Oristano 17 Settembre 2017
Cari amici,
I conflitti
generazionali sono sempre esistiti, non vi è dubbio. Ogni nuova generazione spinge
per il cambiamento e la generazione precedente spesso deve inghiottire bocconi
alquanto amari. Ovviamente per risolvere i conflitti c’è la legge, che in
teoria dovrebbe essere sempre uguale per tutti. Non sempre, però, questo
avviene: perchè a volte così non è. Quello che sto per raccontarvi, per esempio, lo
dimostra in modo eclatante.
Negli anni, attraverso
diversi verdetti della Corte di Cassazione (2010-2012-2013), sembrava assodato
che i genitori “non sempre” sono legalmente tenuti a continuare a mantenere i
figli maggiorenni, se questi non adempiono ai loro doveri. Quest’obbligo, non è
certo legalmente perpetuo, a tempo indeterminato, perché presuppone anche, da
parte dei figli, comportamenti adeguati a quanto ricevuto dai genitori. Una delle sentenze
recenti, per esempio, ha stabilito che «Quando il figlio studente, per sua ingiustificata inerzia non
provvede a terminare gli studi, perde il diritto al mantenimento da parte dei
genitori».
Di tutt’altro avviso,
invece, è stata un’altra sentenza d’appello (relativa alla denuncia di un figlio
studente privato dal genitore della sua “paghetta”), che ha stabilito tutto il
contrario! I giudici del Tribunale di Trieste infatti hanno sentenziato che: la
figlia, a cui era stato drasticamente ridotto l’assegno di mantenimento da
parte del padre, aveva diritto a continuare a percepirlo, fintanto che non
completava gli studi universitari.
Il caso, in effetti, merita di essere raccontato nei dettagli.
Il caso, in effetti, merita di essere raccontato nei dettagli.
La ragazza che si è
rivolta ai giudici è una studentessa “di lungo corso”; abita a Pordenone in
Friuli, ha 26 anni e vive con il padre (divorziato), libero professionista benestante.
Lei vive stancamente la vita universitaria: è sì iscritta e a volte anche
frequentante, ma con poco profitto. La voglia di studiare non sembra eccessiva:
arranca con gli esami universitari ed è, in parole povere, già fuoricorso. Il
padre, giustamente preoccupato, sollecita più volte la figlia ma senza ottenere
risultati; alla fine, giustamente infuriato, le intima: “senza esami, ti taglio
i viveri e ti arrangi”! Lei, anziché capire la lezione e, finalmente, mettere
il sedere nella sedia per preparare gli esami, che fa? Anziché riprendere a studiare lo denuncia,
portandolo in Tribunale per violazione dell’obbligo di mantenimento, come a suo tempo disposto
dal giudice in sede di divorzio dalla madre.
L’agguerrita giovane,
nella denuncia inoltrata in Tribunale, lamenta che il genitore la obbliga a
cavarsela con 20 euro a settimana: 80 al mese: cifra ritenuta irrisoria per le
sue esigenze, nonostante questa paghetta fosse destinata solo agli extra,
essendo fatte salve le spese necessarie ordinarie: alimentari, sanitarie, di
abbigliamento e carburante per l’auto. Il padre, con cui la giovane si era
confrontata prima della denuncia, le aveva ribadito che se non le bastano gli
80 euro al mese, poteva lavorare, dato che neppure studiava. Lei per tutta
risposta ha preferito, invece, mette nero su bianco in Tribunale, a difesa delle
sue “esigenze”.
I calcoli, secondo la
battagliera giovane, non erano mica di poco conto: chiedeva la modica cifra di
2.577 euro al mese tra università, bollette e alloggio (universitario), “varie
ed eventuali” e vacanze. Il padre stizzito le aveva replicato che non se ne
parlava nemmeno. E la discussione quindi è finita in tribunale, dove la figlia ha
trascinato il “riottoso” malcapitato padre.
Con grande meraviglia,
non solo del padre, i giudici - di Pordenone prima e di Trieste poi – hanno dato
ragione alla ragazza. Nel giudizio di primo grado, i giudici togati -
evidentemente senza figli – hanno accolto le richieste formulate dalla giovane “rampolla
viziata”, sentenziando che la fanciulla, sicuramente ancora traumatizzata dal
divorzio dei genitori, «meritava ancora del tempo» per superare lo shock della
separazione e che di conseguenza il padre doveva dimostrarsi più comprensivo, se
lei non aveva, poi, così tanta voglia di studiare.
L’unica nota “favorevole”
espressa dai giudici riguarda l’importo dell’assegno concesso: la “paghetta” che
il genitore dovrà versare sarà pari a 500 euro al mese, e coprirà «le spese
personalissime e ludico-ricreative, anche straordinarie» fino al 30 giugno 2019,
come ha riportato il Messaggero Veneto. La Corte ha motivato l’accoglimento,
seppur parziale, concedendo alla giovane l’attenuante di trovarsi in un
contesto difficile, nel quale è comprensibile «una certa inerzia nella
maturazione che porta all’indipendenza dei giovani». Per questo motivo le hanno
dato ragione, seppure in parte, salvaguardando anche il diritto del padre ad
educarla, però senza esagerare.
Che dire, cari amici, a
volte la legge, con le sue sentenze è come l’elastico: a volte corto a volte,
ben stiracchiato, molto più lungo. Personalmente non la condivido proprio una
sentenza di questo tipo: mi sembra quasi un concedere ai giovani ancora più
lassismo di quello che già dimostrano!
A domani.
Mario
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