Oristano
12 Settembre 2017
Cari amici,
L’acufene, ovvero la
percezione di ronzii o fischi in assenza di sorgenti reali, esterne o interne
all’orecchio, è un disturbo abbastanza frequente che colpisce tra il 10 e il
30% della popolazione mondiale. Se le forme più lievi possono essere tollerate
o trattate, nei casi più gravi l’acufene può risultare invalidante, impedendo
la normale alternanza sonno-veglia e determinando serie difficoltà di
concentrazione. Essendo la percezione del rumore soggettiva e quindi non misurabile
attraverso degli strumenti, le origini dell’acufene sono davvero difficili da
determinare.
Gli esperti studiano da
sempre il problema, ipotizzando, tra le diverse cause che possono generare
acufeni: sia i danni fisici (un danno uditivo anche minimo oppure motivazioni
somatiche, muscolo-scheletriche, come una disfunzione mandibolare) che quelli
di natura psicologica, come ad esempio uno stress molto forte, tutte cause che
spesso portano a cronicizzare il problema. Ora, invece, pare che una nuova ricerca abbia finalmente scoperto l’origine di questi così detti rumori “fantasma”, come gli
acufeni sono comunemente più noti. Lo studio, condotto nell’Università
dell’Illinois a Urbana-Champaign e pubblicato sulla rivista Neuro Image Clinical ha permesso di
localizzare la regione del cervello nella quale si origina l’acufene: il precuneo.
L'acufene, dunque,
potrebbe avere i giorni contati. Secondo la ricerca condotta dai ricercatori
questo male è causato dal cattivo funzionamento delle reti neurali nella
regione del nostro cervello dove ha sede il "precuneo", reti che nei
pazienti affetti da questa malattia risultano malfunzionanti. Si, quel rumore che
come un fischio continuo angoscia chi ne soffre, è associato ai mal funzionamenti che si verificano
in alcune reti del cervello, determinando, di fatto, che questo rimanga sempre in modalità di attenzione, senza poter passare
alla posizione di riposo. Vediamo in che modo.
Il nuovo studio,
utilizzando la risonanza magnetica funzionale (atta a creare dei modelli sulla
funzione e sulla struttura del cervello), ha scoperto che in questa particolare
regione cerebrale sono presenti due reti neurali: una legata all'attenzione
(che si attiva quando la persona presta attenzione a qualcosa) e l'altra che è
nota come rete di "default", che è una sorta di modalità in background
del cervello, che si attiva quando la persona è a riposo e non sta pensando a
niente in particolare. Queste reti sono mutuamente esclusive: quando una è
"accesa" l'altra è spenta. Il precuneo dei pazienti con l'acufene
sembra invece funzionare in modo errato, nel senso che si crea una discreta confusione tra le due
reti; nelle persone che soffrono di questo disturbo, infatti, il precuneo resta più a lungo connesso alla rete dell'attenzione e meno connesso a quella di default, quella
del "riposo".
Con le nuove tecniche
sviluppate da questa ricerca è emerso che i pazienti con questo disturbo non
riescono a riposare come dovrebbero, in quanto anche quando riposano resta
accesa la “rete” dell’attenzione, impedendo praticamente al soggetto di riposare
nel modo giusto. Questo fatto è spiegato dalle affermazioni degli stessi
pazienti che affermano che anche dopo essere andati a letto per riposare, al
risveglio si ritrovano comunque stanchi, quasi da non aver beneficiato minimamente
del sonno.
L’interessante ricerca,
come ha pubblicato ''Neuro Image Clinical'', dà ora concreta speranza ai
pazienti affetti da questo male, per il possibile reperimento di un farmaco
capace di porre un appropriato rimedio per trattare in modo adeguato questo
disturbo che, oltre che arrivare spesso a cronicizzarsi, con quel suo persistente
fischio logorante che accompagna anche ogni momento del giorno (oltre che della
notte), aggrava fortemente anche la giornata lavorativa, in quanto non consente
al soggetto la concentrazione necessaria per svolgere la sua attività.
Cari amici, credo che
questa ricerca sia da considerarsi davvero importante: il disturbo creato dall’acufene
è un male pericoloso, che può causare inconvenienti
tali da compromettere sia la vita di chi ne soffre che quella di altri (pensate a chi
guida, per esempio). La speranza è che la scienza trovi un rimedio sicuro anche
per questo male.
A domani.
Mario
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