Oristano 7 luglio 2024
Cari amici,
Se è pur vero che l’uomo
è un essere sociale, in quanto ama da sempre vivere in Comunità, disdegnando di passare i suoi giorni in solitudine, è anche vero che la relazione con gli altri non
sempre è da considerarsi felice e senza inghippi, nel senso di essere vissuta in serenità.
Litigare e insultare con male parole è sempre stato un modo di ferire l'altro, ovvero un modo per confrontarsi,
mettendo in discussione i comportamenti alquanto diversi dai propri, e perciò da
esecrare. Il risultato, come appare ovvio, è quello di avvilire l’altro, con rimproveri
e parolacce di ogni genere, anche in modo esagerato.
Si, l'uomo, fin dai tempi
più remoti, per esprimere la sua rabbia e il suo sdegno ha cercato le
espressioni più efficaci, trovando forti parole denigratore, che possiamo
chiamare insulti o parolacce. Gli studiosi ritengono che già nella Preistoria i
nostri antenati prendessero a “male parole” quelli con cui avevano litigato, è
ciò ci viene confermato dal comportamento degli Antichi Egizi, dei Greci e dei
Romani, il cui turpiloquio ci è arrivato dai numerosi scritti e dalle immagini
dipinte sui muri. Ma vediamo insieme il colorito
frasario usato, quando questi nostri antichi antenati perdevano la pazienza,
ovvero quali parolacce essi usavano per sfogarsi.
Gli antichi Egizi (parliamo
del III-II millennio a.C.), bestemmiavano già senza ritegno. Ciò risulta
dall’analisi e interpretazione di alcuni geroglifici e papiri; per esempio, in
uno la dea dell’oltretomba Nefti, era definita una “femmina senza vulva”, il
dio Thot un essere “privo di madre” e Ra, il dio Sole “con la cappella vuota”.
I reperti che ci sono pervenuti però sono ancora troppo pochi per ricostruire per
intero l'arte della parolaccia dell’antico popolo del Nilo.
Quanto ai Greci, abbiamo
molte più informazioni rispetto agli Egizi. Gli antichi Greci preferivano non
scherzare con gli dèi. Le loro imprecazioni erano rivolte “all’aglio”, “al
cane” e “alla capra”! Il filosofo Pitagora (VI secolo a.C.), credendo che i
numeri fossero a fondamento della realtà, imprecava addirittura con i numeri.
Se si arrabbiava, si dice che gridasse: "Per il numero 4!". Quanto a
turpiloquio poi erano maestri: il poeta Archiloco già nel VII secolo a.C.
scriveva versi in rima (i cosiddetti "giambi"). E all'occorrenza non
andava per il sottile: "Il suo cazzo (...) come quello di un asino di
Priene, stallone gonfio di cibo eiaculava…". Ai Greci risale la prima
barzelletta con parolaccia di cui abbiamo una traccia. Si trova nel Philogelos,
un’antologia di barzellette in greco del IV secolo d.C. Nell'immagine, un
antico vaso greco rappresenta una prostituta mentre fa pipì.
Gli antichi romani non
erano meno pudichi dei Greci. Nel loro vocabolario si trovano termini come
stercus (merda), mentula (membro maschile), futuere (fottere), meretrix
(prostituta) e scortum (sgualdrina). Tutte espressioni comparse anche sui
graffiti dei muri di Pompei. Amici, leggere i graffiti di Pompei è un po' come
leggere le frasi scritte in un bagno all'autogrill: si va da "Appollinare,
medico di Tito, in questo bagno egregiamente cagò" a un altrettanto
entusiastico "Che gioia inculare!". Ma si può trovare anche un
"memorabile" commiato: "Piangete ragazze, il mio cazzo vi ha
abbandonato. Ora incula i culi. Fica superba addio!"
Ne Medioevo le cose non
cambiarono. I medioevali, alquanto razzisti e classisti, consideravano
offensivo il termine “villano”, che indicava l’abitante della campagna, proprio
com’era offensivo per i Romani dare del “sannita” a qualcuno. Non solo la
provenienza, anche le professioni e il cibo più umile originavano termini
sprezzanti per ogni occasione: i siciliani del Trecento erano mangiamaccarruna,
i napoletani mangiafoglia (di cavolo); e nello stesso periodo, si poteva
squalificare un avversario dandogli del votacessi o dello “scardatore
di castagne di villa”. Nei comuni medioevali divisi in fazioni e
perennemente in lotta fra loro era facile offendere qualcuno in base al suo
schieramento: a mal ghibellino cacato si poteva rispondere con sozzo
guelfo traditore, ma anche con “fiorentino marcio” o, all’occorrenza
geografica, con “sozzi marchisani” o “sozza romagnola”.
Cari amici, insomma, la
parolaccia e le invettive ingiuriose sono sempre esistite, e, con il passare
del tempo, poco è cambiato! Sia nel passato che nel presente si reagisce offendendo l’altro con battute cattive, soprattutto per sfogare rabbia, odio, indignazione
o frustrazione, oppure, secondo alcuni antropologi, per provocare la reazione
fisica dell’avversario. Tutti comportamenti volgari, esternazioni avvilenti che,
sia ieri che oggi, spesso finiscono purtroppo in tragedia!
A domani.
Mario
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