Da l'Unione Sarda: studenti dell'Università di Cagliari
Oristano
15 Gennaio 2017
Cari amici,
Sono in tanti, ormai, gli universitari italiani del nostro Sud che al
termine degli studi superiori prendono la valigia e partono verso il
Nord, non solo italiano ma europeo. Si, perché la gran parte degli atenei, anche i
pochi titolati situati nel Nord Italia, non risultano particolarmente appetibili,
vista l’offerta ben più qualificata degli atenei d’oltralpe. Da Cagliari a
Napoli, da Salerno a Palermo, gli atenei meridionali perdono matricole, docenti, fondi e
punti nelle classifiche europee. Un fenomeno, quello della ‘diversa’ preparazione
universitaria, che continua ad accentuare il divario da sempre esistente tra il
Nord ed il Sud del Paese.
La grande fuga potrebbe essere definita quella messo in atto dai
giovani meridionali, che volenti o nolenti si spostano dal Sud verso gli atenei
più qualificati. Come sostiene il
Rettore dell’Università di Palermo Roberto Lagalla «La fuga intellettuale è la nuova
emigrazione meridionale». I motivi e le conseguenze sono abbastanza note:
meno studenti, finanziamenti ridotti, sostegno scarso al diritto allo studio e
territori che offrono sempre meno, sia prima che dopo l’eventuale laurea.
L’elenco dei mali dell’Università del Sud è lungo e antico.
In Sardegna le due
Università esistenti (quella di Cagliari guidata dal Rettore Maria Del Zompo e
quella di Sassari guidata dal Rettore Massimo Carpinetti) sono considerate ultime fra gli ultimi. Perché? I motivi
non mancano. L’Italia, quanto alle sue Università in relazione a quelle del
resto d’Europa (dati a Maggio 2014), era considerata ultima con il 22,8% dei
laureati nella fascia 30-34 anni, contro la media europea del 36,4% (con la
Germania al 33,1%; la Francia al 44% e il Regno Unito al 47,6%). Eppure nella “Strategia Europa 2020” si indicava
l’obiettivo del raggiungimento di un numero maggiore di laureati, il 40% entro
il 2020: livello che, per le politiche dell’istruzione adottate dalla Riforma
Gelmini in poi, sarà difficilissimo se non impossibile da raggiungere.
Lo studio portato
avanti da Il Sole 24ore evidenzia che “il
fondo di finanziamento ordinario, cioè il cuore della spesa statale per l'Università,
ha perso dal 2008 ad oggi 706 milioni, cioè il 9,73% del totale, mentre le stime
parlano di un dimezzamento dei professori ordinari e di un taglio del 27% degli
associati da qui al 2018”. Una specie di suicidio, quindi, stabilendo meno
investimenti davanti a una situazione in cui, invece, bisognerebbe investire
molto di più. La situazione sarda è addirittura tristemente peggiore rispetto
a quella italiana, su entrambi i fronti: quello dell’istruzione superiore e
quello relativo all’Università.
I dati (rilevati a
partire dal 2010) evidenziano una riduzione progressiva degli studenti, con un
calo medio del 13%, superiore nell’ateneo di Sassari rispetto a quello di Cagliari.
In generale, comprendendo anche la situazione delle scuole secondarie, l’Isola
annovera meno laureati e meno diplomati rispetto a tutte le altre regioni
d’Italia, con un abbandono scolastico del 25,1%, che ci colloca al penultimo
posto in Italia. Da tutto questo discende anche un aumento della disoccupazione
giovanile, che ci vede ovviamente posizionati agli ultimi posti in Italia.
Calcoli vicini alla realtà
dicono che il numero degli studenti sardi che vanno a studiare in Atenei
continentali o esteri è di almeno 2.000 unità: perdita importante se consideriamo
che è relativa anche a quelli che potrebbero essere considerati i migliori e
più preparati, contribuendo così ad impoverire ulteriormente il nostro patrimonio
culturale. Perdita spesso definitiva, in quanto poi, dopo la laurea e/o i master,
difficilmente si rassegneranno a tornare in Sardegna, dove il lavoro potrebbe
essere per loro solo una chimera.
Per la rinascita del
Sud sicuramente servirebbe ben altro, a partire proprio dall’investimento in
cultura e preparazione al lavoro. In Sardegna servono maggiori sinergie tra i vari
stadi dell’istruzione (media, superiore e universitaria) e della
formazione; inoltre è necessario creare concreti collegamenti tra
il mondo del lavoro e le politiche regionali e locali relative all’istruzione,
garantendo più opportunità di lavoro stabile per i giovani, già dalla fine
delle scuole secondarie. In questo modo, si creerebbero maggiori sinergie tra
le Università e il mondo del lavoro, con effetti benefici per entrambi i poli:
culturale e lavorativo.
In una Sardegna già
carente di abitanti, se non si interviene concretamente e in tempi rapidi, se
lasciamo volar via anche le idee dei ragazzi migliori anziché concretizzarle, potremmo dire che
ci avviciniamo alla fine, all’estinzione. Servono più diplomati e più laureati,
con la possibilità concreta di inserimento nel mondo del lavoro, sia dopo il
diploma che dopo la laurea. Inoltre, per invertire la tendenza, sarebbe
necessario agevolare le famiglie in condizioni socio-economiche svantaggiate,
consentendo ai loro figli l’accesso all’istruzione come per gli altri.
Per ora, cari amici,
poco o nulla si vede all’orizzonte e lo spopolamento e l’abbandono continuano. Il
Sud, e in modo particolare la Sardegna, credetemi, sembrano far parte sempre meno di
un’Italia “unica e uguale”, non a due velocità come è in realtà! Un’Italia che continua ad avere un Nord di serie A
e un Sud di serie B (se non addirittura di serie C).
A domani.
Mario
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