giovedì, ottobre 31, 2024

LE “PANADAS”, UN ECCELLENTE PRODOTTO DELLA CUCINA SARDA DALL'ANTICA ORIGINE: FORSE ROMANA, EBRAICA O ADDIRITTURA NURAGICA!


Oristano 31 ottobre 2024

Cari amici,

Sulle origini della PANADA, quel particolare piatto sardo a forma di cestino ripieno, realizzato con una particolare pasta e che viene poi riempito con diversi ingredienti come carne di agnello, oppure anguille e diverse verdure, non vi è proprio certezza. C’è chi afferma che le Panadas siano un cibo di origine romana (lo stesso nome discendente del latino “Panem”), e chi, invece, come lo studioso ebraico  Pinhás Ben Abrahamle, deciso assertore che le Panadas trovano le loro radici nell’antica tradizione ebraica, quando gli ebrei, in fuga dalle persecuzioni, utilizzavano questo particolare “cestino di pane” ripieno di carne, o di anguille con  degli ortaggi, come cibo di sopravvivenza.

Gli studiosi dell’antica storia e cultura della Sardegna sono invece convinti che “Sa Panada” è la prosecuzione di un’antichissima ricetta che risale addirittura alla civiltà nuragica! Fin dal Neolitico e fino all’età del Bronzo, nell’isola risulta esserci stato uno sviluppo importante, sia culturale che culinario d’eccellenza. Secondo questi studi la Panada veniva preparata e consumata in modo simile a quello attuale: un involucro di pasta, ripieno di uva passa e carne d’agnello (in alcune ricette si impiegava l’anguilla); una particolare preparazione consumata specialmente dai pastori. Per moltissimo tempo, infatti, questo piatto è stato la base dell’alimentazione pastorale.

Quanto all’attuale termine “PANADA”, esso risulta utilizzato solo a partire dal XV secolo, derivato dalla lingua spagnola (che allora dominava la Sardegna), quasi certamente proprio dall’EMPANADA spagnola. Gli spagnoli, importando da noi la loro ricetta, cercarono di cambiare la nostra modificando gli ingredienti (al posto della carne, iniziavano ad essere utilizzati vari pesci e legumi), ma i sardi non apprezzarono particolarmente le modifiche alla ricetta originale, preferendo quella nostrana.

Amici, la Panada, comunque, ha varcato i secoli, ed è arrivata fino a noi, anche se con tante varianti nella sua composizione. Proviamo a vedere le più importanti. che variano notevolmente da zona a zona. I comuni più noti per le Panadas sono quelli di Assemini, Oschiri e Cuglieri. Tra queste, la più famosa è “Sa Panada” di Assemini, che recentemente è entrata nell’Elenco Nazionale dei prodotti tradizionali. Questa certificazione attesta qualità e origine della specialità della cittadina, posta a pochi km da Cagliari.

Ad Assemini la prima sagra de Sa Panada risale al 1987 e continua a tenersi nel primo fine settimana di settembre. Si tratta di un momento importante nel percorso di conoscenza di questo eccellente prodotto. Anche Roberto Pili, medico facente parte dell’associazione Comunità mondiale della Longevità, ha avuto modo di confermare la qualità e bontà di questa gustosa pietanza: “SA PANADA – ha affermato Pili - è da considerarsi alla stregua di un bene culturale-antropologico, che riassume le esigenze nutrizionali di un pasto completo: un vero e proprio gioiello della dieta sardo-mediterranea, una riuscita sintesi tra gusto e salute“.

Per la curiosità e la conoscenza da parte di Voi lettori, ecco come è realizzata Sa Panada asseminese. Ha una forma rotonda, quasi come una pentola, ed è costituita da una grande sfoglia di pasta lavorata che funge da recipiente. I bordi sono alti dai 5 ai 10 centimetri e all’interno viene riposto il gustoso ripieno, rigorosamente crudo. Per quanto riguarda il condimento, può essere a base di anguille o di carne d’agnello, con l’aggiunta di patate o carciofi, pomodori secchi e olio extravergine d’oliva. Ovviamente, in base alla stagione, le verdure possono variare: nei mesi primaverili Sa Panada può essere gustata anche con favette e piselli.

Amici, anche la preparazione di questo ottimo piatto non è tanto difficile. Ecco i passaggi della preparazione. Si parte dell’impasto; si versa in una ciotola la farina di semola, si unisce lo strutto e si inizia a impastare; poco a poco, aggiungendo l’acqua salata. Dopo aver lavorato il composto, fino a ottenere un impasto liscio e compatto, si  forma una palla che viene lasciata riposare per un’ora in frigorifero. Al termine con questa pallina si prepara una sfoglia che sarà la base della Panada, collocandola all’interno di una teglia; si alzano con le dita poi i bordi e si versa olio, sale, pepe, prezzemolo e aglio. Si aggiunge poi il contenuto: patate, verdure, carne d’agnello o anguille sopra i condimenti. 

Al termine, si chiude la Panada con un coperchio di pasta, sigillato con le dita. Al termine Sa Panada viene infornata a 180/190 gradi per almeno 90 minuti. Terminata la cottura, viene steso un velo di strutto di maiale così da conferirle maggiore lucentezza. Una volta pronta, si consiglia di gustarla tiepida, accompagnandola con un buon vino: magari un Vermentino di Gallura!

Cari amici, come ho scritto tante altre volte, la Sardegna è uno straordinario scrigno, pieno di ricchezze anche alimentari, e Sa Panada (io propendo per la tesi che quella attuale è la prosecuzione di una nostra ricetta nuragica) è uno di questi nostri gioielli. Facciamo in modo di farli conoscere questi tesori, queste prelibatezze culinarie, ai nostri visitatori!

A domani.

Mario

mercoledì, ottobre 30, 2024

È IN ARRIVO LA BATTERIA CHE NON HA BISOGNO DI RICARICA: DURA 50 ANNI! È PRODOTTA DALLA BEIJING BETAVOLT NEW ENERGY TECHNOLOGY, E DURA PRATICAMENTE QUANTO IL CELLULARE DOVE È MONTATA!


Oristano 30 ottobre 2024

Cari amici,

Seppure la notizia possa creare tanta gioia ed entusiasmo, una volta letti attentamente i componenti, credo che a tutti mettersi in tasca un cellulare con una “batteria nucleare” crei qualche timore! Certo, a sentire i costruttori queste batterie di nuova concezione non creano nessun pericolo radioattivo, ma - a dirla tutta - sapendo che all’interno c’è dell’uranio, seppure in decadimento, qualche brivido di certo attraversa la schiena! Ma vediamo meglio di cosa si tratta, partendo dalle origini.

Gli esperimenti di batterie funzionanti a energia nucleare furono fatti per alimentare i satelliti spaziali, tant’è che anche il generatore a radioisotopi (RTG), montato sul Rover Perseverance inviato su Marte è alimentato con questo sistema. Un sistema che usa il plutonio-238 per generare elettricità tramite l'effetto Seebeck, ma rilevando, però, che il plutonio è altamente tossico e inadatto per l'uso domestico. Ed ecco la scoperta, fatta dalla BEIJING BETAVOLT NEW ENERGY TECHNOLOGY.

La BETAVOLT, questa azienda cinese, ha trovato un sistema per introdurre un'innovazione che potrebbe rivoluzionare il panorama. Le nuove batterie beta-voltaiche da loro ideate sfruttano per  generare elettricità degli isotopi radioattivi, emettendo elettroni attraverso il decadimento beta e convertendo questi elettroni in elettricità grazie a strati di semiconduttori, utilizzando, però, degli isotopi particolari. Le prime versioni di queste batterie, negli anni ’70, utilizzavano il prometio, usato nei pacemaker, ma successivamente furono superate dalle batterie al litio.

Oggi, la Betavolt ha introdotto una interessante innovazione, sviluppando una versione più avanzata che utilizza l'isotopo nickel-63 inserito tra strati di semiconduttori a diamante. Queste batterie producono una potenza limitata – solo 100 micro watt, molto meno di una batteria AA – ma la loro vera forza sta nella durata. Mentre una normale batteria si scarica in poche ore, una batteria Betavolt può durare fino a 50 anni grazie al lento decadimento del nickel-63, che ha una vita media di 101 anni.

Amici, l’interesse per questa nuova batteria appare enorme: basti pensare che questa durerebbe enormemente di più del ciclo di vita medio di uno smartphone, tanto che i principali campi di applicazione potrebbero essere molti altri, tutti di sicuro interesse: come dispositivi aerospaziali o medici (vedi i pacemaker), sensori, micro robot o piccoli droni. Inoltre, i progettisti cinesi sono riusciti a miniaturizzare e contenere i costi di produzione a livelli accettabili per l'adozione commerciale di un dispositivo di questo tipo.

Sul mercato c’è già grande attesa, anche se il loro arrivo in grande stile arriverà solo quando sarà terminata la fase sperimentale. Le notizie in corso affermano che l'azienda cinese avvierà presto la produzione in serie - ed è la prima volta per una batteria nucleare - di BV100, una cella da circa 1 centimetro cubo (misura 15 x 15 x 5 mm, per intenderci una moneta da 2 euro è spessa 2,2 mm e ha un diametro di circa 23 mm) con tensione di 3 volt e potenza di 100 microwatt. Nel 2025 è addirittura in programma il lancio di una batteria da 1 watt!

Indubbiamente l’intelligenza e la capacità dei Paesi del Sol Levante sono così note da far pensare che a breve il mondo intero sarà dominato da loro! In un recente comunicato di Betavolt, si legge che questa scoperta “aiuterà la Cina ad assumere un ruolo guida nella rivoluzione dell'intelligenza artificiale”. Insomma una batteria a dir poco straordinaria, se pensiamo che trai suoi pregi, oltre la lunghissima autonomia ci sono ben altri punti di forza: ha una densità energetica 10 volte maggiore di una batteria al litio, non esplode e non prende fuoco, ha una generazione di energia stabile nel tempo, per cui la quantità fornita non dipende dalle condizioni operative o dall'usura, come avviene invece per le classiche batterie a celle elettrochimiche, ha un range operativo da -60 a 120 gradi Celsius e non emette radiazioni, per cui la si può utilizzare anche in campo medico.

Cari amici, il futuro dell’energia credo che sarà molto diverso da come noi lo concepiamo oggi, e, tra l'altro, vedrà la Cina protagonista!

A domani, cari lettori!

Mario

 

martedì, ottobre 29, 2024

L'ANTICO CIBO DEGLI AZTECHI E DEI MAYA, RISCOPERTO NEL TERZO MILLENNIO! I SEMI DI “CHIA”: UN AUTENTICO, BENEFICO “SUPER FOOD”!


Oristano 29 ottobre 2024

Cari amici,

I SEMI DI CHIA, ricavati dalla Salvia hispanica, una pianta della famiglia delle Lamiaceae, sono originari del Messico e dell'America Centrale. In passato erano largamente utilizzati nell’alimentazione dalle antiche popolazioni precolombiane (i Maya e gli Aztechi). Erano il loro cibo preferito, e la leggenda narra che i guerrieri Aztechi traevano dai semi di Chia la forza per vincere le loro battaglie. Insomma erano considerati un “supercibo”, talmente importante che le nazioni conquistate avevano l'obbligo di pagare un tributo annuale di circa 4.000 tonnellate di semi di chia al vincente popolo Azteco.

I semi di Chia, dunque, un cibo davvero potentissimo, ricco di energia e nutrimento. Il termine "Chia", infatti, nella lingua Maya significa "forza", a testimonianza del ruolo essenziale che questi semi avevano nelle diverse culture del passato. Oggi, grazie alla versatilità culinaria che li caratterizza e agli accertati, numerosi benefici per la salute, i semi di Chia sono stati riscoperti e riconosciuti come “UN SUPERFOOD”, confermato dai numerosi studiosi e dagli amanti dello stile di vita salutista in tutto il mondo.

È proprio grazie alle straordinarie sostanze contenute in questi semi, che non solo nutrono chi li mangia, ma risultano essere dei grandi alleati della salute; questo ha fatto sì che il loro consumo è ora fortemente consigliato dai nutrizionisti. Trai tanti effetti benefici, c’è da dire che il loro consumo favorisce la digestione e protegge dai radicali liberi. Ecco i numerosi altri motivi per cui vale la pena inserire i semi di Chia nella propria dieta. È proprio grazie alla loro bontà e alla versatilità culinaria che li caratterizza,  che i semi di Chia sono oggi riconosciuti come un autentico SUPERFOOD.

La nutrizionista e biologa, dr.ssa  Valentina Palazzo, operativa nel LABQUARANTADUE di Milano, riferendosi ai semi di chia così si esprime: «I semi di chia sono ricchissimi di fibre, proteine, grassi omega-3, calcio, manganese, magnesio e fosforo. Il loro consumo aiuta a migliorare la salute digestiva, a ridurre il rischio di malattie cardiache, a controllare i livelli di zucchero nel sangue e a promuovere la salute delle ossa. I semi di chia sono inoltre una preziosa fonte di antiossidanti e aiutano a proteggere il corpo dai danni dei radicali liberi. A dispetto della loro piccola dimensione, questi semi sono incredibilmente nutrienti. Inoltre, grazie alla loro innata capacità di assorbire l’acqua, possono aiutare a mantenere l’organismo idratato, oltre a promuovere un senso di sazietà».

Ebbene, amici, chi non li conosce si chiede come possono essere consumati questi semi di Chia. A rispondere è sempre la dr.ssa Palazzo: «I semi di Chia possono essere facilmente integrati nella dieta quotidiana; per prima cosa possono essere aggiunti a smoothie, yogurt, latte, pudding, macedonie, zuppe e insalate oppure usati per preparare ricette per dolci e pani. Un modo popolare per consumarli è ammorbidirli in acqua o in un altro liquido per formare un gel, che può essere consumato da solo o aggiunto ad altri alimenti. Questo gel può anche essere usato come sostituto dell’uovo in molte ricette. Inoltre i semi di Chia possono essere macinati e usati come farina in ricette senza glutine adatte ai celiaci».

Amici, ovviamente, come del resto per molti altri prodotti naturali, chi li usa deve necessariamente tener presente la giusta quantità da introdurre nella dieta e le possibili, eventuali controindicazioni. La cosa importante da ricordare è che i semi di chia assorbono una grande quantità di liquido; quindi, è importante bere molta acqua quando li si consuma. Il controllo della quantità è importante, in quanto alcune persone, in caso di eccesso, potrebbero sperimentare dei disagi gastro-intestinali, quindi è meglio iniziare con piccole quantità e aumentare poi gradualmente le dosi. Infine, in presenza di problemi di deglutizione o di una malattia esofagea, è opportuno evitare di mangiare semi di chia secchi, poiché possono espandersi e bloccare l’esofago.

Cari amici, i nutrizionisti, come accennato prima, consigliano un uso moderato dei semi di chia: le dosi consigliate (raccomandate) sono pari a 10 grammi al giorno (circa 1 cucchiaio), ma ci sono casi in cui, per aumentare il loro effetto benefico, la quantità può essere aumentata a 20-25 grammi al dì. Non di più, però, perché consumare quotidianamente troppi semi di chia rischia di avere uno spiacevole effetto lassativo. Insomma, come in tutte le cose, il consiglio è quello di usare sempre la giusta quantità, ovvero di non esagerare mai!

A domani amici lettori.

Mario

lunedì, ottobre 28, 2024

ORISTANO: LA BOTTEGA ORAFA DEI ROCCA ALLA RIBALTA SU RAI-LINEA VERDE. I DUE MAESTRI ORAFI ORISTANESI DI ORIGINE BARBARICINA, A CONFRONTO CON LA REALTÀ ORAFA NAZIONALE.


Oristano 28 ottobre 20324

Cari amici,

Quella dei Rocca è una dinastia di argentieri, arrivati ad Oristano dall'interno dell'Isola. Nel 1° decennio dell’800, un avo di Nanni Rocca, esercitava a Gavoi la professione di notaio; abitava nella parte più segreta e antica del paese, quella di Sa Corte manna. Fu il padre di Nanni, Luisu, insieme ad Annesa e Zuannica, ad iniziare il lavoro di “Argentieri”, ovvero a lavorare l’argento, di cui era ricco il sottosuolo sardo. Fu proprio a Sa Corte manna, che l’argento lavorato dai Rocca iniziò a prendere vita, sfornando gioielli di rara bellezza.

La bottega si sviluppò presto, e, come spesso è avvenuto per tanti montagnini scesi in pianura, arrivò il trasferimento della bottega-laboratorio ad Oristano. Qui l’attività decollò alla grande, tanto che col passare degli anni la notorietà crebbe a dismisura, e oggi i gioielli dei Rocca, sono presenti anche nei quattro musei della Sardegna. Inoltre, nel loro Laboratorio Orafo, sono state realizzate meravigliose opere, destinate ai Presidenti emeriti della Repubblica Ciampi, Scalfaro e Cossiga, oltre che ad altre importanti personalità dello spettacolo e della politica italiana ed estera.

I gioielli creati dai Rocca sono autentici capolavori, come il rosario donato a Papa Giovanni Paolo II, in occasione della sua memorabile visita pastorale ad Oristano il 18 Ottobre 1985, e c'è da dire che anche l’aureola che adorna la Madonna di Fatima, donata alla Chiesa arborense da un’anonima benefattrice, è un'opera da loro creata. L’Orafo Nanni Rocca, ora aiutato dal figlio Pierluigi, continua il suo percorso di divulgazione e salvaguardia della storia del gioiello scaramantico sardo, riprodotto nella continuità della tradizione orafa della famiglia Rocca, con gli stessi materiali, le stesse tecniche, le stesse intenzioni e lo stesso spirito dei gioielli originali presenti in Sardegna dal 1700, sino ai giorni nostri.

Ebbene, anche la RAI, appreso della fama acquisita dai ROCCA, ha inviato le telecamere di “Linea Verde Start” nel loro laboratorio. I maestri orafi artigiani Nanni e Pierluigi Rocca sono stati i protagonisti della puntata di “Linea Verde Start”, la trasmissione televisiva condotta da Federico Quaranta, andata in onda sabato 26 ottobre su Rai 1 alle 12. Le telecamere RAI hanno, dunque, fatto tappa nella nostra Oristano, nella via Figoli sede del laboratorio, per incontrare la famiglia di orafi più antica e longeva in Sardegna, e probabilmente di tutta Italia.

La dinastia di argentieri e maestri orafi ROCCA è arrivata già alla sesta generazione di maestri filigranisti, una realtà che ha saputo coniugare passione, tradizione, innovazione, competenze, creatività e capacità di guardare al futuro, coniugando l’abilità artigiana con una capace visione imprenditoriale. La Rai ha voluto mostrare al pubblico televisivo il “saper fare artigiano sardo” elaborato dai Rocca, e lo ha fatto ripercorrendo, attraverso interviste ed immagini, le tappe della loro storia dell’impresa. Una storia che ha visto mettere in risalto anche i meravigliosi gioielli trovati a Tharros, con la riproduzione di un bracciale fenicio, rinvenuto proprio nell’area archeologica del Sinis, e perfettamente riprodotto da Pierluigi Rocca.

Amici, la famiglia Rocca è depositaria fin dal 1700 dei modelli distintivi delle collane, delle spille, dei bottoni e delle “ganciarie” (antichissimi ornamenti funzionali alla chiusura posteriore delle gonne), sapientemente riprodotti con tecniche arcaiche di modellazione e incastonatura e soprattutto di fusione negli stampi creati dai bianchissimi ossi di seppia. Notevole anche la produzione di gioielli scaramantici, che nella tradizione sarda continuano ad essere cercati e utilizzati.

Il Presidente di Confartigianato Imprese di Oristano Sandro Paderi, si è così espresso: “Siamo orgogliosi che Rai1 abbia scelto il nostro territorio per il nuovo ciclo di puntate della trasmissione Linea Verde Start, puntando l’attenzione su un comparto così rappresentativo come quello dell’arte orafa. Questa nuova edizione del programma ha un format rinnovato, che mira a valorizzare l’eccellenza dell’artigianato italiano, raccontando un settore intrecciato con le specificità territoriali attraverso le testimonianze dirette degli imprenditori di Confartigianato”.

Anche il Segretario di Confartigianato Marco Franceschi ha voluto esternare la sua opinione: “Nelle mani delle donne e degli uomini passa tutta intera la storia di una Comunità e anche in questa puntata verrà confermato come la tradizione dell’artigianato sardo non sia qualcosa di statico ma un elemento sempre in evoluzione”. “Orgoglio, passione, manualità e genio sono le caratteristiche delle nostre produzioni artigiane e la vera forza delle nostre imprese – ha aggiunto il Segretario – realtà che sono perlopiù familiari e proseguono la tradizione dei loro predecessori. Con questa importante iniziativa Confartigianato, in collaborazione con la Rai, dà voce e visibilità al nostro mondo artigianale, così unico e valoroso nel creare eccellenze e nel mantenere vive e vitali storia e tradizioni della nostra terra”.

Credo che non ci sia molto altro da aggiungere: il nostro mondo artigiano è stato, è e sarà sempre di grande eccellenza, nel rispetto della nostra orgogliosa tradizione!

A domani.

Mario

domenica, ottobre 27, 2024

L'ANTICO ISOLAMENTO TERMICO DELLE CASE. MATERIALI COME LANA DI PECORA, SUGHERO E TERRA CRUDA, USATI FIN DAL NEOLITICO, RISCOPERTI PER LE COSTRUZIONI DI OGGI.


Oristano 27 ottobre 2024

Cari amici,

L’isolamento termico relativo alle abitazioni ed ai luoghi comunitari, è sempre stato per l’uomo un problema importante da risolvere, sia per difendersi dal freddo che dal troppo caldo. Impedire la dispersione del calore durante l’inverno e mantenere l’ambiente fresco d’estate, è stato sempre risolto dall'uomo con intelligenza, utilizzando i materiali al momento disponibili. In Sardegna, perfino nel periodo nuragico, i nostri antenati cercarono di migliorare il confort delle costruzioni abitative addossate ai Nuraghi, inserendo del sughero tra le pareti.

Un esempio, anche se ha bisogno ancora di alcune conferme, è quello relativo al nuraghe NURADDEO, uno dei nuraghi meglio conservati della Sardegna, che si trova nelle vicinanze di Suni, dove recenti scavi lo hanno messo in luce dei frammenti di sughero disposti lungo le pareti. Se confermato dall’esame del carbonio-14, questo ritrovamento eccezionale, verrebbe a confermare che i nuragici usavano il sughero come isolante termico non solo nelle capanne, ma anche nei nuraghi.

Oggi esiste un ampio campionario di materiali da utilizzare per l’isolamento termico, sia sintetici che naturali, anche se c’è da dire che i materiali naturali si sono dimostrati "quelli da preferire" per le loro proprietà ecologiche e biodegradabili. Dopo aver saggiato, infatti, tutta una serie di materiali sintetici, negli ultimi anni si è assistito a un crescente, rinnovato interesse per le tecniche di isolamento termico ispirate ai metodi tradizionali utilizzati dai nostri antenati. Si, amici, proprio un ritorno alla natura nell’isolamento delle moderne costruzioni!

Con l’obiettivo di soddisfare anche i criteri di sostenibilità fissati per il 2030, l’Unione Europea ha invitato tutti i Paesi membri ad applicare i criteri di sostenibilità, che implicano “un benessere ambientale, sociale, ed economico costante e preferibilmente crescente, nella prospettiva di lasciare alle generazioni future una qualità della vita non inferiore a quella attuale“. Negli ultimi anni, il settore delle costruzioni ha rivolto la propria attenzione proprio verso l’uso di materiali naturali per l’isolamento termico, e, tra questi, vi è la riscoperta di materiali che non vengono utilizzati dai tempi antichi, materiali che, rielaborati in chiave moderna, possono essere egregiamente adattati alle attuali esigenze, offrendo così una valida alternativa ai materiali tradizionali inquinanti.

Un’innovativa proposta è arrivata da uno studio di architettura spagnolo, situato ad Ayerbe, chiamato Edra Arquitectura Kilómetro 0, che ha sviluppato un materiale chiamato Lana Terra, composto da lana di pecora e terra cruda, perfetto per l’uso nelle facciate e nelle pareti di edifici ecologici. Dopo oltre due anni di ricerca e test di efficienza, si può affermare che è stato creato un prodotto che non solo è sostenibile, ma anche altamente performante, privo di qualsiasi impatto ambientale negativo.

Lo studio di architettura prima ricordato ha maturato l’idea mentre si occupava della costruzione di una “Casa ecologica” nei Pirenei; l’idea alla base dell’uso di Lana Terra è nata dalla necessità di utilizzare proprio i materiali isolanti naturali, che in loco erano abbondanti e disponibili. Il team di Edra ha affrontato questa sfida, incorporando le proprie competenze nella tecnologia costruttiva a base di terra; l’aggiunta di fibre di lana ha portato notevoli miglioramenti in termini di resistenza, creando un materiale più leggero e robusto, compatibile con le costruzioni in legno attuali.

Amici, personalmente posso dire che in Sardegna questo antichissimo sistema (seppure al posto della lana di pecora da noi era usata la paglia di grano) è stato a lungo applicato nella costruzione delle case, realizzando sia le pareti esterne che quelle interne in mattoni crudi, con copertura della costruzione (prima della posa in opera delle tegole in terracotta), con un’intelaiatura di canne (Orrios e Cannizzada) spalmata con un impasto di terra cruda miscelata alla paglia. Questo sistema costruttivo offriva (ed offre ancora oggi) eccellenti proprietà di isolamento termico.

Tornando all’uso della  Lana Terra, il prodotto reinventato dallo studio spagnolo di architettura, questo, grazie alla combinazione della  lana di pecora e della terra cruda ha dimostrato eccellenti proprietà di isolamento sia termico che acustico. La sua alta inerzia termica permette di mantenere un ambiente confortevole, assorbendo il calore durante il giorno e rilasciandolo durante la notte. Insomma un’innovazione che, frutto dell’esperienza passata, potrebbe segnare un importante passo avanti nelle costruzioni del futuro, contribuendo a creare edifici più efficienti e con basse emissioni di CO2.

A domani.

Mario

sabato, ottobre 26, 2024

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO IMPONE UN DIVERSO UTILIZZO DELL'ACQUA, SEMPRE PIÙ SCARSA. I DIVERSI METODI DI IRRIGAZIONE DEL FUTURO.


Oristano 26 ottobre 2024

Cari amici,

Tempio nuragico dell'acqua - S. Cristina 

Da sempre la civiltà umana si è sviluppata nelle vicinanze dei corsi d’acqua: sorgenti, fiumi e laghi. L’uomo è grazie alla presenza dell’acqua dolce che ha costruito la sua vita, venerando fin dai tempi più antichi quel prezioso elemento, erigendogli addirittura dei templi ed effettuando rituali in suo onore. Sui fiumi ha poi costruito dighe, ideando sistemi di irrigazione e altre strutture per le coltivazioni, che hanno permesso alle civiltà di crescere e prosperare. Col passare del tempo, però, nel pianeta sono avvenuti diversi cambiamenti climatici, tanto che oggi i sistemi idrici di una volta sono andati in sofferenza, principalmente per la derivante siccità, causata dalle piogge sempre più scarse.

L'Omodeo in secca

Focalizzando l’attenzione sulla nostra Sardegna, che soffre particolarmente la sete, con i bacini di raccolta i cui livelli sono sempre più bassi e le falde acquifere sotterranee impoverite e alcune addirittura prosciugate, le preoccupazioni crescono a dismisura, con i conseguenti danni sia dal punto di vista alimentare che quelli causati alle coltivazioni. Insomma, si teme di arrivare ad un punto di non ritorno, senza, urgenti, interventi strutturali importanti. Forse per anni ci siamo cullati nell’idea che nel mondo l’acqua era talmente abbondante da poterla sprecare!

Si, la convinzione di tanti di noi è che l’acqua, coprendo il 70% del nostro pianeta, è un bene abbondante, praticamente infinito. Si ignora, infatti, che solo il 3% dell’acqua oggi presente del mondo è acqua dolce e due terzi di questa è nascosta nei ghiacciai o comunque non immediatamente disponibile per il nostro uso. Inoltre, la piccola percentuale residua è sempre più inquinata a causa delle attività dell’uomo. Inoltre, altro dato negativo, è che fino ad oggi è stata prelevata a ritmi eccessivi, che non consentono ai bacini idrici di ricaricarsi in tempo, considerati i sempre più lunghi periodi di siccità causati dal cambiamento climatico.

Che fare, dunque, per evitare quella che in realtà potrebbe essere definita proprio una catastrofe? La risposta è una sola: risparmiare l’acqua in ogni modo possibile, in particolare quella utilizzata per uso agricolo, in quanto tutte le produzioni alimentari dipendono dall’acqua. Si, l’agricoltura utilizza il 70% dell’acqua dolce disponibile nel mondo, e, cosa davvero seria, più della metà viene sprecata! Questo uso smodato della risorsa idrica sta, perciò, prosciugando fiumi, laghi e falde acquifere, con ritmi con non consentono la naturale rigenerazione. Risparmiare l’acqua è diventato un imperativo assolutamente ineludibile!

Gli studiosi stanno portando avanti nuove tecniche finalizzate al risparmio dell’acqua in agricoltura, come le tecniche di “irrigazione  sostenibile”, che  prevedono il passaggio dall’irrigazione tradizionale a quella a goccia, sottotraccia; altro suggerimento è quello di incentivare anche l’utilizzo della raccolta delle acque piovane, che potrebbero anch’esse dare una grossa mano. L’obiettivo è quello di ridurre al minimo l’attuale spreco di acqua, aumentandone l’efficienza, in modo da sostenere senza sprechi la produzione agricola anche in periodi di siccità prolungata.

Amici, l’irrigazione a goccia è un eccellente metodo di irrigazione, che consente di distribuire l’acqua direttamente alle radici delle piante, riducendo al minimo le perdite per evaporazione e percolazione. Questo sistema utilizza tubi o nastri dotati di piccoli fori o gocciolatoi che rilasciano l’acqua lentamente e in modo controllato. In questo modo, le piante ricevono la giusta quantità di acqua di cui hanno bisogno, senza sprechi. Questo sistema può ridurre il consumo di acqua fino al 50-70% rispetto ai metodi tradizionali di irrigazione.

Come accennato prima, anche incentivare la raccolta delle acque piovane è un ottimo suggerimento. L’acqua piovana è una risorsa naturale facile da conservare. In città è un ottimo sistema per l’irrigazione dei giardini,  in particolare durante i periodi di siccità, quando l’acqua potabile è scarsa e costosa. L’acqua piovana è anche più dolce e meno trattata rispetto all’acqua del rubinetto, il che la rende ideale per l’irrigazione delle piante. Per raccogliere l’acqua piovana, è possibile installare delle grondaie, con dei tubi di scarico che la convogliano su un serbatoio di raccolta. L’acqua raccolta potrà, poi, essere utilizzata per l’irrigazione del giardino e dell’orto con un sistema di irrigazione a goccia o con un tubo flessibile.

Cari amici, viviamo un periodo di grandi cambiamenti climatici, per cui ogni nostro sforzo per il risparmio dell’acqua sarà senz’altro positivo per affrontare nel modo giusto la siccità rinveniente e garantire la sicurezza alimentare a lungo termine. Risparmiare l’acqua credo sia un dovere di tutti noi, nessuno escluso, perché, se ognuno di noi fa la sua parte, il futuro del mondo sarà meno preoccupante.

A domani.

Mario