Oristano
16 Gennaio 2018
Cari amici,
Ho già avuto modo su
questo blog di parlare degli “schiavi del terzo millennio”; il 24 Luglio del
2015 ho postato una riflessione su questo tema: per chi volesse leggerla, ecco il link http://amicomario.blogspot.it/2015/07/le-schiavitu-di-ieri-e-quelle-di-oggi.html.
Oggi, però, voglio riprendere l’argomento in quanto scorrendo quotidianamente
le notizie su Internet una mi ha colpito in modo particolare: “LAVORARE DA CASA
PER 50 CENTESIMI ALL’ORA IN NERO: LA VITA DELLE NUOVE SCHIAVE”. Nell’articolo,
postato dalla redazione di Tiscali, si leggeva che un’azienda del Bergamasco,
gestita da un’indiana, dava lavoro a cottimo a 8 donne: tre indiane, due
albanesi, una senegalese, una marocchina e una italiana. Ebbene queste povere
disgraziate venivano remunerate con 50 centesimi all’ora! Incredibile ma vero: insomma
un vero e proprio sfruttamento, spiegabile solo pensando ad un contesto arcaico
che riporta allo schiavismo.
Se questo fatto
increscioso fosse stato scoperto al Sud, dove secoli di arretratezza hanno
consentito (e in alcune zone ancora consentono) il permanere di condizioni di
sudditanza e di caporalato particolarmente in auge nei secoli scorsi, sarebbe
stato sotto certi aspetti ancora spiegabile; a destare maggiore meraviglia,
invece, è il fatto che questa situazione sia stata rilevata nella
settentrionalissima Provincia di Bergamo, in quel Nord industrializzato ed
economicamente avanti! Altro fattore importante da non sottovalutare è che la miserrima paga non riguardava solo donne
immigrate, categoria questa notoriamente priva di potere contrattuale, ma
comprendeva addirittura un’italiana, rendendo in questo modo lo sfruttamento
praticato ancora più difficile da accettare.
Realtà di questo tipo,
purtroppo, si verificano per quella carenza di lavoro che crea disperazione, che
costringe a mendicare un lavoro a qualsiasi condizione, stante l’impellente
necessità di poter provvedere almeno ai propri bisogni essenziali.
Tornando al fatto in premessa, questo è accaduto nel nostro Nord industrializzato, a Credaro, comune italiano di 3.523 abitanti in Provincia di Bergamo, nella ricca Lombardia. Si, qui otto donne e un uomo lavoravano “in nero” per ben 50 centesimi l'ora! Una situazione che riporta ai campi di cotone dell’America degli schiavi, che ci costringe a scomodare nel terzo Millennio la parola “schiavitù”, che va ben oltre quella di semplice “sfruttamento”.
Tornando al fatto in premessa, questo è accaduto nel nostro Nord industrializzato, a Credaro, comune italiano di 3.523 abitanti in Provincia di Bergamo, nella ricca Lombardia. Si, qui otto donne e un uomo lavoravano “in nero” per ben 50 centesimi l'ora! Una situazione che riporta ai campi di cotone dell’America degli schiavi, che ci costringe a scomodare nel terzo Millennio la parola “schiavitù”, che va ben oltre quella di semplice “sfruttamento”.
A scoperchiare la
pentola, in quest’ultimo caso, i militari della Guardia di finanza di Sarnico,
nel corso di un blitz in un capannone della «Rubber Valley», il distretto della
gomma, una zona dove, come precisa il quotidiano La Stampa, il business è
cresciuto negli ultimi anni del 40 per cento, e non conosce crisi. A questa azienda,
gestita da una donna indiana, i finanzierei sono arrivati seguendo il gran
traffico di furgoni che partivano e tornavano carichi di guarnizioni di gomma.
Oltre ai diversi
lavoratori “regolari” che erano addetti alla “sbavatura di guarnizioni in
gomma”, dalla verifica ne sono emersi altri 9, operanti del tutto in nero, che
lavoravano nelle rispettive abitazioni di Adrara San Rocco, Villongo e Castelli
Calepio; un indiano e otto donne, tre indiane, due albanesi, una senegalese,
una marocchina e una italiana. Donne che avevano estremo bisogno di un lavoro,
ma che, dovendo accudire figli o familiari, erano costrette a farlo da casa e per
questo venivano malamente sfruttate.
Questi operatori
fantasma venivano retribuiti a cottimo
in base al numero di pezzi lavorati e arrivavano a guadagnare un massimo di 250
euro al mese. In alcuni casi la paga è risultata di un euro per mille pezzi
lavorati e, considerato che per eseguire la lavorazione di mille pezzi potevano
essere necessarie anche due ore, il guadagno di fatto era di 0,50 centesimi di
euro all'ora! Nei confronti dell'azienda sono state comminate sanzioni per
complessivi 27 mila euro, con obbligo di regolarizzare i lavoratori per
l'intero periodo di lavoro prestato in nero e pagamento dei relativi contributi
evasi. La donna che gestiva l’azienda è caduta dalle nuvole: aveva avviato
l’attività solo sei mesi prima e ha promesso di sistemare le irregolarità.
Cari amici, non
pensiamo che questo caso sia una mosca bianca, una situazione di evasione rara,
sporadica, o addirittura unica! No, è una delle tante, tantissime situazioni
create dalla mancanza ormai cronica di lavoro, quello dignitoso, regolarmente
retribuito. Si potrebbero citare tanti altri casi come quello prima descritto,
e queste pagine non sarebbero sufficienti per farlo. Ecco, per chiudere questa
riflessione, un altro caso, questa volta al Sud, dove, forse, fa meno notizia. È
quello di Andrea Sciurti, 36 anni, che si ritrova a lavorare per 50 euro a
settimana in un Lido in Puglia. Andrea fa il guardiano nel Lido Turrisi di San
Cataldo, vicino a Lecce. Lavora 14-15 ore al giorno, sette giorni su sette, per
quattro soldi; quanto, direte Voi? Una bella cifra: ben 50 euro a settimana,
che fanno giusto 7 euro al giorno, che divisi per le 14 ore lavorate portano
sempre alla bella somma di 50 centesimi all'ora. Ovviamente in nero.
Ebbene, queste due
storie sono solo la punta di un immenso iceberg! Nel “Deep work illegally”, nel nero profondo del lavoro illegale, sono
all’ordine del giorno nel mondo (nel call center, per esempio) retribuzioni inferiori
a 100 euro al mese, circa 35 centesimi all'ora, e decurtazioni nei pagamenti
del corrispettivo di un'ora di lavoro per chi si assenta per 5 minuti al bagno
o arrivava con 3 minuti di ritardo. Che dire di più? C’è poco da aggiungere.
Amici, in Italia tutti
i giorni i media, con statistiche all’apparenza confortanti, ci dicono che la
situazione è in netto miglioramento. C’è da crederci? Nell’aria c’è molta
delusione e amarezza, soprattutto nelle classi medio-basse, quelle che hanno
pagato caro più delle altre il prezzo della crisi. Il forte malessere si riverserà,
a breve, sul voto che gli italiani saranno chiamati ad esprimere il 4 Marzo
andando a votare. In quell’occasione faranno chiaramente capire quanto è grande
il loro malumore e stabiliranno senza appello chi deve andare subito a casa…
A domani.
Mario
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