Oristano 8 maggio 2023
Cari amici,
La Sardegna, collocata
al centro del Mediterraneo, ha avuto tante colonizzazioni. Nel lontano
passato Fenici e Romani (Tharros ne è un esempio lampante), poi, a seguire
diverse altre: dalla storia “catalana” di Alghero a quella “ligure” a Carloforte.
Ma in quanti sanno, per esempio, che anche in Planargia ci fu una
colonizzazione fatta da esuli greci? Una storia antica, quella del piccolo
paese arroccato sulle colline vicino a Bosa. Si, amici, si tratta di “Montresta”,
piccolo borgo Planargese posto al confine con il Logudoro turritano. Una
curiosa e antica storia la nascita di questo borgo, immerso in un territorio
selvaggio, suggestivo e incontaminato.
Oggi Montresta è un
piccolo borgo che conta poco meno di 500 abitanti; dista 38 km da Alghero e
78 km da Oristano. Purtroppo, anch’esso, come molti altri piccoli paesi sardi, è
interessato da un forte fenomeno di spopolamento. La sua nascita avvenne nel
1751, ad opera di coloni greci, originari della Regione della Maina, la
penisola meridionale al centro del Peloponneso. Il gruppo fondatore della
colonia sarda arrivò non dalla Grecia ma dalla Corsica, isola in cui si erano rifugiati
nel secolo precedente dopo una cocente sconfitta militare subita ad opera dei
Turchi ottomani.
In Corsica furono
ospitati dai genovesi (erano gli anni ’70 del ‘700), quando l’isola corsa non
faceva ancora parte della Repubblica francese. Tutto cambiò a partire dal 1731,
quando la Corsica si ribellò al dominio ligure. Fu così che, intorno al 1746, circa
centocinquanta (150) esuli greci cercarono rifugio in Sardegna, accolti
benevolmente da Carlo Emanuele III re di Sardegna, lo stesso sovrano che
concesse l’Isola di San Pietro ai tabarchini in fuga dal Nord Africa. Quando,
con decreto reale, datato 10 giugno 1751, venne assegnato a dei coloni greci il
territorio dove oggi sorge Montresta, la prima costruzione fu una chiesa
dedicata a San Cristoforo. Quei Greci raminghi, di culto cattolico, ebbero dal
Sovrano dei lotti di terra in assegnazione gratuita, una certa quantità
giornaliera di pane per il primo anno e 50 lire per le famiglie di tre unità.
Con grande impegno,
capacità e caparbietà, essi iniziarono a costruire il villaggio, partendo dalla
Chiesa dedicata a San Cristoforo, creando una sua rete di strade a
maglie regolari, che ancora si individua nella parte orientale dell’abitato:
caratteristica dei centri costruiti dai Savoia (basta pensare a Santa Teresa di
Gallura, disegnata dal re Vittorio Emanuele I in persona). Costruita la chiesa,
prese corpo il Villaggio di San Cristoforo di Montresta, che fu chiamato
“Montresta la greca”. I rapporti con i vicini bosani, però, fin da subito non
furono idilliaci. L’insediamento in Planargia dei popoli ellenici, guidati
dalla famiglia dei Passerò (cognome italianizzato dal greco “Psaròs”, cognome ancora
oggi presente, in capo ai discendenti) fu alquanto difficile e contestato.
Come scrive lo storico
Stefano Pira, questa “colonia greca” non riuscì ad avere una vita tranquilla.
Forse l’attivismo dei coloni greci irritò la borghesia pastorale Planargese,
attirando le sue ire. Furono soprattutto gli allevatori bosani (guidati
e aizzati dal potente don Gavino Passino), abituati a spadroneggiare con il
loro bestiame su tutto il territorio, a cercare di cacciarli. Vi furono vere e
proprie battaglie con morti e devastazioni. I coloni greci reagirono
coraggiosamente, ma solo l’intervento di un mitico allevatore, certo Leonardo
Piras, saggio uomo di pace, evitò una carneficina.
Gradatamente, per questi
e altri motivi, i Greci iniziarono ad abbandonare la loro nuova patria. Nel
1830 delle originarie famiglie greche restavano solo due persone. Praticamente
la loro avventura sarda stava volgendo al termine. Quando, nel 1836 Alberto
Della Marmora passò da quelle parti, trovò due soli discendenti di quella
colonia venuta dal mare e, poi, sempre attraverso il mare, fuggita via: una
vecchietta e il sindaco Dimas Passerò. Amici, quella di
Montresta, come molte altre storie che anche nella nostra isola si potrebbero raccontare, è una storia di mancata accoglienza, di certo poco felice.
Cari amici, oggi come ieri l'accoglienza dello straniero (lo
dimostrano i fatti recenti di migrazione) appare come una violazione, come un'invasione nella propria vita. L'altruismo scompare, mentre chi arriva andrebbe visto con gli occhi della fratellanza
e della condivisione. Oggi il piccolo borgo di Montresta, poco visibile e purtroppo soggetto a possibile estinzione, langue, nonostante la sua felice collocazione; Montresta potrebbe vivere una storia, economicamente parlando, meno
precaria. Distante 13 chilometri da Bosa, meriterebbe un futuro di sana
crescita. Nel suo territorio vi sono estese zone di pascolo e di seminativi
(soprattutto orzo, avena e legumi), che potrebbero offrire, secondo la
vocazione di un passato agricolo e pastorale, buone possibilità di lavoro. Anche l’allevamento e la viticoltura sarebbero
da praticare con successo. Che dire, poi, della salubrità dell’aria e della
bontà delle acque, che potrebbero rendere più cospicuo l’afflusso turistico di
cui Bosa già gode con il suo mare? Le possibilità ci sono, ma non bisogna ignorarle, basta volerle!
A domani.
Mario
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