Cambiare...non è mai facile!
Oristano
19 Settembre 2017
Cari amici,
Se la più grande
conquista dell’uomo è il lavoro, strada facendo sembra, invece, che questo, per chissà quali ragioni, sembra essersi volatilizzato! Si il lavoro, purtroppo, è diventato una chimera per
i giovani di oggi, e svolgere un “lavoro soddisfacente” è quasi come vincere al super enalotto; spesso, quando si fortunati a trovarne uno, si passano anni a svolgere mansioni che ci amareggia giorno dopo giorno. Si,
amici, l'uomo non lavora solo per avere una giusta retribuzione ma anche per
sentirsi utilizzato, per dare il meglio delle proprie capacità, ricavandone la
soddisfazione di essere utile nel contesto della vita sociale.
Nella mentalità
europea, a differenza di quella americana, fare nuove esperienze passando da un
lavoro all’altro fino a trovare "quello giusto", quello che ci sembra il più adatto a noi, non è
usuale; in particolare Italia il lavoro fisso normalmente viene svolto nella stessa azienda per
tutta la vita e, fino a poco tempo fa, era il grande sogno cullato da tanti. Ora, complice
anche la globalizzazione, il ‘lavoro fisso’ è quasi diventato un’utopia e le
nuove generazioni vivono questa "necessità di cambio” con minori traumi
rispetto al passato.
La globalizzazione, però,
ha modificato alquanto i sistemi ed i ritmi di lavoro, diventati spesso
alienanti, quanto e forse più di quelli della precedente riforma industriale dei
primi del 1.900, i cui ritmi furono ben descritti comicamente nel film “Tempi
moderni” di Charlie Chaplin.
Questi ritmi, portatori di stress continuo, condito
spesso da forti imposizioni autoritarie, spesso immotivate, fanno esasperare non poco e portano a far gridare
“Basta! Cambio lavoro!”.
Certo, lo si dice tante volte e spesso per sfogarsi, senza però mai passare all’azione. A subentrare è la paura di essere avventati, di fallire, di sbagliare, piuttosto che provare la gioia di andare via “sbattendo la porta”, lasciando senza timore il passato per intraprendere una nuova via. Decisione importante quest'ultima, che implica matura consapevolezza e lucido ragionamento sulle proprie capacità, che richiede decisionismo e perfetta conoscenza di se stessi e della nuova strada che si vuole intraprendere.
Certo, lo si dice tante volte e spesso per sfogarsi, senza però mai passare all’azione. A subentrare è la paura di essere avventati, di fallire, di sbagliare, piuttosto che provare la gioia di andare via “sbattendo la porta”, lasciando senza timore il passato per intraprendere una nuova via. Decisione importante quest'ultima, che implica matura consapevolezza e lucido ragionamento sulle proprie capacità, che richiede decisionismo e perfetta conoscenza di se stessi e della nuova strada che si vuole intraprendere.
Per poter maturare una
decisione così drastica, che mette a repentaglio il futuro, è necessario però non
tanto passare attraverso il “fuoco di paglia” di una insoddisfazione, di un
malcontento passeggero legato ad un evento particolarmente negativo che ci ha colpiti e che sembra
invitarci ad imboccare la via di fuga da quel posto di lavoro il più presto
possibile.
Attenzione però, non è la ‘giornata storta’ quella che ci deve consigliare l’abbandono, ma una serie di motivi e di ripetuti segnali non casuali, per noi stressanti e logoranti. In linea di massima ci sono dei segnali che, ripetuti nel tempo, indicano con sicurezza che è giunto il momento di cambiare lavoro. Proviamo a vedere insieme alcuni di questi “campanelli d’allarme” che, messi insieme, ci faranno sicuramente decidere il da farsi.
Attenzione però, non è la ‘giornata storta’ quella che ci deve consigliare l’abbandono, ma una serie di motivi e di ripetuti segnali non casuali, per noi stressanti e logoranti. In linea di massima ci sono dei segnali che, ripetuti nel tempo, indicano con sicurezza che è giunto il momento di cambiare lavoro. Proviamo a vedere insieme alcuni di questi “campanelli d’allarme” che, messi insieme, ci faranno sicuramente decidere il da farsi.
Normalmente la giornata
di chi lavora comincia presto la mattina. Se il Lunedì, dopo la
pausa del fine settimana, già dal risveglio vediamo tutto nero, se quando suona
la sveglia ci sembra arrivata l’ora del patibolo, se quando arriviamo al lavoro
non ci sentiamo felici e a nostro agio, il messaggio è chiaro: abbiamo bisogno
di riflettere e pensare che forse è arrivato il momento di cambiare, di pensare a nuove
opportunità. Si, lavorare senza voglia e senza soddisfazione è controproducente
e non ci permette di rendere al massimo delle nostre capacità. Questo stato di
cose ci crea insoddisfazione e, di conseguenza, ci porta ad un calo della nostra
motivazione. Col calo della motivazione chi sta sopra di noi avverte il nostro disagio,
prende posizione (iniziando con i richiami e i rimproveri) e la nostra insoddisfazione
anziché diminuire aumenta.
Si, sentirsi sottovalutati,
pieni di angoscia, senza gratificazione per quello che facciamo, ci fa sentire
di essere dei “signor nessuno” e lo stipendio non ci compensa certo di queste
amarezze. Certo, la retribuzione è importante, ma non può essere il solo
obiettivo! Se non lavoriamo con entusiasmo, se l’impiego che abbiamo non ci
stimola e ci coinvolge, viviamo angosciati ed oppressi. E un lavoro che ci fa
sentire oppressi non può portarci alcun beneficio. Se è questa la sensazione che proviamo,
allora siamo arrivato al limite. Certo, lasciare il posto di
lavoro oggi non è impresa facile, considerato il periodo attraversato, ma
vivere perennemente nell’angoscia può portarci ad ammalarci seriamente. La difficile
decisione, però, andrebbe presa quando si ha già in mente un’altra opportunità,
e quindi va soppesata con molta attenzione. L’Italia non è certo l’America,
dove come dicevo cambiare lavoro è la norma non l’eccezione.
Cari amici, la mia
riflessione di oggi mi ha riportato indietro nel tempo, ad una quindicina di
anni fa, quando oppresso dagli stessi mali che ho appena descritto, ho lasciato il
lavoro; sono andato via sbattendo la classica porta! La mia decisione, però, aveva “una
copertura” inossidabile: avevo 57 anni di età e 36 di contribuzione. Era il
2002 e la normativa di allora consentiva il pensionamento con 35 anni di
contributi e 56 anni di età, cosa che io avevo già raggiunto e superato! Fu una
decisione saggia: la mia salute era in pericolo per lo stress e per altre
ragioni molto simili a quelle prima elencate, e ne beneficiò non poco.
Sono passati quasi 15
anni da allora e, pensate, sono riuscito in questi anni a fare una miriade di “cose
belle”, che mai avrei potuto realizzare restando al lavoro. Posso solo dirvi di
essere “rinato una seconda volta”! Tutto questo, però, ve lo racconterò, magari,
in una delle mie prossime chiacchierate con Voi!
A domani.
Mario
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