sabato, settembre 28, 2024

LA STORIA DI GHINO DI TACCO, IL BRIGANTE GENTILUOMO CANTATO DA DANTE E BOCCACCIO, OVVERO IL ROBIN HOOD DI CASA NOSTRA!


Oristano 28 settembre 2024

Cari amici,

Se è pur vero che la letteratura britannica esalta con grande orgoglio il suo grande eroe popolare, ROBIN HOOD (nei manoscritti più antichi compare come "Robyn Hode"), il brigante gentiluomo che operò alla fine del Milleduecento nel Regno Unito, anche nel nostro Paese ha operato un personaggio simile, anch’esso  a metà tra lo storico e il leggendario, che fu operativo nella Valdichiana senese. Trattasi di un certo GHINO DI TACCO, nato nella seconda metà del XIII° secolo a La Fratta , nel Castello di Torrita, posto nel comune di Sinalunga vicino a Siena. Entrambi, Robin e Ghino, decantati come generosi giustizieri, diventati banditi nonostante le loro nobili origini (il primo, Robin, nobile sassone decaduto, il secondo Ghino, figlio di Ugolino, dei conti Tacco, e di una Tolomei, rampollo della nobile famiglia dei Cacciaconti); operarono entrambi “da briganti buoni”, ovvero utilizzando una particolare giustizia: rubando ai ricchi per dare ai poveri, alquanto vessati dalla pesanti tasse dei sovrani dell’epoca.

Amici, tutti conosciamo la storia del grande Robin Hood e della sua banda, che operava nella foresta di Sherwood, nella Contea di Nottingham, tra la fine del Milleduecento e l’inizio del Trecento, ma oggi, però, non voglio ripercorrere queste note vicende che videro protagonista Robin Hood, ma quelle del suo omologo nostrano il nobile decaduto GHINO DI TACCO. Anche la sua è una storia sicuramente romanzata, ma di certo con una sicura fonte di verità. Proviamo a ripercorrerla insieme.

Ghino di Tacco nacque a La Fratta da una grande, nobile famiglia di Torrita (quella dei Cacciaconti), intorno al 1265. Un tempo la Fratta si trovava nel castello di Torrita di Siena, oggi nel Comune di Sinalunga. Il padre di Ghino, escluso dagli onori riservati alle famiglie patrizie, decise, insieme ai figli Ghino e Turino, di vendicarsi: misero a ferro e a fuoco, nel 1285, il borgo di Torrita. Tacco e Turino furono giustiziati in Piazza del Campo, mentre Ghino riuscì a fuggire rifugiandosi a Radicofani.

A Radicofani, una rocca sulla Via Cassia , al confine tra la Repubblica di Siena e lo Stato Pontificio, Ghino continuò la sua carriera di bandito alla macchia, ma in forma di gentiluomo, lasciando ai malcapitati sempre qualcosa di cui vivere. Messosi a capo di una valente banda, la rocca di Radicofani diventò la  base per sequestri, taglieggiamenti e rapine, che lo resero celebre; tuttavia fu un bandito-gentiluomo, un Robin Hood della Valdichiana! Certo, toglieva ai ricchi per dare ai poveri, ma senza infierire sulle sue vittime.

Fiero di questa sua fama, sentì il dovere di vendicare il padre e lo zio.  Messosi a capo di quattrocento uomini si recò a Roma per pareggiare i conti con il giudice che fece condannare a morte suo padre e suo zio; l'uomo, ormai era diventato un importante giudice della corte dello Stato Pontificio. Ghino, armato di una sola spada, entrò nel tribunale papale nel Campidoglio e decapitò l'odiato giudice Benincasa, infilando poi la testa sulla spada che portò nella rocca di Radicofani, dove a lungo ne espose lo scalpo appeso al torrione. Ottenuta questa macabra vendetta, Ghino, con grande determinazione, ritornò a compiere le scorribande in val d 'Orcia, continuando così ad alimentare l’alone leggendario di fiero ed imbattibile guerriero. Dopo il 1300 le notizie certe su di lui, però, cessarono, lasciando spazio alle leggende, a cui contribuirono gli scritti di Dante e Boccaccio.

Si, amici, di questo straordinario personaggio qual fu Ghino di Tacco, troviamo solida traccia nella Divina Commedia. Al VI canto, Dante, quando arriva nell’Antipurgatorio, nel girone de “I morti per forza”, incontra il personaggio “Benincasa di Laterina”, una delle vittime messa a morte da Ghino, il Sommo Poeta così scrive: “Qui v’eran l’Aretin che da le braccia Fiere di Ghin’ di Tacco ebbe la morte”. Ebbene, ma di questo Robin Hood nostrano parla anche il grande Boccaccio.

Si, amici, a dare un importante contributo alla fama di Ghino, “brigante gentiluomo”, fu, sicuramente, anche Boccaccio. Nella novella “Ghino di Tacco e l’abate di Clignì”, si parla proprio di Lui. La novella è una di quelle raccontate dall’"allegra brigata" durante la decima ed ultima giornata del Decamerone, in cui i giovani narratori presentano esempi di “liberalità”, ovvero l’equilibrata generosità, tipica dei veri signori, nel distribuire beni a chi li merita, o nel trattare con gran cordialità gli altri. Ecco come viene ricordato Ghino di Tacco.

Nella novella, che ha come tema centrale quello della cortesia nobiliare, Ghino viene descritto come un perfetto esempio di grandi virtù; Ghino viene considerato un bandito onesto, in possesso di valori esemplari, insomma, un vero e proprio eroe positivo! Ecco la storia! Accade che un giorno Ghino rapì l’abate di Clignì (uno dei principali centri del monachesimo benedettino medievale, a Cluny, nella regione francese della Borgogna) e, come da prassi, lo portò nel suo castello. Dopo aver scoperto che l’abate si stava dirigendo alle terme di San Casciano a causa di un forte mal di stomaco, decide di curarlo seguendo un suo rimedio personale: ogni giorno gli concede solo razioni molto limitate di pane, fave e vino, favorendo in tal modo la guarigione completa dell'abate. Dimostrò, così, di essere più uomo altruista che bandito.

Cari amici, oggi ho voluto raccontarvi la storia di questo nostro “Robin Hood”: Ghino di Tacco, certamente un bandito, ma dotato di grande onestà, in possesso di grandi valori positivi!

A domani.

Mario

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