Oristano
1 Gennaio 2016
Cari amici,
Voglio inziare questo nuovo anno facendo gli AUGURI a tutti Voi, per un anno ricco di serenità, salute e voglia di continuare caparbiamente la strada che tutti, Voi ed io, stiamo percorrendo. Come primo post di quest'anno mi piace parlare con Voi dell’amico scrittore e giornalista
Gian Piero Pinna, che oltre che valente uomo di penna è anche un "sardo autentico", fine cultore della nostra superba arte
culinaria, che risale al nostro antico periodo nuragico. Passione, quella di Gian Piero, che ha
voluto puntigliosamente mantenere anche dopo la sua piena affermazione giornalistica. Già
dagli anni della gioventù è rimasto attratto dalla cucina sarda, alla quale subito si
appassiona; decide così, nonostante abbia già conseguito il diploma di
ragioniere, di frequentare la scuola alberghiera ESIT sull’Ortobene a Nuoro; ma
questo è solo l’inizio. Da Nuoro sbarca a Sassari, dove frequenta l’Istituto
Alberghiero Statale diplomandosi a pieni voti. Il suo sogno pare coronato da successo: inizia infatti una brillante carriera professionale nel settore
alberghiero, che lo porta, nel 1973, a diventare chef
executive nel più esclusivo albergo della Costa Smeralda, l’Hotel Pitrizza.
Non si considera, però,
ancora arrivato al traguardo. Non si ferma al diploma conseguito e si
iscrive all’Università, dove frequenta brillantemente il corso di Economia e
Gestione dei Servizi Turistici (attivato dall’Università di Cagliari ad
Oristano). La sua passione per l’arte culinaria, unita alla competenza
acquisita con gli studi, lo portano a far parte di diverse giurie in concorsi
enogastronomici in tutta la Sardegna. Si specializza anche come sommelier e nel
2000, a Roma, viene insignito della prestigiosa onorificenza di Maestro di
Cucina. I suoi alti meriti professionali lo portano ad insegnare in diverse
scuole alberghiere, non solo della Sardegna ma anche della penisola.
Ora Gian Piero si
divide tra le sue passioni: quella culinaria e quella di provetto giornalista,
collaborando con diverse testate regionali e nazionali. Unendo insieme le due
competenze ha pubblicato diversi libri, tra cui “Viaggio nei sapori antichi
dell’Arci – Grighine”, “Ardauli: Pani e piatti della tradizione”, “Storia della
Cucina sarda e oristanese” e “La Vernaccia di Oristano”. Nel 2012 ha partecipato con successo al
progetto “Dietro le quinte dell’alta
cucina”, organizzato dalla Scuola Internazionale di Cucina italiana ALMA
Italian Experience, di Gualtiero Marchesi.
Il suo interessante
libro dal titolo “Storia della cucina sarda e oristanese”, è stato presentato lo
scorso Novembre ad Ardauli, nei locali della biblioteca comunale. Relatrici
alla presentazione, dopo una breve introduzione di Mario Di Rubbo (Presidente
dell’Associazione “Più Sardegna” organizzatrice dell’evento in collaborazione
con l’Amministrazione comunale di Ardauli), Maria Giovanna Meles e Vilma Urru. Alla
presentazione del libro, oltre ad un buon numero di spettatori, è intervenuto
anche il sindaco Roberto Putzolu.
La ‘storia’ raccontata
nel libro parte dai ritrovamenti di “Sa Osa”, venuti alla luce durante i lavori
di scavo del villaggio nuragico individuato in località “Sa Osa”, tra Oristano
e Cabras. L’analisi dei semi ritrovati mette in luce la grande varietà
alimentare dei nostri progenitori nuragici. I ritrovamenti – come ha sostenuto
Gian Piero – “potrebbero far riscrivere la storia del vino e della civiltà
alimentare dell’intera Sardegna”. I reperti, come ho avuto modo di scrivere
in altro post di questo blog, risalgono al 1200 a. C. e la grande quantità di
semi rinvenuta, in particolare semi di uva frammisti a quelli di fico, ci fanno
tranquillamente ipotizzare che la Sardegna sia stata la terra madre del vino e
che, anche in epoca nuragica, in Sardegna ci fosse una notevole ricchezza e
varietà di uve, ma soprattutto c'era la diffusa conoscenza dei segreti della
vinificazione.
"La
nostra Isola – come ha spiegato Pinna rispondendo ad
una precisa domanda di Maria Giovanna Meles –
fin dall'epoca nuragica era molto importante nel Mediterraneo. Una delle più
singolari tecniche gastronomiche, ancora praticata nella nostra Isola,
l’abbiamo sicuramente ereditata dalla civiltà nuragica: si tratta della cottura
sotterranea delle carni, detta “a carraxiu”, anche se personalmente preferisco
il maialetto cucinato allo spiedo”. “Ma
per avere notizie storiche certe – ha continuato – riguardanti ciò che si mangiava all’epoca in Sardegna, bisogna
prendere come punto di riferimento un pranzo preparato per la prima messa di
don Antioco Marcello, Rettore di Mamoiada, ai primi del Milleseicento e
descritto in una relazione fatta dal canonico Martin Carrillo a Filippo III di
Spagna”.
“Per
allestire il banchetto in onore di Don Antioco Marcello, continua
Gian Piero nel libro, il Carrillo riferisce che furono necessarie:
22 vacche grandi, 26 vitelli, 28 capi di cacciagione tra cinghiali e caprioli,
740 castrati, 300 tra agnelli, porchetti e capretti, 600 pollastri e galline,
65 pani di zucchero, 50 libre (oltre dieci chili) di pepe, chiodi di garofano e
zafferano; occorsero circa 280 starelli di grano per la panificazione, un
quintale di riso, un quintale di datteri, 50 piatti di mangiar bianco, 5000
uova, più di 3000 pesci tra grandi e piccoli, 25 grosse botti di vini di
diverso tipo e una grande quantità di confetti e dolciumi”. Insomma un
piccolo pranzetto…tra amici!
Cari amici, nell’interessante
libro sono tante le curiosità gastronomiche che il lettore può trovare, riportate
in modo accattivante da Gian Piero, che da fine giornalista riesce sempre ad
interessare in modo appropriato il lettore; Gian Piero, che nell’opera ha messo
ben a frutto tutta la sua esperienza professionale, derivante dalle sue
ricerche e dai suoi studi andati avanti per oltre trenta anni, riesce a dare al
lettore un visione davvero pregnante dei “grandi saperi e sapori della nostra
Sardegna”. Una cosa sola, da sardo, mi rattrista: che tutto questo ben di Dio, fatto di cultura, storia, tradizioni e tanto altro, non sia, purtroppo,
da noi saputo valorizzare a dovere!
A domani.
Mario
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