Oristano 26 febbraio 2022
Cari amici,
La parola “Scandalo”
deriva dal greco Skàndalon, il cui significato letterale è “ostacolo,
inciampo”. Ebbene, per un individuo (fin dal lontano passato) essere
considerato una “Pietra di scandalo”, significava essersi macchiato di
un crimine, ovvero di un’azione che aveva creato turbamento della sensibilità
morale pubblica, sia per violazioni di natura economica che di comportamenti
sessuali riprovevoli o di abusi di potere.
La persona considerata colpevole,
che aveva causato simili turbamenti nel contesto sociale di appartenenza, doveva
essere esposta al ludibrio collettivo, in modo ben evidente; la punizione
consisteva nell’esibizione del colpevole in una pubblica piazza, costretto a restare
immobile, seduto per ore e nei momenti di maggiore vita sociale, su una grossa
pietra, collocata in posizione centrale (possibilmente nel luogo più
frequentato del relativo centro abitato, spesso vicino ad una chiesa), additato allo
scherno e derisione di tutta la Comunità.
Su questo argomento, focalizzato
però sulla trasgressione sessuale e non su quella di natura economica, ho
già scritto su questo blog un anno fa (in data 17 febbraio 2021); chi volesse
può andare a leggere quanto scrissi cliccando sul seguente link: http://amicomario.blogspot.com/2021/02/lantica-gogna-mediatica-del-medioevo-sa.html.
Oggi, invece, voglio ripercorrere con Voi alcune delle modalità che venivano usate,
nei tempi che furono, per punire i colpevoli di reati di natura economica, anch’essi
costretti all’esposizione sulla “Pietra dello scandalo”.
Nell’antica Roma, i
debitori e i commercianti falliti, che non avevano quindi ottemperato al
pagamento dei debiti, venivano esposti a una pubblica umiliazione: la “Bonorum
cessio a culo nudo super lapidem” (cessione dei beni, a natiche denudate,
sopra una pietra); inoltre, seduti in quelle umilianti condizioni, i malcapitati
dovevano gridare “cedo bona”, ossia “cedo i miei averi”. Dovevano
ripeterlo per tre volte, alzandosi e poi sbattendo violentemente il sedere nudo
sulla pietra. Fatto questo, la colpa era ritenuta estinta e da quel momento i
creditori non potevano più rivalersi su di lui. Da questa punizione, nel tempo,
è derivata l’espressione significativa “essere rimasto senza pantaloni”.
Nella Roma dei Cesari la “Pietra
dello scandalo” era una grande pietra che si trovava di fronte alla porta
maggiore del Campidoglio, sulla quale era scolpita la figura di un leone; su
questa dovevano sedersi coloro che mancavano ai loro impegni debitori oppure
coloro che erano stati dichiarati falliti e avevano dovuto svendere tutti i
loro beni ai creditori. Fu Giulio Cesare a inventare questo tipo di pena per
sostituire una delle Leggi delle XII tavole in cui si autorizzavano i creditori
non soddisfatti a uccidere o ridurre in schiavitù il debitore moroso, secondo
l'istituto della “Manus iniectio”. La Manus iniectio (imposizione della mano) era
un istituto giuridico del diritto romano, e aveva, come più comune presupposto,
la condanna al pagamento di una somma di denaro.
Amici, le “Pietre
dello scandalo”, dette anche “dell’infamia” o “dei fallimenti”, erano nel
passato alquanto diffuse, sparse per tutto il territorio e non solo nelle
grandi città, tanto che in alcuni centri sono tutt’ora visibili. La persistenza
dell'uso è testimoniata nella pietra dello scandalo ancora esistente nella
Loggia del Porcellino a Firenze. La pena prevista a Firenze aveva un nome
preciso, “l’Acculata”, e si svolgeva nella Loggia del Porcellino nel Mercato
Nuovo; la pietra era quel cerchio di 6 spicchi di marmo tutt’ora visibile e che
rappresenta in dimensione reale la ruota del Carroccio, simbolo della legalità.
A San Donato Valdicomino
(Frosinone) è ancora presente la cinquecentesca Pietra di San Bernardino
(promotore dei Monti di Pietà), dove il debitore stava ininterrottamente seduto
a natiche nude per un periodo di tempo proporzionato all’entità del suo debito.
A Modena, addirittura, erano ancora più “cattivi”. Usavano la “Petra ringadora” (vedi foto), un gigantesco blocco di marmo rosso veronese che ancora oggi è posto
all’angolo del Palazzo Comunale in piazza Grande. Un’ordinanza dello Statuto
Cittadino del 1420 prescriveva che “…il colpevole dovesse essere lì condotto
per 3 consecutivi sabati (giorno di mercato), fare 3 volte il giro della piazza
preceduto da trombettieri che attirassero l’attenzione e a ogni giro fosse
spinto a “dare a culo nudo su la petra ringadora, la quale sia ben unta da
trementina”, in modo che bruciasse non solo di vergogna.
Cari amici, nel Terzo
Millennio che stiamo percorrendo, fa sorridere pensare a quei tempi andati, allora così diversi e così rigorosi, quando la vita sociale e la morale erano vissute
in modo meno elastico rispetto a quello di oggi. Mi viene da sorridere, pensare a quanti
“grandi nomi” della nostra Italia di oggi, sarebbero rimasti a “Culo nudo” in piazza,
sbeffeggiati dai tanti cittadini onesti!
A domani.
Mario
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