Oristano 11 Novembre 2018
Cari amici,
Di guaritori, riti
scaramantici, pietre miracolose, utilizzate in Sardegna dalla medicina popolare
da epoca millenaria, ho avuto occasione di parlare spesso anche su questo blog.
Ho anche avuto modo di chiarire che in passato tutto quello che poteva essere
legato alla scaramanzia era ritenuto dalla Chiesa peccaminoso e in legame col
diavolo, per cui vi era la tassativa proibizione non solo di praticare riti similari,
tendenti a scacciare malattie e malefici, ma anche a ricorrervi come pazienti.
Nel Medioevo, per contrastarne la diffusione, iniziò ad operare
la così detta “Santa Inquisizione”, severo tribunale ecclesiastico con a capo l'inflessibile Torquemada, che, dopo
raccapriccianti processi e torture, portava l’inquisito a finire i suoi giorni
bruciato sul rogo, in quanto ritenuto in combutta col diavolo e quindi nemico
della Chiesa. Senza andare troppo lontano, anche Oristano aveva le sue “prigioni
ecclesiastiche”, luoghi di detenzione legati appunto all’inquisizione, che operarono in
Sardegna a partire dal 1492. Su quest’argomento chi volesse approfondire può
andare a leggere il post pubblicato da me su questo blog in data 7 Dicembre 2013,
cliccando sul seguente link: http://amicomario.blogspot.com/2013/12/le-carceri-diocesane-di-oristano-un.html.
Riprendo oggi l’argomento
in quanto leggendo L’Unione Sarda, quotidiano che
mi accompagna da oltre mezzo secolo, nella pagina della cultura era riportata la storia di Maria Zara, nativa di Gonnoscodina ma
all’epoca operativa ad Ales, che nel 1583 finì bruciata sul rogo a Cagliari,
condannata per stregoneria dal Tribunale dell’Inquisizione. Una condanna, quella comminata alla poveretta,
sicuramente ingiusta e davvero triste, come molte altre che vennero applicate anche
in Sardegna da questi fanatici tribunali.
Si, amici, anche la
Sardegna pagò il suo tributo di sangue all'Inquisizione, dal Nord al Centro e al Sud dell’Isola.
In Sardegna i tribunali iniziarono a operare nel 1492 con lo scopo principale
di giudicare i cittadini accusati di stregoneria. C’è da chiarire che nel
grande calderone della “stregoneria” rientravano molti comportamenti
assolutamente leciti e non certo contrari al comportamento cristiano, come per
esempio quello di curare con le erbe e con le invocazioni a Dio e ai Santi. Per
la Chiesa, però, tutto questo appariva poco consono alla fede e al credo cristiano, in quanto ritenuto
farina del demonio; quindi, chi praticava questi riti di guarigione era ritenuto che
effettuasse atti di vera stregoneria.
La Chiesa in realtà non ammetteva
che la scienza prendesse il sopravvento sulla fede, per cui quelle pratiche di medicina
popolare, che mescolavano scienza empirica e un pizzico di magia, costituivano violazioni
da condannare nel modo più fermo. Le pene comminate dal Tribunale dell’Inquisizione
erano terribili e di norma portavano il soggetto ritenuto colpevole ad essere
bruciato pubblicamente nel rogo.
In Sardegna le condanne
comminate furono fortunatamente meno che altrove, ma i processi riguardanti
famose guaritrici, vere esperte in medicina popolare come la Maria Zara ricordata nella
pagina de L’Unione Sarda, furono terribili e cruenti. La Zara, che pare fosse
anche di straordinaria bellezza, sicuramente era un soggetto capace di
suscitare non poche invidie e anche desideri insani; era però molto ricercata e nota come
“hechizera y erbera”, ovvero fattucchiera e guaritrice. Utilizzava nei suoi
riti in particolare l’ossidiana, riuscendo a curare mali fisici e spirituali,
anche se era conscia dei severi divieti posti dalla Chiesa.
Allora ogni deviazione
dalla prescritta ortodossia imposta dalla Chiesa esponeva a rischi mortali. Esisteva all’epoca il “Mallus
Maleficarum”, più noto come il martello delle Streghe, un manuale che ammoniva severamente
il cristiano da ogni possibile deviazione dalla regola. Maria Zara dopo una serie di
pesanti, false accuse, fu portata davanti al Tribunale dell’Inquisizione a
Cagliari; qui spogliata dei suoi abiti e rasata a zero, com’era d’uso, fu
sottoposta a terribili torture, e costretta a confessare colpe non commesse. La
sentenza di morte per “abbruciamento” fu
eseguita Venerdì 28 Ottobre del 1583.
Non fu la sola a morire
bruciata al rogo. Stessa sorte toccò, per esempio, a Sebastiana Porru, del
villaggio scomparso di Gemussi (piccolo villaggio vicino a Simala); contro di
lei testimoniarono sei persone che l’avevano vista fare riti di guarigione con
il piombo fuso e fatture di vario genere. La “cura del piombo” era particolarmente
in uso nell’oristanese, e nel 1590 l’arcivescovo della zona emise cinque
condanne contro persone che, sotto tortura, confessarono di praticarla.
Nell’ultimo decennio
del secolo altra protagonista dei processi dell’Inquisizione fu Julia Carta,
originaria di Mores ma vissuta a Siligo, ritenuta la strega più famosa della
Sardegna; fu denunciata da alcune vicine perché fabbricava pungas (piccole
tasche) che contenevano amuleti e praticava riti di vario tipo, come le
fumigazioni a scopo magico e terapeutico. In anni di esperienza, Julia aveva
imparato a curare le malattie con le erbe e per beneficiare dei suoi
trattamenti a Siligo giungevano numerose persone anche dai centri limitrofi. La donna
non agiva a scopi di lucro, quindi in paese era ben voluta da tutti, ma l’invidia
fece sì che alla fine fu denunciata.
Il Tribunale durante i
processi contro di lei (fu condannata addirittura due volte), nonostante fosse
recidiva ebbe salva la vita, poiché fu dimostrato che le arti da lei praticate
erano in uso presso la maggior parte delle famiglie di Siligo e conosciute da
una grande quantità di donne di varia età ed estrazione.
In sostanza, gli
inquisitori si trovarono di fronte a un fatto culturale che si sarebbe potuto
estirpare soltanto mandando al rogo l’intero villaggio, o più probabilmente
l’intera isola. Anche per questo, forse, dalla fine del Cinquecento in poi le
condanne andarono diminuendo o comunque le pene diventarono sempre meno
pesanti, fino a estinguersi del tutto ad inizio del Settecento.
Cari amici, la storia
del nostro passato ha pagine luminose e pagine buie. Sicuramente il periodo
ricordato appartiene con certezza proprio a quello più buio, in assoluto.
A domani.
Mario
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