martedì, ottobre 28, 2025

LA VITA DI RELAZIONE NELL'ATTUALE ERA IPER-TECNOLOGICA. ECCO COME I SOCIAL HANNO STRAVOLTO LA RELAZIONE SOCIALE: COMUNICHIAMO PER IMMAGINI, INCAPACI DI CONFRONTARCI, ASCOLTARE E ASCOLTARCI.


Oristano 28 ottobre 2025

Cari amici,

Lentamente ma inesorabilmente abbiamo smesso di relazionarci con gli altri, come da sempre si era fatto: con il dialogo, il confronto e l’ascolto. Nel presente millennio, è difficile vedere nelle piazze, nelle panchine, o durante le passeggiate, persone che dialogano piacevolmente tra loro, raccontandosi a vicenda fatti, avvenimenti e problemi. Cessate anche le conversazioni a distanza, in particolare col telefono, mentre prima erano il terreno naturale di scambio delle diverse situazioni personali vissute. Erano momenti reali di vita, seppure non in presenza ma con la voce, che, nella diversità delle intonazioni, con le immancabili esitazioni, i silenzi, le pause e le inflessioni, servivano a mostrare e a condividere con l’altro la propria condizione, bella o brutta che fosse.

Tutto questo oggi è solo un ricordo del passato! Ora le conversazioni sono state soppiantate dai brevi messaggi scritti o vocali, dalle foto con brevi commenti, quasi che la comunicazione spontanea fosse diventata obsoleta, un retaggio del passato, un rischio da evitare! Insomma, la comunicazione per immagini e brevi messaggi ha eliminato la sincera relazione sociale, perdendo quell’importante momento di confronto e di ascolto dell’altro, oltre che quello proprio di ascoltarsi! Si, i Social, oggi sono la forma più immediata di comunicazione, con l’alto rischio di farci perdere la capacità di “Ascoltarci e Ascoltare l’altro”!

Amici, questo modo nuovo di comunicare, sintetico e veloce, non concede tregua, e se un messaggio di testo appare troppo lungo, viene quasi sempre ignorato, dopo aver letto le prime righe, quasi richiedesse troppo impegno a leggerlo per intero! Lo si legge a tratti, saltando da un rigo all’altro, scansando frasi intere, e dettagli narrativi. È subentrata, insomma, una pigrizia collettiva, come se la vita fosse una corsa da vincere a tutti i costi! E succede a tutte le ore del giorno e della notte, in particolare sui nostri smartphone, quando il trillo dei messaggi continua senza sosta. Si legge l’incipit, si scorre il testo e si chiude con fastidio.

Ma ciò che forse sfugge a tutti noi è come la nascita e il consolidamento di queste “Relazioni telegrafiche”, sempre brevissime, stanno trasformando anche le precedenti relazioni faccia a faccia! Una volta sperimentata la brevità delle relazioni online, la velocità e l’interruzione continua finiamo per replicarla inconsapevolmente anche dal vivo. In questo senso, il legame tra comunicazione digitale e comunicazione fisica è biunivoco. Non è solo lo schermo a plasmare i nostri modi di parlare, ma sono le nostre abitudini quotidiane a confermare e rafforzare questi deleteri nuovi modelli comunicativi.

Si, amici lettori, giorno dopo giorno anche la conversazione fisica assume i tratti di una chat, fatta di battute brevi, poca attesa, minore profondità, ricerca dell’emozione istantanea. Sentenze preconfezionate chiudono inesorabilmente il discorso, anche nelle relazioni più intime, attraverso frasi come: “lo so perfettamente io sono fatto così”, “non sono d’accordo, allora non hai capito come sono”, troncando il confronto e abolendo il cambiamento condiviso. È il segno che le due dimensioni della comunicazione, quella digitale e quella reale, non viaggiano in parallelo, ma si intrecciano e si modificano reciprocamente, fino a creare aridi blocchi relazionali.

Molti sociologi e studiosi della comunicazione parlano di “SOCIETÀ DELLA DISATTENZIONE”, un contesto in cui la frammentazione informativa erode la capacità di concentrazione e, con essa, la qualità dei legami. Non a caso SHERRY TURKLE, pioniera negli studi sul rapporto tra tecnologia e relazioni umane già in epoca pre-covid, ha intitolato il suo libro “Insieme ma soli - Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri” (Einaudi, 2019). La Turkle insegna Sociologia della scienza e della tecnologia al MIT, e da decenni osserva come il digitale trasformi la psicologia sociale.

Cari amici, concordo sul fatto che viviamo una Società arida, quella che Riesman ha definito “LA FOLLA SOLITARIA”, nella quale, seppure virtualmente connessi con centinaia di persone, diventiamo progressivamente meno capaci di essere veri esseri sociali. Il triste risultato è che ci raccontiamo molto in modo arido, ma ci comprendiamo poco. La grande sfida della comunicazione contemporanea è recuperare la vera relazione sociale, fatta di attenzione all’altro, di dialogo vero, fatto principalmente di persona, attraverso un ascolto e uno spazio d’incontro autentico, vissuto senza fretta e senza clamore. Ne saremo capaci?

A domani.

Mario

lunedì, ottobre 27, 2025

UN CAVOLO ORIENTALE PARTICOLARE: IL “PAK CHOI”. ALQUANTO SALUTARE, E ORA COLTIVATO ANCHE DA NOI.


Oristano 27 ottobre 2025

Cari amici,

Che il CAVOLO sia un ortaggio alquanto salutare, amato e molto utilizzato, è una realtà inequivocabile. Sul cavolo e le sue grandi virtù ho già avuto modo di scrivere positivamente su questo Blog, come può andare a leggere chi clicca su questo link che riporta il mio post del 23 gennaio 2020: https://amicomario.blogspot.com/2020/01/il-cavolo-un-ortaggio-dalle-mille-virtu.html. Nella nostra cucina mediterranea sono ampiamente utilizzate numerose varietà di cavolo, le cui più note vanno dal cavolfiore al cavolo cappuccio, dal cavolo verza al broccolo. Ora, però, anche nei nostri territori si sta curiosamente inserendo un tipo di cavolo particolare, un ortaggio dal sapore esotico: il “PAK CHOI”, conosciuto anche come cavolo cinese.

Con il diffondersi della Globalizzazione, con la disponibilità di merci di ogni tipo provenienti da tutte le parti del mondo, ora questo cavolo orientale risulta presente anche nei nostri supermercati e nei negozi biologici italiani. Il PAK CHOI incuriosisce per la sua forma particolare, a metà tra un porro, un finocchio e un cavolo. È un ortaggio coltivato da secoli in Asia, in particolare  in Cina e nel sud-est asiatico, con una storia di coltivazione che risale ad almeno il V secolo a.C.

Il Pak Choi risulta molto apprezzato per il suo sapore delicato e la sua versatilità culinaria, considerato che può essere consumato sia crudo che cotto, abbinabile con una grande varietà di pietanze. Oggi risulta, come accennato, ben diffuso anche in Europa, dove è coltivato e consumato. Anche in Italia è da tempo coltivato in alcune regioni, in quanto sta diventando un ingrediente molto apprezzato in cucina, in particolare in quelle innovative, che amano sperimentare.

Amici, anche Il PAK CHOI come accennato prima appartiene alla famiglia delle brassicacee; il suo gusto risulta leggermente amarognolo, con un sapore fresco e croccante, con note che ricordano gli spinaci. È un ortaggio sano, che offre molti benefici al nostro organismo,  essendo molto ricco di vitamine e sali minerali: Vitamina A (benefica per pelle e vista), Vitamina C (antiossidante naturale che rinforza le difese immunitarie), Vitamina K (utile per le ossa e il sangue), oltre a Magnesio, calcio e selenio, minerali preziosi per cuore, per il sistema nervoso e le ossa.

Come per gli altri cavoli, il consumo di PAK CHOI fa bene all’organismo in quanto possiede proprietà antinfiammatorie, antietà e persino antitumorali; è, inoltre, ipocalorico (solo 13 kcal per 100 g), ha un basso indice glicemico ed è ricco di fibre, ideali per regolare la digestione e mantenere sotto controllo glicemia e colesterolo. In cucina il pak choi è molto versatile. Si può gustare crudo in insalata, saltato in padella o aggiunto a zuppe, minestre e piatti a base di carne, pesce o tofu. Perfetto nelle ricette stir-fry (è la frittura al salto, in inglese stir frying), una particolare tecnica di cottura cinese nella quale gli ingredienti sono fritti in una piccola quantità, può sorprendere anche in abbinamento a piatti mediterranei: saltato con olio extravergine d’oliva, aglio, peperoncino e un filo di salsa di soia, diventa un contorno sfizioso e salutare.

Amici, se ancora non lo avete provato, il mio consiglio è quello di iniziare a provarlo! Partite da un'idea fresca: preparate una insalata di pak choi, per accompagnare un secondo di carne o di pesce. Ecco come prepararla. Tagliate finemente il pak choi, aggiungete carota grattugiata e fettine di mango. Condite con una salsa ottenuta mescolando burro di arachidi, succo di lime, salsa di soia, miele e un pizzico di peperoncino. Gusterete un piatto leggero, colorato e pieno di energia.

Cari amici lettori, gli asiatici consumano il PAK CHOI da più di 1.500 anni. La cultura orientale, come ben sappiamo, è antica e raffinata, ed è sempre stata valida ed efficace. Consumare regolarmente questo particolare cavolo ci sarà utile anche per ritardare l’invecchiamento, abbassare il livello di zucchero nel sangue e allevia le infiammazioni. Credo, amici lettori, che questo cavolo sia proprio da provare e introdurre nella nostra dieta!

A domani.

Mario

domenica, ottobre 26, 2025

PERCHÉ DIVENTIAMO ABITUDINARI? ECCO LE MOTIVAZIONI CHE PORTANO IL NOSTRO CERVELLO A FARCI ADOTTARE LE ABITUDINI.


Oristano 26 ottobre 2025

Cari amici,

Credo che tutti noi, chi più chi meno, ogni giorno facciamo tante cose “PER ABITUDINE”. Lo stimolo a comportarci in un certo modo ripetitivo viene dal nostro cervello, che, essendo un organo che consuma molta energia, cerca sempre di automatizzare i comportamenti ripetuti per ridurre il dispendio energetico. Risparmiare energia risulta quindi basilare, e questo avviene trasformando i comportamenti ripetuti in processi automatici, che richiedono meno sforzo cognitivo, raggiungendo così lo scopo.

Il cervello umano è programmato per creare “Le abitudini” come una forma di efficienza cognitiva. Quando noi ripetiamo un'azione più volte, il nostro cervello trasforma quel comportamento in un'abitudine per risparmiare energia mentale e fisica. Questo processo si svolge nel ganglio basale, una parte del cervello associata alla gestione delle abitudini e delle azioni automatiche. Il neuropsicologo Donald Hebb ha sviluppato la teoria che "i neuroni che si attivano insieme, si legano insieme". Ciò significa che, quando ripetiamo un'azione, le connessioni neurali si rafforzano e il comportamento diventa sempre più automatico. Una volta creata, un'abitudine può essere attivata in risposta a determinati segnali ambientali, come l'ora del giorno o il luogo in cui ci troviamo”.

Amici, trasformare certe nostre azioni quotidiane in abitudini, non è solo questione di efficienza e di risparmio energetico, in quanto esse influenzano anche profondamente il nostro benessere psicologico. Creare routine che incorporano attività di cura di sé, come l'esercizio fisico o la meditazione, può ridurre lo stress, migliorare l'umore e aumentare la resilienza. Alcuni studi hanno dimostrato che le persone che seguono routine regolari hanno maggiori probabilità di raggiungere i propri obiettivi e mantenere uno stato di equilibrio emotivo.

Le abitudini positive, oltre a migliorare il nostro benessere mentale, giocano un ruolo cruciale anche nella produttività, in tutti i campi. Lo possiamo constatare negli atleti di alto livello, che sviluppano routine precise per allenarsi, mangiare e riposare, ottenendo il massimo delle prestazioni con il minimo sforzo mentale, così come nella vita lavorativa. Un comportamento di routine ben strutturato aiuta ad evitare la procrastinazione e migliorare la concentrazione. Le persone che sviluppano routine specifiche per affrontare le loro attività lavorative quotidiane risultano più efficienti e hanno meno probabilità di sentirsi stressate. Avere, per esempio, un orario fisso per determinati compiti può ridurre l'ansia e aumentare la qualità del lavoro.

Amici lettori, le abitudini, come detto prima, servono, da un lato, a creare al nostro cervello risparmio energetico, che, a sua volta, si sdebita dandoci, come ricompensa, della gratificazione: il cervello lo fa rilasciando della dopamina, ricompensa che può essere immediata o a lungo termine, rafforzando così il comportamento ripetitivo trasformato in un'abitudine. Questo processo neurologico, noto come "loop dell'abitudine", è fondamentale per mantenere e consolidare i nuovi comportamenti, rendendo gratificante la ripetizione dell'azione.

Per quanto ovvio, è giusto ribadire che, oltre le abitudini positive, esistono anche quelle negative. Le abitudini benefiche per il nostro cervello includono tutta una varietà di ripetizioni utili, come un sonno di qualità, un’attività fisica costante, la stimolazione cognitiva, una socializzazione costante, oltre ad una buona e salutare dieta, mentre sono numerose anche le cattive abitudini, che partono dalla sedentarietà e da una alimentazione scorretta, per arrivare ad una serie di “vizi” che vanno dal fumo all’alcool, fino alle droghe, da quelle leggere a quelle pesanti, tutti comportamenti deleteri per l’intero organismo. Per eliminare una cattiva abitudine bisogna, però, essere forti, ovvero capaci di resistere ai potenti segnali che la attivano ed alla ricompensa che se ne riceve.

Cari amici, cambiare abitudini, creandone delle nuove non è semplice, sia che intendiamo modificare quelle positive, sia che cerchiamo di eliminare quelle negative. Rompere una cattiva abitudine richiede la stessa attenzione e costanza necessaria per formare una nuova “buona abitudine”, ma con un'attenzione particolare alla gestione dei fattori scatenanti. Le abitudini e le routine, non dimentichiamolo mai, sono molto di più che semplici azioni ripetute: sono i mattoni su cui costruiamo la nostra vita quotidiana. Il potere delle nostre abitudini!

A domani, amici lettori.

Mario

 

 

sabato, ottobre 25, 2025

I RISCHI NELLE RELAZIONI SOCIALI NELL'ATTUALE MONDO IPER-TECNOLOGICO. SU INTERNET SPOPOLANO IL GHOSTING E IL BREADCRUMBING.


Oristano 25 ottobre 2025

Cari amici,

Sulle relazioni sociali presenti nel periodo ipertecnologico che stiamo vivendo, ho già scritto diverse volte su questo blog; purtroppo, in poco meno di un secolo, sono tramontate le relazioni basate sulla fisicità, per approdare, senza se e senza ma, a quelle virtuali, vissute quotidianamente sui social. Se è pur vero che “I SOCIAL” possono agevolare la relazione sociale, facilitando la conoscenza reciproca, questa risulta alquanto diversa da quella fisica, e in qualsiasi momento può trasformarsi, inaridirsi e sparire velocemente, favorendo fenomeni come il GHOSTING e il BREADCRUMBING, con ricadute e rischi psicologici di non poco conto.

Le relazioni virtuali, mancando la presenza fisica, nascono fragili, e la loro durata risulta difficile da stabilire, per cui, spesso, possono interrompersi velocemente, dando vita a quel fenomeno noto come GHOSTING, che indica un’interruzione senza spiegazioni, oppure al BREADCRUMBING, termine che indica la prosecuzione arida della relazione, che, anziché decollare, si inceppa, dando vita ad una continuazione apparente, senza dialogo, fatta esclusivamente da una caterva di like, di sms, di chiamate formali e nulla di più.

Le relazioni virtuali su Internet inizialmente appaiono interessanti, si inizia cercando la conoscenza reciproca, fatta di dialoghi e foto, di norma senza riuscire a vedersi. Nelle prime fasi si pensa di aver incontrato la persona giusta, ci si sente capiti, amati, accettati, seppure manchi la presenza fisica. Col passare del tempo, mancando la conoscenza fisica, il tempo passa senza fare passi avanti; non essendoci alcuna frequentazione dal vivo, seppure capiti di incontrarsi casualmente per strada, se non ci si accorda per vedersi da soli, ognuno continuerà ad andare per la propria strada.

Amici, la relazione virtuale, a differenza di quella reale, nella nostra mente fa galoppare l’immaginazione, e spesso si tende a rappresentare l’altro per ciò che si vorrebbe che fosse, dimenticandosi che, in assenza  della presenza fisica, mancano troppi dettagli importanti che, se presenti, avrebbero potuto, osservati per bene, cambiare completamente il quadro. Col passare del tempo, da una parte e dall’altra, inizia a serpeggiare una certa stanchezza, e seppure continuando a sentirsi per un po’, scambiarsi qualche messaggio o telefonata, alla fine la relazione si spegne.

È a questo punto che entrano in campo il Ghosting oppure l'Orbiting. È così che queste relazioni, inizialmente nate con le migliori intenzioni, possono arrivare al termine lasciando l’amaro in bocca, sia quando ciò avviene bruscamente che, quando avviene gradualmente. Sia il Ghosting che il Breadcrumbing, lasciano sempre una scia di grande tristezza, in quanto precludono, da una parte e dall’altra, importanti opportunità sentimentali (Le Febvre et. Al, 2019).

Amici lettori, nell’era delle relazioni digitali, il ghosting è diventato un fenomeno sempre più comune. Fattori culturali e sociali giocano un ruolo significativo, nella rottura della relazione. In un mondo sempre più connesso digitalmente, ma spesso distante emotivamente, il ghosting può sembrare una soluzione “facile” per chi non vuole affrontare le complessità di una relazione. Il Ghosting, ormai, è un fenomeno non solo diffuso ma in crescendo, tanto che secondo un sondaggio condotto da YouGov per Galaxus , una donna su due in Europa ha già fatto ricorso a questo "metodo".

Secondo questo sondaggio, quasi il 65% degli utenti europei riferisce di aver già subito un'improvvisa perdita di contatto, e il 40% ammette di essersi auto-ghostato. Le donne sono le più propense a ricorrervi: in Francia, il 60% di loro rispetto al 40% degli uomini. E l'onestà? Quando si tratta di profili più o meno elaborati, le disparità sono evidenti. Gli svizzeri sono in testa in termini di sincerità, con 7 profili su 10 considerati molto trasparenti. In Italia, invece, quasi un terzo degli utenti ammette di abbellire il proprio background o di inventare qualche dettaglio.

Cari amici, nella nostra società iper tecnologica la perdita della relazione fisica ha creato un mondo arido, nel quale la relazione virtuale appare fragile e bugiarda. Ecco perché, all’interno di queste relazioni instabili, nascono e si sviluppano fenomeni come il Ghosting e il Breadcrumbing, che riflettono bene le contraddizioni della nostra società: cerchiamo sincerità, ma abbelliamo fittiziamente il nostro profilo, sogniamo la stabilità, ma siamo i primi a vacillare, trasportati dall’insicurezza, vogliamo aumentare le nostre possibilità di trovare qualcuno, ma nascondiamo la realtà. Insomma, viviamo le relazioni che ci meritiamo!

A domani.

Mario

venerdì, ottobre 24, 2025

CASTRATI PER CANTARE! NEL 1600/1700 (PERIODO BAROCCO) I BAMBINI DOTATI DI UN’OTTIMA VOCE MUSICALE, VENIVANO CASTRATI PER MANTENERE LA VOCE DA ADOLESCENTI.


Oristano 24 ottobre 2025

Cari amici,

La CASTRAZIONE (o EVIRAZIONE) umana ha una lunga, triste storia. In passato, oltre che come forma di punizione corporale, in alcune culture la castrazione umana veniva praticata nei maschi in età puberale al fine di originare gli EUNUCHI, giovani utilizzati anche negli Harem. Successivamente questa triste manipolazione fu effettuata anche sugli adolescenti per fini musicali. Nell'Impero Bizantino l'uso dei cantanti castrati, ovvero eunuchi, risale al V secolo e perdurò fino al 1204, quando i crociati saccheggiarono Costantinopoli, portando alla scomparsa del loro impiego in ambito bizantino. Questi cantori erano impiegati principalmente nei cori per la loro "voce celestiale" e la pratica si estinse dopo la caduta della città. Successivamente, la pratica riapparve in Italia nel XV secolo, diventando una moda nel XVII secolo, per preservare la voce infantile nelle opere musicali.

In particolare in Italia, la castrazione per fini musicali, si diffuse nel panorama operistico del XVII secolo (1600) e XVIII secolo (1700) con il diffondersi dei cori polifonici, in quanto si aveva bisogno di voci bianche, non reperibili tra le donne in quanto una bolla pontificia (1588) vietava a queste ultime di cantare nei cori, e quindi si preferiva castrare i fanciulli di circa otto - dieci anni per impedire la muta vocale e fare in modo che mantenessero per sempre la capacità di cantare con voce infantile.

L’asportazione chirurgica dei testicoli, infatti, inibisce la produzione di testosterone, e in questo modo la voce manteneva quel timbro infantile anche da adulti. Ogni anno circa 4.000 ragazzi europei venivano castrati, soprattutto in Italia. Il medico fiorentino Antonio Santarelli, specialista in castrazioni, era tra i chirurghi meglio pagati dell'epoca. Una volta che le doti canore del bambino venivano rilevate, questo veniva sottoposto al barbaro intervento, che bloccava il tipico cambio di voce che di norma ha luogo durante la pubertà. Il risultato? La voce che scaturiva era cristallina e acuta come quella di una donna, ma anche abbastanza potente da poter raggiungere le note più basse.

Amici, questa triste pratica chirurgica si consolidò, come accennato prima, nel panorama operistico del XVII e XVIII secolo. Era molto diffusa nello Stato Pontificio, in quanto le donne non potevano esibirsi in pubblico per il divieto, imposto da Papa Sisto V nel 1588, con la speciale Bolla Pontificia; questa pratica restò in vigore fino al 1878, quando Papa Leone XIII proibì che la Chiesa continuasse a scritturare questi castrati. Era l’eliminazione di questa grande, crudele usanza, una mutilazione fatta su dei bambini che spesso provenivano da orfanotrofi, dove impresari senza scrupoli sceglievano i candidati; altre volte provenivano dai ceti più bassi della popolazione: le loro famiglie li vendevano a un maestro di canto o a una istituzione ecclesiastica sperando di riceverne, in cambio, ricchezze.

I ragazzini che subivano questa tortura andavano incontro a uno sviluppo molto particolare, e la voce restava acuta; inoltre, tutte le caratteristiche sessuali secondarie, che in genere in condizioni normali prendevano forma, come il crescere dei peli sul corpo e sul viso, nei castrati non si sviluppavano. Certo, alcuni di questi bambini castrati diventavano famosi, viaggiando in tutta l’Europa: dalla Spagna alla Russia, dalla Germania all’Inghilterra, oltre che naturalmente in Italia, dove, una volta diventati famosi, guadagnavano cifre davvero importanti.

Si, il grande sacrificio a cui erano sottoposti, economicamente spesso pagava: molti di loro divennero vere e proprie celebrità internazionali, ne è un esempio Farinelli (vero nome Carlo Maria Broschi, 1705-1782), uno dei più famosi dell’epoca, che divenne il cantore personale del re di Spagna Filippo V. Tra i più noti del Settecento citiamo anche Salimbeni e Porporino. A partire dal 1730-1740, però, il fenomeno incominciò a decadere. L’ultimo cantante castrato fu Alessandro Moreschi (1858-1922), conosciuto come “l’Angelo di Roma”, impiegato nel coro della Cappella Sistina fino al 1913.

Cari amici, se è pur vero che nella millenaria vita dell’uomo le aberrazioni non sono mai mancate, alla fine, poi, arrivano al termine. E così anche questo triste fenomeno dei Castrati, ovvero evirati, privati del naturale sviluppo maschile, ebbe finalmente termine in modo alquanto simile alla sua nascita: fu, infatti, Papa Pio X nel 1903 a vietare definitivamente l’utilizzo dei castrati nei cori, consentendo solo l’utilizzo di “Voci Bianche”.

A domani, amici lettori.

Mario

 

giovedì, ottobre 23, 2025

LE LEZIONI DEGLI ANTICHI FILOSOFI? VALIDE OGGI COME IERI. ECCO LA RECENTE RIFLESSIONE DI ANGELICA TAGLIA, RAFFINATA STUDIOSA DI FILOSOFIA ANTICA.


Oristano 23 ottobre 2025

Cari amici,

Che il millennio che stiamo percorrendo presenti delle grandi difficoltà esistenziali, non sono certo io il primo a dirlo! Sono in tanti a sostenerlo, infatti, e alcuni pensatori illuminati hanno ipotizzato che rispolverare le ricette dei filosofi dell’antichità può aiutarci a farci riflettere, e magari a trovare le soluzioni che stiamo cercando. Rileggere con attenzione il passato, ripassare idee e spunti degli antichi pensatori, potrebbe essere di grande utilità anche oggi. Ed ecco che ripassare i testi dell’antica filosofia greca, in particolare il pensiero di Socrate, può essere, al giorno d'oggi, addirittura gratificante.

Focalizzando l’attenzione sul grande SOCRATE, ripassando il suo pensiero, credo che possiamo affermare che le domande che Egli si poneva, che i quesiti che che lo angustiavano, sono anche quelli dei nostri giorni. Si, anche noi abbiamo il “bisogno di sapere”, quello di conoscere come vivere saggiamente, a chi dare credito, e anche in cosa credere! Se questi quesiti erano difficili ieri, immaginiamoci quanto lo sono oggi, essendo arduo scegliere la giusta strada da percorrere per essere felici. Le riflessioni di Socrate ci portano a interrogarci sui temi basilari, fondamentali per vivere la nostra esistenza: il valore delle nostre opinioni, l’educazione, la convivenza con gli altri e con noi stessi, la morte. Dalle sue riflessioni possiamo ricavare, anche oggi, suggerimenti e prospettive interessanti.

Il recente libro di Angelica Taglia, raffinata studiosa di filosofia antica, riporta l’analisi minuziosa del pensiero di Socrate. Lei, ripercorrendo gli elementi cruciali del suo illuminato pensiero, dimostra che oggi è valido come ieri. Seppure siano passati oltre duemila anni, Socrate ci appare ancora così vicino! Questo perchè la sua filosofia si adatta perfettamente al nostro pensiero di oggi. Ma non è solo questo: le sue idee e la sua vita sono ancora uno stimolo potente a interrogarci sul mondo e su noi stessi, senza fermarci alla superficie delle cose ma analizzandole fino in fondo.

Amici, Angelica Taglia, grande studiosa di filosofia antica, nel libro “Sette brevi lezioni su Socrate”, edito da Einaudi, ripercorre, con capacità e impegno, in modo asciutto ed efficace, gli elementi cruciali del pensiero del grande Socrate, valido oggi quanto e più di ieri. Socrate affermò senza remore che la felicità non può arrivare dall’esterno, ma soltanto da dentro di noi, poiché è già lì, è già presente, sta a noi farla emergere e realizzare appieno attraverso le giuste scelte, gli adeguati comportamenti, la giusta condotta di vita. Scrive Taglia nel libro: “Le domande di Socrate, le domande di una filosofia che era letteralmente desiderio di sapere, sono le nostre domande. Abbiamo anche noi bisogno di sapere, sapere come vivere, che strada scegliere per essere felici. Per Socrate, una domanda veniva prima di tutte le altre: dove si trova la felicità, intesa non come un sentimento passeggero, ma come una condizione stabile, fatta di serenità e sostanziale appagamento? Come dobbiamo fare per raggiungerla? La risposta data da Socrate è che “per essere felici dobbiamo cercare di essere giusti, buoni, di essere persone di valore e di sviluppare la parte migliore di noi, ovvero dobbiamo sviluppare la virtù (o eccellenza), la greca Arete”.

Ecco come la studiosa Angelica Taglia chiarisce il pensiero socratico. “Per Socrate, investire prima di tutto nei beni esteriori rischia di essere una strada verso l’inquietudine, anziché verso la felicità. In un dialogo di Platone, il Gorgia, compare una bella metafora che illustra questo pensiero. Socrate racconta un mito antico, che paragona l’anima degli uomini sregolati, in balìa dei propri desideri, a una botte forata, incapace di trattenere alcunché, e la loro vita a un vano tentativo di riempire quella botte portandovi acqua con un setaccio anch’esso bucato. Agire così non è una buona scelta perché, secondo un altro racconto simile, all’interno delle nostre botti ci sarebbero latte, vino, miele e altri liquidi preziosi, rari e difficili da procurare, ma scorrono via dai fori dell’anima”.

Cari amici, il grande filosofo Socrate è stato uno dei primi a insistere sull’importanza dell’anima come centro della nostra identità e punto di partenza per ogni discorso morale. Per Socrate ciò che conta nella vita dell’uomo è l’equilibrio interiore, la capacità di mettere ordine dentro di se (dentro la sua anima), resistendo alle passioni e alla tentazione di credere a falsi beni (come la ricchezza o il potere o la celebrità). È tempo che l’uomo, una volta per tutte, smetta di sciupare quanto di buono c’è nella sua vita. L’interessante analisi della Taglia, invita alla riflessione, e a interrogarci, come faceva Socrate: anche domandando, anche tacendo, come Socrate; anche sapendo di non sapere, come Socrate.

A domani.

Mario

mercoledì, ottobre 22, 2025

SARDEGNA: A BELVÌ DUE IMPRENDITORI AMANTI DELLA NATURA COLTIVANO FUNGHI A 900 METRI S.L.M.. UNA GRANDE SCOMMESSA CONTRO LO SPOPOLAMENTO.


Oristano 22 ottobre 2025

Cari amici,

Che la Sardegna sia una delle Regioni che ha meglio conservato il suo patrimonio naturale, in particolare quello boschivo, è una grande realtà, oltre che un grande orgoglio per tutti noi sardi. Ebbene, ciò nonostante, in particolare nelle zone interne, proprio quelle che hanno mantenuto maggiormente quel patrimonio, lo spopolamento sta annientando la presenza umana, con Paesi che sono ridotti al lumicino e che in tempi brevi potrebbero essere destinati a morire, desertificando l’indispensabile presenza dell’uomo.

Per bloccare lo spopolamento bisognerebbe attivare iniziative e risorse locali, creando posti di lavoro, strutture ricettive e attività commerciali, perché restare in un paese dove manca la scuola, l’ufficio postale o bancario, i negozi di alimentari i bar, le pizzerie, etc., non è certo ne invitante ne vivibile, anche per chi fosse propenso a restare! In quest’ottica, qualcosa sembra davvero iniziare a muoversi. A Belvì, per esempio, Dante Carboni, unitamente al suo socio Luciano Onano, già da tempo, ha dato vita ad un’attività agricola di coltivazione di funghi, che giorno dopo giorno è cresciuta, e che oggi ha raggiunto dimensioni commerciali notevoli.

La “Società agricola funghi belviesi”, da loro creata, vanta il primato di essere quella più alta della Sardegna, posta a ben 900 metri sul livello del mare!  Carboni, consapevole che il marketing gioca anche su alcune parole chiave, cerca di reclamizzare la posizione della sua azienda, visto che anche l’altimetria gioca a favore dei prelibati funghi che a quell’altezza vengono prodotti. Considerato, infatti, che la gran parte delle aziende che producono funghi sono in pianura, quelli prodotto a 900 metri dal livello del mare, sono certamente di maggiore qualità e bontà. Fare produzione di questo prodotto in altura è certo più impegnativo, anche se i competitor non mancano”, dice con convinzione Carboni, che nello svolgere la sua attività si muove esibendo un sorriso accogliente e con i modi decisi e rapidi della gente di montagna, da sempre abituata a darsi da fare e a superare le notevoli difficoltà imposte in primis dalla geografia e orografia dei luoghi. Proveniente da una famiglia di commercianti, Carboni ha per i funghi una passione tutta personale e una competenza acquisita negli anni.

Vissuto fin da piccolo frequentando il territorio boschivo di Belvì, che sa regalare grandi soddisfazioni, è diventato in giovanissima età un esperto cercatore di funghi. «Tutti noi abbiamo sempre vissuto nel bosco e i funghi li andavamo a cercare fin da bambini. Si creava una sorta di competizione. Io ero gelosissimo dei miei e quelli che prendevo li dovevo assaggiare io per primo», racconta l’imprenditore che, con il socio, i funghi li coltiva oggi  in nove serre adagiate in mezzo al bosco. Una località che si raggiunge percorrendo una strada che si arrampica tra i fusti di corbezzolo e la macchia mediterranea.

L’azienda è alquanto in salute, considerato che la produzione annua solitamente supera i 540 quintali. La stagione dei funghi nella zona montana di Belvì  inizia già ad agosto, e – come dice Carboni - “Noi  li forniamo ai gruppi principali della grande distribuzione, a cui diamo un prodotto fresco che piace e di conseguenza sono apprezzati e si vendono bene! Per fortuna... si vende!”. Le tipologie sono diverse: si producono principalmente i pleurotus ostreatus, bianco ostrica, molto apprezzato per la sua consistenza carnosa e il sapore gradevole; poi il cardoncello, pioppino e il pleurotus cornucopia. «Facciamo anche qualcosa per le aziende che lo commercializzano sott’olio -continua Carboni - insomma, cerchiamo di darci da fare».

Intervistato da “La Nuova Sardegna”, Carboni si confida anche sul futuro, non solo personale ma anche del territorio. “Forse sarei già dovuto andare in pensione – dice con sincerità - ma sono ancora qua. Mi piacerebbe che mio figlio, che al momento sta studiando, prenda in mano l’attività e gli dia continuità. È il sogno di ogni belviese avere dei figli che possano rimanere in questi territori. Il passaggio generazionale è importante, così come poter condividere le varie tappe dell’esistenza, vicini e non a migliaia di chilometri di distanza. Purtroppo da parte della Regione sono mancati anche i finanziamenti e i supporti per piccoli e grandi investimenti. Qui ogni piccolo contributo aiuta non poco ogni impresa, perché viviamo in una delle zone dove gli spostamenti sono difficoltosi e i costi anche per i soli spostamenti delle merci lievitano. Basta immaginarsi che noi quando siamo in produzione mediamente produciamo al giorno 5-6 quintali di funghi. Il prodotto che non si può conservare più di tanto deve essere un prodotto giornaliero per non perdere le sue qualità”.

Cari amici, lo sfogo più che giustificato di Dante Carboni, deve trovare accoglienza nelle leve del potere politico, se si vuole fermare lo spopolamento che sta mettendo in ginocchio la nostra Sardegna!  Imprese come l’Azienda agricola funghi belviesi, sono un toccasana per il paese e il territorio; sono già un piccolo freno allo spopolamento e all’emigrazione dei giovani che abbandonano l’isola. Incentivare la nascita di aziende che utilizzino in modo naturale il territorio significa evitare l’emigrazione dei giovani, creare reddito e salvare nello stesso tempo le nostre Comunità è il territorio. Non abbandoniamo i piccoli centri, importante presidio del territorio!

A domani.

Mario