Oristano 15 luglio 2024
Cari amici,
Oggi, giorno del mio 79° compleanno, ho deciso di riflettere con Voi su un interessantissimo libro di Jamie Kreiner, che parla della antica "Regola" di S. Benedetto. Si, quel San Benedetto diventato famoso non solo per aver fondato l’Abbazia di Montecassino e l’Ordine
Benedettino, ma soprattutto per la stesura della sua “REGOLA”, che poi
divenne per tutti la “Regola di San Benedetto”. Egli non fu l’inventore
del Monachesimo, che già esisteva, ma la regola comportamentale da Lui studiata,
scritta nel periodo attorno al 530 d.C., fu il testo definitivo che regolò
tutto il monachesimo occidentale. La Regola è composta da 73 capitoli; nel
settantatreesimo e ultimo capitolo, San Benedetto afferma, con modestia, che la
sua Regola non è un “manuale di istruzioni” per raggiungere la perfezione,
quanto piuttosto un compendio di linee guida per coloro che decidono di vivere
una vita spirituale.
Questo compendio di “regole”,
dettate per regolamentare la vita monastica nel suo complesso, suggerisce i
giusti comportamenti da tenere, comprende l’organizzazione della giornata, i
doveri dei monaci, le azioni disciplinari che vanno intraprese dagli abati e
dai superiori. La Regola nel suo complesso incoraggia l’amore, la preghiera, il
lavoro, il rispetto, la castità, la moderazione e la comunione. La Regola si
diffuse velocemente, accolta anche da numerosi altri monasteri, e rimane ancora
oggi di fondamentale importanza per l’Ordine Benedettino.
San Benedetto organizzò
la vita monastica intorno a “tre grandi assi portanti”, che permettono di
fare fronte alle tentazioni, impegnando continuamente e in modo vario il monaco
con : 1.La Preghiera comune, 2.la Preghiera personale, 3.Il
Lavoro. Compito del monaco è, dunque, con l'aiuto della Comunità monastica
di cui fa parte, quello di adempiere a questi tre obblighi con il giusto equilibrio, perché, quando un asse prende il sopravvento sugli altri, il monachesimo cessa
di essere benedettino.
Ebbene, amici, come
spiega l'interessante libro di Jamie Kreiner,
dal titolo: “LA MENTE VAGABONDA - Cosa ci insegnano i monaci medievali sulla
distrazione” (ediz. Il Saggiatore), anche per i monaci lasciare libere le proprie
idee è meno dannoso di quanto si pensa, a patto di riuscire a distinguere le
disattenzioni positive da quelle negative. Anche la mente del monaco, insomma,
mentre prega o lavora, continua ad analizzare le informazioni che
gli turbinano nel cervello, mentre osserva l’attività svolta. In realtà, questo
modo di continuare a pensare non è una “distrazione” ma addirittura una
positività. Per un monaco, continuare ad osservare, mentre segue la regola, il flusso dei propri pensieri, valutarli, animarli, dilatarli e
anche immobilizzarli, risulta positivo e fondamentale. Acquisire l’abitudine di
osservare i propri pensieri quando questi si presentano, costituisce un
rafforzamento del proprio IO, serve ad imparare a conoscere la differenza tra i
pensieri buoni e quelli cattivi, concentrandosi poi, di conseguenza, su quelli
buoni. Insomma, la riflessione del monaco con il proprio IO, gli consente di
fare quella necessaria opera di «discernimento».
Come analizza con dovizia
di particolari Jamie Kreiner nel suo libro, per il monaco osservare i propri
pensieri costituisce solo l’inizio della metacognizione monastica. Un monaco
doveva anche indagare sui pensieri che lo distraevano e individuarne le
origini: «discernimento» (diakrisis, discretio, purshana) era il termine
tecnico per questa attività̀ di indagine, che conferma quanto sostenuto dallo
psicologo Evagrio Pontico, che nel IV secolo, quando aveva diffuso la teoria
secondo cui i pensieri entravano nella mente da diversi posti. Alcuni pensieri
avevano origine nel sé, ma anche Dio mandava pensieri nella mente di un
monaco, ma potevano farlo anche i demoni. Questo significava che pensieri in
apparenza casuali non erano tutti problematici allo stesso livello: alcuni
erano buoni e alcuni erano cattivi. Trovare la differenza era compito del
monaco!
Cari amici, la Regola di
San Benedetto risulta alquanto valida anche oggi, seppure adattata a noi, uomini e donne del Terzo Millennio. Kevin Roose, giornalista nel settore
della tecnologia del New York Times, ha affermato che la «vigilanza
dell’attenzione» e il «discernimento digitale», consistenti nell’imparare a
valutare le informazioni di cui siamo costantemente bombardati sui nostri schermi,
rappresentano tattiche fondamentali di cui gli esseri umani avranno bisogno per
prosperare nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dell’automazione. Insomma,
quella vigilanza dell’attenzione ed il necessario suo discernimento, sono
validi anche oggi, per consentirci di sopravvivere nella caotica vita attuale, ne più né meno
di millecinquecento anni fa, prima che rimanessimo incantati dal fascino
esercitato dall’algoritmo e dai robot.
A domani.
Mario
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