Oristano
1 Aprile 2014
Cari amici,
voglio iniziare questo
primo pezzo del mese di Aprile con una
riflessione legata alla mia ultima fatica universitaria: la tesi per il
conseguimento della laurea magistrale in Politiche Pubbliche e Governance.
L’impegnativo
lavoro di ricerca, concordato con la docente di Psicologia Giuridica, la Prof.
Patrizia Patrizi (grande esperta di diritto minorile e consulente di diversi
tribunali per i reati legati ai minori), relatrice della mia tesi, si basava
sulla "MEDIAZIONE", utilizzando anche, attraverso l'analisi, il “Codice della vendetta Barbaricina”, quel compendio di norme orali,
per secoli utilizzate come codice di regolazione comunitaria delle controversie,
frutto della minuziosa ricerca di Antonio Pigliaru. Lo studioso (di origine
barbaricina), uomo rigoroso e tenace, dopo aver raccolto e messo insieme quel
complesso di norme, trasmesse oralmente tempo per tempo, le mise per iscritto, facendone
un vero e proprio “Ordinamento Giuridico”.
Non voglio certamente
qui riepilogare questo mio lavoro, ho solo, in premessa, parlato di questo
secondo codice comportamentale, ancora oggi valido in Barbagia, proprio per far
capire che in questa terra antica ed aspra, che occupa la parte interna e
montuosa della nostra Isola, la giustizia non è semplicemente amministrata dal
Codice dello Stato, ma fa costante riferimento a quell’altro codice, quello Barbaricino,
preesistente e tuttora valido, spesso in perenne contrasto con la normativa
ufficiale. La giustizia, per i sardi di questa antica Comunità dell’interno, non
è rappresentata dagli uomini in divisa, i carabinieri e i giudici togati, ma
dai saggi della Comunità, i “Prob’homies”,
che ben ne conoscono i problemi ed i relativi mali, stabilendo anche gli
interventi per sedare i conflitti. La giustizia ufficiale è tenuta alla larga,
e i loro rappresentanti, in particolare i carabinieri, spesso sbeffeggiati e
derisi. Su di loro sono fiorite una infinità di storielle e di battute, spesso
taglienti, ed il riferimento ironico “ai carabinieri” condisce costantemente il
linguaggio della vita quotidiana.
La particolare concezione della giustizia e
del ruolo prevaricante delle forze dell'ordine, quasi sempre rappresentate da
uomini forestieri, “istranzos”, non appartenenti
quindi alla Comunità, ha fatto si che essi venissero visti come corpi estranei,
persone che disturbavano la quiete comunitaria. Su questo aspetto ho trovato
interessante (ed ha migliorato la mia conoscenza) uno studio reperito su
Internet, fatto da Valeria Gentile (La
giustizia per i barbaricini), scrittrice, grande conoscitrice del mondo
barbaricino. Il Suo ultimo libro porta il titolo “La Sardegna dei banditi” – Giulio Perrone editore – Roma.
In Barbagia, ancora
oggi, può capitarti di sentire espressioni come: "si deus cheret e sos
carabineris lu permittin, (se Dio vuole e i carabinieri lo permettono),
a significare che, i carabinieri potevano interferire tra le tue azioni e la
libertà di eseguirle; oppure potresti sentire “No b'at presse, no nos sun
currende sos carabineris in fatu” (non c'è fretta, non abbiamo i
carabinieri appresso), altra
espressione ricorrente per significare che i carabinieri causano interruzione
al ritmo lento e pacifico del vivere quotidiano, senza angosce.
Il lento scorrere della
vita campestre, fatta di consuetudine anche nel vestirsi, in quanto l’abbigliamento
è considerato una necessità mai una moda, ha fatto si che, spesso, le persone indossassero a lungo gli stessi indumenti,
spesso lisi e consunti. Questo ha fatto nascere battute, sempre legate ai
carabinieri, tipo: ”Ite bi cheren sos carabineris pro ti che los bocare?” (Ti ci
vogliono i carabinieri per farteli togliere? Ugualmente in caso di
assembramenti di piazza (magari sotto i fumi di qualche bicchiere di troppo),
in presenza di un certo tipo di disordine, l’espressione tipica usata è: “Eh
ite bat colau sa zustissia? (E’ per caso arrivata in questo luogo, per
caso, la giustizia?), intendendo con il termine “giustizia” sempre i loro
rappresentanti, cioè i carabinieri. Altra battuta, sempre sprezzante, riferita
alle paure causate dalle “visite” fatte nelle case dai carabinieri, è questa: “Arrazza
'e assustru, pariat toccu de zustissia! (Che razza di spavento,
sembrava il bussare dei carabinieri!), per dare significato ad una
scampanellata o un forte tocco dato alla porta.
Curiosa è invece una
frase gergale, usata in particolare a Nuoro, per dare corpo, con meraviglia, ad una notizia poco usuale di cui non si era a
conoscenza: “E chie nd'ischiat chi su maressallu haiat binza?” (E chi
sapeva che il maresciallo avesse una vigna?), in questo caso la battuta ha bisogno
di un chiarimento. Poiché in genere i carabinieri erano “istranzos” o
discendenti di famiglie niente affatto possidenti, il fatto che un carabiniere
possedesse una vigna era proprio un’eccezione.
La scarsa
considerazione nei confronti degli uomini dell’Arma era cosa cosi diffusa che
non era rara la feroce battuta, ancorché scherzosa, che li definiva stupidi: “Ses
tontu che sa merd'e sos carabineris”, (Sei tonto come la cacca dei
carabinieri). A questi, però, era riconosciuta “forza di legge”, tant’è che per
sancire un'unione o un patto si diceva: “Né Deus né sos carabineris”, cioè
né Dio né le forze dell'ordine potranno mai sciogliere questo nostro contratto
verbale. Altre battute correnti erano “Paret
unu caddu 'e rennu” (sembra un cavallo del regno), cioè sempre dei
carabinieri, battuta che poteva essere pronunciata in presenza di un essere
grasso e particolarmente in salute.
Nel secolo scorso,
quando la libertà delle giovani barbaricine era molto diversa da quella di
oggi, il "coprifuoco" scattava all'imbrunire. A Nuoro, se le ragazze
andavano la sera in chiesa, al minimo ritardo delle figlie, le madri si
incamminavano sino a "Sa Grassia
noba", la chiesa de Le Grazie, per andare loro incontro. Ogniqualvolta
le trovavano accompagnate da qualche ragazzo che, rosso in viso, pronunciava
timide frasi, tipo “Bì zia Badò las fimus accumpanzande” (ecco, signora
Salvatorica, le stavamo giusto accompagnando) la risposta era sempre la stessa:
“Facheti
accumpanzare dae sos carabineris”, fatti accompagnare dai carabinieri!
L’utilizzo ironico e
tranciante dei carabinieri come termine di paragone, non mancava neanche nell’utilizzo
delle imprecazioni (ovvero sos frastimos o sos irroccos) , le maledizioni che
fungevano da veri e propri fulmini verbali. Sa zustissia t'incantete! Iscia
ti brujete! Mancu ti tenzan sos carabinerisi! Che la giustizia ti
incanti! Che la giustizia ti bruci! Che ti portino via i carabinieri! Anche nel
Logudoro e in Trexenta si usa dire molto spesso: 'iscia ti pessighit, 'iscia ti
currat, 'iscia ti cogliat: che la giustizia ti perseguiti, ti rincorra,
ti colga.
La chiara dimostrazione
dell’estraneità dei carabinieri all’interno della Comunità Barbaricina la si
ricava, in particolare, dai versi del grande poeta Peppinu Mereu che nella
poesia "A Nanni Sulis" così recita: “[...] Deo no isco, sos
carabineris in logu nostru prit'est chi bi sune[...]”, (Io non mi spiego come mai qui da noi ci siano
i carabinieri), come per dubitare fortemente della loro utilità all'interno
della società barbaricina.
Cari amici, la Società
Barbaricina, ancora oggi impregnata di quelle radici culturali che affondano
nel lontano passato, ancora fedele in parte a quel codice comunitario qual era
(ed è ancora) il riconosciuto codice di giustizia dei sardi (il codice
barbaricino) vede ancora i rappresentanti della giustizia, in particolare i
carabinieri, come “istranzos”, stranieri in casa propria. Per chiudere in
bellezza, una barzelletta barbaricina. A Orune un carabiniere bussa
violentemente alla porta di una casa, all’imbrunire. “Chi è?”, chiedono dall’interno.
La secca risposta è: “Sa forza” (La forza, ovvero la
forza pubblica, i carabinieri). La risposta, ugualmente secca e tagliente, non
si fa attendere: “E tando ispinghe! (E allora, spingi!).
Un sincero grazie a
Valeria Gentile per la Sua profonda conoscenza del mondo barbaricino, ed a Voi
tutti che pazientemente seguite questo Blog!
Mario
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