Oristano
16 Settembre 2017
Cari amici,
Che l’avvento di
Internet avrebbe creato una rivoluzione non solo nel mercato globale delle
merci e dei servizi, ma anche sulla attuale legislazione che regola fiscalmente
gli scambi, era da tempo nell’aria. Le sfide portate avanti dall'economia
digitale necessitano, però, anche in tempi brevi, di nuove regole a partire dalla “modifica
del concetto di stabilimento permanente". Proprio per questo l’UE sta
studiando una 'web tax' europea, che
superi l'attuale principio della 'residenza fiscale' delle aziende,
adattandola alle caratteristiche dell'economia digitale, che produce redditi
'virtuali' in molti Stati, pagando le tasse in uno soltanto.
E' questa la sostanza
del documento che l'ECOFIN sta mettendo sul tappeto a Tallin (15 e 16
Settembre), documento di cui l'ANSA ha preso visione. In sintesi, si legge nel
documento, sulla web tax preparato dalla Presidenza estone dell'UE, "anche
senza presenza fisica", un'azienda con una "presenza digitale
significativa" nei Paesi dove opera, dovrebbe obbligatoriamente prendersi
una "residenza virtuale"
che la costringerebbe a sottostare alla giusta tassazione vigente nel Paese di
riferimento.
Il nostro Ministro
dell'Economia Pier Carlo Padoan ha sottoscritto una dichiarazione politica
congiunta con i colleghi di Germania, Francia e Spagna a sostegno di una
iniziativa per la tassazione delle imprese dell'economia digitale. I quattro Ministri
delle Finanze dei Paesi più grandi dell'Eurozona hanno ribadito la necessità
dell’adozione del nuovo modello di tassazione della web economy nella riunione
informale dell'ECOFIN, in corso a Tallinn questi giorni.
In sostanza la realtà
dei fatti è questa: oggi aziende come Booking.com, Google, Apple, Amazon,
Facebook, TripAdvisor e Airbnb, tanto per citare le più importanti, si stanno
arricchendo ai danni degli Stati dell’Unione, Europea, a cui non pagano la
giusta proporzione di tasse. Venendo ai fatti di casa nostra, i colossi di
Internet è vero che pagano le tasse in Italia, ma sono cifre troppo basse
rispetto ai ricavi: sono appena 11,7 milioni i contributi complessivi delle
mega aziende del web! Ovvero, pensate, la stessa cifra che, come è stato
calcolato, deve pagare una singola azienda italiana come la Piaggio, per
esempio.
Cari amici, i fatturati
di questi colossi, pensate, hanno dimensioni enormi: parliamo di miliardi e non
di milioni di euro, che Mark Zuckerberg e colleghi incassano nel nostro Belpaese
ogni anno. Come riescono a eludere il nostro erario? Semplice, ponendo la
propria sede legale in Stati che promettono un trattamento fiscale più che
agevolato: Facebook, in particolare, si è appoggiato negli anni all’Irlanda, seguito
a ruota da Apple. Amazon, come è noto, paga i suoi assegni contributivi in
Lussemburgo, come Twitter.
Si, prendiamo atto che,
almeno per una volta, i “furbetti” del pagamento delle tasse non ci sono
soltanto in Italia: i colossi del web, che fatturano miliardi di euro anche nel
nostro Paese, riescono a versare tasse bassissime nelle casse del nostro Erario,
riuscendo a trovare escamotage di ogni tipo per sfruttare la le agevolazioni
presenti nei diversi paradisi fiscali. Ora, però, l’Europa, sembra decisa a
correre ai ripari, e la battaglia tra Davide (principalmente gli Usa) e Golia
(Italia e colleghi di UE) sta per cominciare, ed entrambe le parti affileranno
per bene le lame.
La battaglia, che sarà
lunga e difficile, cercherà di standardizzare la situazione, adottando per
esempio un’imposta europea da riscuotere direttamente nel luogo dove si crea
profitto. Un’idea è quella di una tassa del 25% che, se adottata, permetterebbe
al nostro Paese di incassare annualmente 180 milioni di euro soltanto da Google
e a Facebook.
Altra via percorribile
è quella suggerita dal Ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire, che ha
suggerito una revisione delle tassazioni nazionali per applicare un prelievo
non più basato sull’utile bensì sul fatturato. Il Financial Times ipotizza
un’aliquota fra il 2 e il 5% del totale, abbastanza per aumentare le entrate
per le casse pubbliche da zero (o quasi) a diversi miliardi di euro. La
proposta è stata lanciata dopo la rivelazione che il gruppo delle prenotazioni alberghiere
Airbnb lo scorso anno ha versato al fisco francese meno di 100 mila euro, a
fronte di un fatturato miliardario. Perché la nuova normativa passi è però necessario un voto
favorevole all’unanimità di tutti i Ministri europei.
Amici miei, è con grande
delusione che vedo che il tempo passa ma l’Unione Europea non fa i giusti ‘passi
avanti’, quelli per cui è nata. Un’UE che non ha una politica fiscale comune,
ma una miriade di norme che cozzano l’una con l’altra, non può pensare di
continuare di questo passo. Se non si arriverà concretamente a creare uno Stato
federale, questa “unione” credo che sia destinata a fallire miseramente.
A domani.
Mario
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