta parte è riportato il felice connubio tra fotografia
e pittura e la nascita della foto a colori.
Con l’avvento della
fotografia, tutto quel mondo che in precedenza operava nel campo dell’arte
pittorica per riprodurre paesaggi, ritratti di singoli e famiglie, scene di
vita, sia di corte che della media borghesia, era entrato in forte
fermento: poteva la fotografia invadere
un campo finora riservato alla pittura? Poteva uno strumento
tecnico (chimico/ottico/meccanico) esprimere una sensazione artistica
individuale? A parte la ferma posizione della Chiesa, che
sosteneva che “Voler fissare visioni fuggitive... confinava con il sacrilegio”,
la inarrestabile diffusione della fotografia continuò senza soste: essa avvenne
prevalentemente per ragioni economiche e sociali, considerato il grande divario
dei costi, rispetto alla pittura. La media borghesia, nei primi anni
dell'Ottocento, aveva fatto lievitare gli affari di non pochi studi pittorici,
di incisori, di ritrattisti e di miniaturisti, per “immortalare” e perpetuare
nelle loro dimore il ricordo dei protagonisti del casato. Con l'introduzione
della fotografia un gran numero di questi artisti temeva il tracollo: la nuova
arte sconvolgeva il loro lavoro! Essi, non potendo fermare il nuovo corso, si
trovarono ad un bivio: abbracciare la nuova tecnica o perdere l’affezionata clientela.
A parte i grandi artisti, la cui fama non poteva essere intaccata, dalla nuova
ma “meccanica” arte, gli altri artisti meno noti, i pittori meno apprezzati, che poco avevano da
perdere, sposarono senza indecisioni la nuova tecnologia del ritratto fotografico.
Le due arti, pittura e
fotografia, pur negli iniziali timori e contrasti, non si scontrarono più di
tanto: era
chiaro che la fotografia avrebbe affiancato la pittura e con essa si sarebbe
integrata, ferme le eccellenze in un campo e nell’altro: la qualità che non teme
mai confronti con prodotti simili ma mai eguali. Fu László Moholy-Nagy (pittore e fotografo
ungherese esponente del Bauhaus), nelle sue lezioni proprio al Bauhaus, a
formalizzare definitivamente il rapporto tra le due arti, sostenendo che “Nel
procedimento meccanicamente esatto della fotografia e del cinema, noi
possediamo un mezzo espressivo per la rappresentazione che funziona molto
meglio del procedimento manuale di pittura figurativa sinora conosciuto. D'ora
in poi la pittura si potrà occupare della pura organizzazione del colore”.
Il
tempo delle dispute iniziali tra fotografia e pittura era ormai ampiamente alle
spalle e la fotografia entrava a pieno titolo nelle collezioni dei musei d'arte
moderna e nelle aste d'arte.
Ormai perfezionata la
fotografia divenne un grande strumento del viaggiatore e del giornalista, che
la utilizzò per divulgare gli eventi e i luoghi meno accessibili. I primi
reportage nacquero già nel 1855, quando Roger Fenton trasportò sui campi di
battaglia della Crimea un carro trainato da cavalli con tutto l'occorrente per
la preparazione e lo sviluppo delle lastre di vetro.
Felice Beato fotografò
in India e in Cina, dove documentò il drammatico esito della seconda guerra
dell'oppio. I reportage fotografici non si limitarono, però, a documentare solo
le guerre. Grazie al lavoro di William Henry Jackson il Congresso degli Stati
Uniti istituì il Parco Nazionale di Yellowstone e nel 1888 venne fondata la
National Geographic Society, che finanziò numerose “spedizioni fotografiche” nel
mondo. Molti incarichi vennero affidati dalle Istituzioni per la documentazione
delle opere d'arte e degli importanti centri storici delle città. Vennero
prodotti numerosi reportage fotografici, tra i più noti quello sui sobborghi di
Glasgow, e di molte altre città importanti, spesso accompagnate da studi
sociologici e di analisi della popolazione.
L’evoluzione fotografica
intanto continuava. Nel 1871 Richard Leach Maddox mise a punto una nuova
emulsione, preparata con bromuro di cadmio, nitrato d'argento e gelatina. Le
lastre così prodotte permisero un trasporto più agevole perché non
necessitavano più della preparazione prima dell'esposizione. Questo supporto,
molto più pratico, fu adottato da una nuova categoria di strumenti fotografici,
gli apparecchi portatili. Il 1888 vide la nascita della Kodak N.1, una
fotocamera portatile con 100 pose già precaricate al prezzo di 25 dollari,
introdotta da George Eastman con lo slogan "Voi
premete il bottone, noi faremo il resto". Inizialmente il materiale
fotosensibile era cosparso su carta che, nel 1891, venne sostituita con una
pellicola di celluloide avvolta in rulli: era nata la moderna pellicola
fotografica. Inizialmente senza mirino, l'evoluzione della fotocamera portò all'introduzione
di un secondo obiettivo per l'inquadratura e successivamente un sistema a
pentaprisma e specchio nella Graflex del 1903: la prima single lens reflex.
L'Ermanox, una
fotocamera con obiettivo da f/2, portato successivamente a f/1.5, permise l'ingresso
dei fotografi come Erich Salomon nei salotti e nei palazzi, per ritrarre
politici e personaggi famosi. Le fotografie divennero “istantanee della vita
quotidiana” e i fotografi si mescolarono alla gente comune. All'Ermanox si
affiancò nel 1932 la Leica, con obiettivo 50mm f/3.5, che introdusse il formato
che divenne standard, il 35mm. Questa macchina fu adottata con profitto grazie
alla sua maneggevolezza e discrezione da importanti fotografi di reportage come
Henri Cartier-Bresson e Walker Evans, oppure artisti come André Kertész. Anche
il flash si trasformò: da un incontrollato lampo di magnesio del 1888 divenne
un sistema efficiente e regolabile con il Vacu-Blitz nel 1929, che rese
possibile al fotografo lavorare in qualsiasi condizione di luce.
Fino agli anni ’30 del
secolo scorso la fotografia, pur perfezionata, era solo in “bianco e nero”. I diversi
colori della natura erano resi visibili solo da semplici sfumature di grigio e
questo, spesso, era insufficiente a riprodurre alcuni toni di colore, che
necessitavano di ben altro. I primi tentativi per uscire dal bianco e nero e
rappresentare il mondo a colori non furono facili. Le prime lastre
fotografiche, che avevano una sensibilità diversa ai colori, riproducevano il
bianco e il blu con la stessa luminosità, ma anche il giallo e il rosso.
Nell'800 furono prodotte le prime lastre ortocromatiche, che reagivano
correttamente alle tonalità del blu ma non al rosso e all'arancione. La
necessità di rendere le immagini sempre più simili al vero richiedeva
l'intervento manuale del fotografo che, dopo lo sviluppo della lastra, agiva
direttamente sulle immagini utilizzando i pigmenti dell'anilina per sfumare e
rafforzare molti ritratti.
Dopo i primi tentativi
ci si accorse che la richiesta da parte dei clienti di immagini a colori
diventava sempre più pressante e numerosa, ma nonostante gli sforzi fatti
dall’industria fotografica, si dovettero attendere gli studi del fisico inglese
James Clerk Maxwell che nel 1859 dimostrò, con un procedimento definito
Mescolanza additiva, la possibilità di ricreare il colore sovrapponendo la luce
rossa, verde e blu, chiamati colori primari additivi. Dieci
anni più tardi Louis Ducos du Hauron mise a punto il procedimento che aprì la
strada alle emulsioni a colori.
Nel 1903 nacque la lastra Autochrome, prodotta
dai fratelli Lumière. Nel 1935 entra prepotentemente sul mercato la pellicola
fotografica di tipo invertibile, figlia del Kodachrome, perfezionata poi nel
1942 dall'Ektachrome; questi procedimenti utilizzavano il metodo sottrattivo
con tre differenti strati sensibili, mediante filtri colorati, alle tre
frequenze di luci corrispondenti all'azzurro, al rosso e al verde. Nel 1941 la Kodacolor
mise a punto la pellicola per negativi a colori, dove è presente l'inversione
delle luci e dei colori. La Ektacolor, sempre della Kodak, messa in commercio
nel 1947, permise lo sviluppo casalingo della pellicola negativa a colori.
Cari amici, la
fotografia, nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, aveva raggiunto ormai
qualità e perfezione non comuni. Chiunque, con poca spesa, era in grado di
fotografare i propri ricordi, lavorando per lo sviluppo anche in casa propria,
senza l’utilizzo di terzi. Ma il
percorso della fotografia non era ancora finito. Nella seconda metà del secolo
scorso (i primi esperimenti risalgono al 1957), il progresso dell’elettronica
cercò, riuscendovi, di mandare il pensione la famosa pellicola, trasformando la
fotografia in un file! Tutto questo lo scopriremo, insieme, nella prossima ed
ultima puntata, la quinta, che affronterà il tema della fotografia digitale.
Grazie a tutti
dell’attenzione.
Mario
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