Oristano,
11 Aprile 2014
Cari amici,
tre giorni fa ho
pubblicato su questo blog le mie considerazioni
sull’inaugurazione a Bauladu (5 Aprile 2014), mio paese natio, del nuovo
palazzo comunale, evento al quale era stata abbinata una “mostra antologica” su Antonio ATZA, primario esponente della
pittura sarda del Novecento, bauladese d’origine e di nascita. Nelle brevi note
dedicate a questo grande artista, aggiunsi che la sua figura meritava
certamente ben più di alcune righe e che avrei, sempre su questo blog, cercato
di riepilogarne la sua luminosa figura di artista e di uomo. Ecco, cari amici, pur
sinteticamente riepilogata, la storia di questo illustre mio concittadino.
Antonio Atza nasce a
Bauladu nel 1925, ma lascia presto la sua terra natia. A soli sei anni si
trasferisce con la famiglia a Bosa, dove trascorre la sua infanzia e l’adolescenza.
Questa città affascina un ragazzo innamorato del colore, e Bosa diventa così la
Sua seconda patria. Antonio fin da giovanissimo mostra un vivo interesse per il
disegno e la pittura e dopo il ginnasio frequenta l'Istituto Statale d'Arte a
Sassari. Qui la fortuna lo assiste: trova come insegnanti
Stanis Dessy, Salvatore Fara e Filippo Figari, grandi maestri del colore; anche
i suoi compagni di corso non sono da meno: tra i banchi con Lui Vittorio Calvi,
Nino Dore e Francesco Becciu. Terminati onorevolmente gli studi
si dedica all’insegnamento, ma non trascura la sua ricerca artistica che spazia
in più campi.
Ormai è quasi dimentico
di Bauladu, lasciata da bambino, felice e innamorato della Sua seconda patria,
Bosa, l’antica città regia, che lo ha non solo adottato ma incantato e
catturato.
La città del Temo, con i suoi colori ed il suo antico splendore, ha
contribuito ad aprire e formare il Suo carattere, dandogli una formazione dalle
caratteristiche uniche, tutte perfettamente rintracciabili nelle sue opere
realizzate ed elaborate nei differenti periodi. Atza considera Bosa, la dolce città sul
fiume, la Sua “Madre
per nutrizione”, un'attenta seconda madre che lo ha nutrito e fatto crescere, dopo il
distacco dalla prima, la natia Bauladu. Questo lo si rileva dall’immagine che il pittore
ha di Bosa, città quasi sempre associata al cibo ed ai fiori, metafora di crescita, come in particolare si
può rilevare dalla raffaellesca Madonna della Seggiola, rivisitata da Atza, dove il
bambino Gesù è sostituito con delle rose. Bosa, dunque, dolce madre adottiva, che
gli ha trasmesso e, forse, anche ingigantito il sentimento della nostalgia,
dolce e dolorosa, che contagia chi ha lasciato il luogo natio; Bosa nuova patria, che
incarna ed evoca, con il suo fiume ed il suo mare, il taumaturgico potere dell’acqua,
quale elemento simbolico per eccellenza di rinascita e di rinnovamento.
Nei Suoi primi dipinti Bosa c’è
sempre: questa città ormai vive dentro di Lui, nella mente e nel cuore. Le sue tele
riportano scorci paesaggistici con le case, il fiume, le Chiese e i personaggi che
la abitano. Nel 1957 partecipa a Nuoro alla prima edizione del Premio Sardegna,
dove si distingue e fa parlare di se; il premio è vinto dal pittore Mauro Manca,
artista da lui stimato, ed al quale lo legherà nel tempo una profonda e
fraterna amicizia. Gli “Anni Sessanta” sono anni in cui l’Isola vive discreti
fermenti artistici, sia nel Nord che nel Sud della Sardegna. A Cagliari nel
1958 viene creata l'Associazione Culturale Studio 58, della quale fanno parte
numerosi giovani artisti. Proprio in questi anni Atza dipinge la sua prima tela
di stile futurista, Autoritratto (1958). Atza è attratto dalle iniziative del
nuovo circolo culturale Studio 58: decide così di spostarsi a Cagliari, dove entra presto
in contatto con gli altri artisti del gruppo, composto, tra gli altri, da PRIMO
PANTOLI, GAETANO BRUNDU, LUIGI PASCALIS, TONINO CASULA, POSSANA ROSSI, MIRIAM
SCASSEDDU e BIAGIO CIVIALE.
Questo felice scambio
di culture artistiche “contamina” anche la sua pittura: nel successivo anno
1959, dipinge quadri a soggetto ferroviario e di stile neorealista. Nel 1960
alla mostra allestita dallo Studio 58 presso il portico di Sant'Antonio, Atza
presenta le Sabbie, serie di polimaterici su tela, che aveva iniziato a
realizzare nel 1958. I Blues risalgono al 1960, e la serie si concretizza con
delle opere astratte in cui compaiono delle simbologie assimilabili al mare e
al sogno. Le tele di grandi dimensioni vengono cosparse di colla alla quale si
aggiunge della carta velina che viene poi ricoperta con dei colori. A metà
degli anni '60 la sua personale ricerca artistica si apre alle esperienze della
pop art, visibile nei suoi telai "a cassetta", creando un linguaggio
innovativo e surreale, con l’utilizzo di fili di plastica colorati.
Anche Atza, come il mio
carissimo amico Meloniski (Pinuccio
Meloni da Villacidro), era
innamorato dell’azzurro del cielo e del mare, colore profondo che viveva in Lui.
Entrambi
ammaliati dalla forza dell’azzurrità
infinita, dove il sogno e
l’inconscio spaziano, creando un mondo irreale, onirico e creatore di grande
patos. Atza tutto questo lo ha ossessivamente rappresentato nel ciclo delle
Sabbie, nelle scogliere verdazzurre di Cane Malu, nei Blues, nelle sospensioni
filamentose del plancton, nei bagliori madreperlacei delle secrezioni preziose,
nella inquietante bellezza delle corazze degli abitanti marini. Non solo
l’azzurro del mare ma anche quello del cielo cosparso di nuvole, lo catturavano
con grande forza, come in Meloniski. Le sue nuvole ed i suoi gabbiani credo che
starebbero bene insieme, con quelle di
Pinuccio Meloni, magari cavalcandole entrambi, come in un magico e giocoso
girotondo.
Antonio Atza, grande
maestro, innovatore della pittura sarda del secondo Novecento, ha lasciato
questo mondo alle soglie degli 85 anni,
proprio a Bosa sua città d’adozione. Atza è andato via in silenzio, forse
a raggiungere le Sue nuvole e gli amici gabbiani, protagonisti di tanti suoi paesaggi
solari. È volato via, nel cielo della città del Temo, accarezzando con sguardo
affettuoso le rive del fiume di quella città, Sua “Madre per nutrizione”, dove aveva passato gran parte
dell'infanzia, dove cominciò a dipingere, dove sono custodite, donate alla
Città, le opere più significative del suo straordinario percorso artistico (Atza
ha fatto dono al Comune di molte sue
opere, custodite nella Pinacoteca Comunale). E Bosa ha ricambiato l’affetto e
la liberalità dell’artista, intitolando a Suo nome la Pinacoteca Comunale.
Il grande artista,
però, non ha mai dimenticato Bauladu, sua “Madre
naturale”, il suo dolce Paese natio. Gli amministratori nel 2008 (un anno
prima della sua morte avvenuta il 19 Gennaio del 2009), Gli avevano dedicato
una mostra antologica, e Lui aveva ricambiato donando a Bauladu l'ultimo dei
suoi quadri: la collinetta fiorita che sovrasta l'abitato e che ospita l’antica
chiesetta di Santa Vittoria. Quadro quest’ultimo che certamente lo riportava ai
suoi vivi ricordi di bambino, quando giocosamente si slanciava con impeto verso
il pendio della collina sul carrellino di ferula, in gara con gli altri
bambini. La tela, che rappresenta il sicuro amore dell’artista per il Suo paese
d’origine, unitamente ad altre sue opere di proprietà del Comune, fa bella
mostra di se nella nuova sala del Consiglio comunale.
I resti mortali del
grande artista ora riposano nel cimitero di Bosa. In questa sua seconda patria
aleggerà sempre il suo spirito: chi entra nella Pinacoteca a lui intitolata ha
l'opportunità di sfogliare le numerose pagine artistiche di un grande ed
eclettico pittore, interprete del mistero e del mito, degli scenari onirici e
di quelli reali, dei labirinti freudiani, così come della lettura semplice
della natura, nello stesso modo in cui noi tutti la vediamo. Il meraviglioso prato fiorito ai
piedi della collina di S. Vittoria, che noi tutti a Bauladu possiamo ammirare, ne è
un esempio eclatante.
Questo, cari amici, era Antonio Atza, grande maestro del colore, uno dei “Grandi” pittori della seconda metà del Novecento, bauladese D.O.C.!
Caro Sindaco Davide Corriga e cari amici
bauladesi, mi auguro che anche Bauladu voglia onorare degnamente uno dei suoi
figli migliori, intitolando (come ha già fatto Bosa) a suo nome una Pinacoteca,
anche modesta, dove allestire una mostra permanente delle sue opere più
significative; ricordandolo anche, magari unitamente alla città di Bosa, con manifestazioni
celebrative annuali o ricorrenti.
Credo, da Bauladese
verace, che tutta la popolazione apprezzerebbe!
Mario Virdis
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