Oristano
5 Aprile 2014
Cari amici,
oggi proseguo con l’argomento
sulla storia della fotografia. Ci eravamo fermati a Daguerre ed alle sue intuizioni. La Sua
interessante invenzione ormai aveva varcato i confini nazionali e per reclamizzarla pubblicò
un manuale (Historique et description des procédés du dagguerréotype et du
diorama) che andò a ruba: tradotto ed esportato in tutto il mondo, esso conteneva
la descrizione dell'eliografia di Niépce e i dettagli della dagherrotipia. Visto
il successo, si accordò con il cognato Alphonse Giroux per la fabbricazione
delle camere oscure necessarie.
Esse furono costruite in legno e dotate delle
lenti acromatiche progettate da Chevalier nel 1829. Questi obiettivi avevano
una lunghezza focale di 40,6 cm e una luminosità di f/16 ed il loro costo si
aggirava intorno ai 400 franchi. Anche se il procedimento era stato reso pubblico in
Francia, Daguerre acquisì un brevetto in Inghilterra, con il quale impose delle
licenze per l'utilizzo della sua scoperta.
In Italia i primi
esperimenti di fotografia furono effettuati da Enrico Federico Jest e da
Antonio Rasetti nell'ottobre del 1839. I materiali utilizzati erano di loro
costruzione, anche se ricalcavano e si basavano sui progetti di Daguerre. Le
prime fotografie italiane note sono tutte vedute di Torino: il Tempio della
Gran Madre, Piazza Castello e Palazzo Reale. L’idea della fotografia ormai sembrava aver
contagiato tutti. Non mancarono neanche gli autori di procedimenti alternativi.
Tra questi William Fox Talbot,
che documentò esperimenti risalenti al 1835. Si trattava di un foglio di carta
immerso in sale da cucina e nitrato d'argento, asciugato e coperto con piccoli
oggetti come foglie, piume o pizzo, quindi esposto alla luce. Sul foglio di
carta compariva il negativo dell'oggetto, ma nel Febbraio del 1835, Talbot intuì
anche come trasformarlo in positivo, utilizzando un secondo foglio in trasparenza.
Per riuscirvi utilizzò una forte soluzione di sale o di ioduro di potassio che rendeva meno sensibili
gli elementi d'argento per rallentare il processo di dissoluzione
dell'immagine. Chiamò questo procedimento Calotipìa o Talbotipìa, che utilizzò
già nell'agosto del 1835 per produrre delle piccole immagini di 6,50 cm² della
sua tenuta di Lacock Abbey, realizzate mediante camera oscura.
Le prime fotografie
destarono subito l'interesse e la meraviglia dei curiosi che affollavano le
sempre più frequenti dimostrazioni del procedimento. Rimasero sbalorditi dalla
fedeltà dell'immagine e di come si potesse distinguere ogni minimo particolare,
altri paventarono un abbandono della pittura o una drastica riduzione della sua
pratica. Questo non avvenne, ma la nascita della fotografia favorì e influenzò
la nascita di importanti movimenti pittorici, tra cui l'impressionismo, il
cubismo e il dadaismo. La fotografia si affiancò e in alcuni casi sostituì gli
strumenti di molti specialisti. La possibilità di catturare un paesaggio in
pochi minuti e con una elevata quantità di particolari fece della fotografia
l'ideale strumento per i ricercatori e i viaggiatori. Particolarmente attivo fu
l'editore Lerebours che ricevette grandi quantità di dagherrotipi dalla Grecia,
da Medio Oriente, Europa e America che furono trasformati in acquetinte per la
pubblicazione nella serie Excursion daguerriennes.
Nonostante questi
successi incoraggianti, la fotografia incontrò inizialmente dei problemi nel
ritrarre figure umane a causa delle lunghe esposizioni necessarie.
Il soggetto
doveva restare immobile e sopportare un'esposizione di almeno otto minuti per
ricevere una fotografia in cui appariva con occhi chiusi e un atteggiamento
innaturale. Solo nel 1840 l'introduzione da parte di Joseph Petzval per conto
della Voigtländer di un obiettivo di luminosità f/3.6 e dell'aumentata
sensibilità della lastra dagherrotipa mediante l'utilizzo di vapori di bromo
(John Frederick Goddard) e cloro (Francois Antoine Claudet) permisero
esposizioni di soli trenta secondi. La fragilità della lamina argentata fu
rafforzata dall'utilizzo di cloruro d'oro per opera di Hippolyte Fizeau, che
incrementò anche il contrasto generale.
Il 1841 fu l'anno
dell'evoluzione della sciadografia in calotipia ad opera di Talbot, che intuì
la possibilità di terminare la trasformazione dei sali d'argento non solo
mediante l'azione della luce, ma con l'utilizzo di un nuovo passaggio chiamato
sviluppo fotografico. Mentre nella sciadografia l'esposizione continuava fino
alla comparsa dell'immagine, nella calotipia l'esposizione venne ridotta a
pochi secondi, ed era compito dello sviluppo successivo far apparire l'immagine
negativa finale. Per questo nuovo procedimento Talbot richiese e ottenne un
brevetto in Inghilterra, per monetizzare la sua scoperta e seguire l'esempio di
Daguerre. Tra il 1844 e il 1846 Talbot produsse in migliaia di copie quello che
può essere definito il primo libro fotografico, il Pencil of Nature, contenente
24 calotipi.
Grazie a questi
progressi tecnologici, nuovi laboratori aprirono in tutto il mondo. In America,
che ottenne il primato della quantità di dagherrotipi prodotti, la fotografia
fu importata da Samuel Morse e dal francese François Gourard. Il successo arrise alla fotografia e nel1850 si contavano più di 80 laboratori nella sola New York. La
moda dei ritratti si sviluppò rapidamente e ne usufruirono tutti i ceti
sociali, grazie all'economicità del procedimento. Il dagherrotipo era di solito
più apprezzato, perché produceva una sola copia, rendendola quindi più
preziosa, e perché di qualità superiore al calotipo, che subiva i difetti
dell'utilizzo della carta come supporto per la stampa. I soggetti erano ripresi
solitamente in studio, su di uno sfondo bianco, anche se numerosi furono i
fotografi itineranti, che si muovevano con le fiere e nei piccoli villaggi.
Lo studio di nuovi
metodi e la ricerca di materiali per migliorare il processo fotografico non si
arrestò. Nel 1851 Frederick Scott Archer introdusse un nuovo procedimento a
base di collodio che affiancò e infine sostituì tutte le altre tecniche
fotografiche. L'utilizzo del collodio e di lastre in vetro o metallo resero dei
negativi di qualità eccezionale, stampati sulle recenti carte albuminate o al
carbone. Le lastre al collodio necessitavano di essere esposte ancora umide e
sviluppate subito dopo; questa caratteristica, se da un lato permise la
consegna immediata del lavoro al cliente, richiese il trasporto del materiale e
dei chimici per la preparazione delle lastre nelle attività all'esterno.
L’enorme richiesta di
ritratti accelerò l’invenzione di una particolare applicazione della lastra
umida.
Brevettata nel 1854 da André Adolphe Eugène Disderi, l’innovazione si concretizzava
in una fotocamera a quattro obiettivi
che impressionava una lastra con due esposizioni, per un totale di otto
immagini da 10x6 cm, stampati a contatto su carta che, a causa delle piccole
dimensioni, vennero chiamati carte de visite. In Italia i primi
giornali illustrati da fotografie furono "L'illustrazione italiana"
(7 novembre 1863) e "L'illustrazione universale" (3 gennaio1864).
Cari amici, alla fine
dell’Ottocento la fotografia si avviava, ormai, verso una dimensione
professionale e verso tecniche che per un lungo periodo rimarranno inalterate.
Vedremo i progressi successivi nella terza parte, a breve.
A presto!
Mario
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