Oristano 2 aprile 2021
Cari amici,
È trascorso più di un
anno dallo scoppio della pandemia in terra di Cina, e il virus continua a non
dare tregua in Occidente. Ospedali al collasso, disoccupazione alle stelle,
economia in ginocchio, praticamente come in tempo di guerra. In Cina, invece,
dopo la prima ondata, che in tempi brevi pare abbia trovato misteriosamente soluzione, l’economia
galoppa a vista d’occhio e la vita sembra essere tornata alla normalità, sia nelle
città che nei villaggi. Come può spiegarsi tutto questo mistero se non pensando
che dietro la facciata ci sia qualcosa di poco chiaro?
Focalizzando la nostra
attenzione su quello che economicamente sta avvenendo in Italia, è notorio che la
situazione appare a dir poco disastrosa. Le aziende sono in seria difficoltà,
non poche chiudono e altre sono in situazioni pre-comatose, tanto che, anche se
ai più sfugge, molti marchi, anche altisonanti, sono passati di mano, e sapete
venduti a chi? Il larga misura proprio ai cinesi! Si, proprio a quel gigante orientale
dove è nato e si è sviluppato il virus COVID-19, causa prima del planetario disastro socio-economico
in atto.
L’Italia, non
dimentichiamolo, ha sempre rappresentato un forte appeal da parte della Cina,
in quanto considerato uno dei Paesi più importanti per gli interessi
geo-economici cinesi in Europa. Il nostro Paese è una fonte di risorse
strategiche sia nell’industria avanzata che in quella tradizionale, ma anche di
marchi e tecnologie riconosciute a livello internazionale. Inoltre, occupa anche
una cruciale posizione geografica nel quadro della “Via della Seta
Marittima” del 21° secolo, parte integrante della “Belt and Road
Initiative”. Per la Cina l’accesso alle infrastrutture portuali italiane è
considerato una priorità, per poter espandere le sue rotte commerciali, dal
Mediterraneo al Nord Europa. Questo ha fatto sì che il nostro Paese (ignorando
gli avvertimenti dell’Occidente), nel marzo del 2019 ha concluso l’accordo con
la Cina, diventando “membro ufficiale” della “Belt and Road Initiative”, primo
Paese del G-7 ad aderire alla piattaforma guidata da Pechino.
L’interesse cinese per l’Italia, come detto, c’è sempre stato; solo nell’ultimo decennio, le industrie di mezza Italia (nel
silenzio più totale dei nostri governanti) hanno cambiato proprietà, diventando
con gli ‘occhi a mandorla’: dalla Pirelli alla Candy, dalla Berloni alla
Ferretti, dalla Benelli alla Plati Elettro-forniture, dalla Cifa, azienda di
betoniere e macchine per l’edilizia, alla Cdp Reti Spa, finanziaria delle
nostre reti energetiche elettriche.
I cinesi, sempre con le
tasche piene di soldi, hanno acquistato la Omas di Bologna, la Sixty
abbigliamento di Chieti, la bergamasca “Pinco Pallino”, la Caruso, abiti da
uomo di alta gamma, la Fosber, fabbrica di imballaggi di Lucca, la Salov
proprietaria dei marchi d'olio Sagra e Berio. In totale sono circa 730 le
aziende italiane, grandi e piccole, che sono controllate da circa 300 gruppi
cinesi o di Hong Kong, ma si tratta spesso di società esterovestite con
capitali cinesi. E non è tutto.
A questo parzialissimo
elenco di aziende passate in mano ai cinesi (leggi governo cinese) vanno
aggiunte le partecipazioni che Pechino ha in imprese strategiche, come Ansaldo
Energia, Eni, Telecom Italia, Generali Assicurazioni e Mediobanca. Non c'è poi
città in cui non sia cresciuto l'acquisto da parte di cittadini cinesi di
tabaccherie, bar, ristoranti, parrucchieri e centri massaggio. Pensate che nel
solo 2020, l'anno orribile del virus di Wuhan, solo a Venezia sarebbero stati
ceduti a cittadini cinesi 840 esercizi commerciali!
Ora, amici, dopo il
disastro economico scatenato dalla pandemia, per la Cina la crisi delle aziende
italiane appare ancor più un'allettante opportunità da cogliere! Le aziende cinesi
potrebbero, come vampiri, acquistare a basso costo altri prestigiosi marchi
italiani, mancanti al loro puzzle economico. Mentre i PIL dell’Unione Europea
sono tutti col segno meno (in particolare quello dell’Italia), quello cinese ha
già il segno più che risulta in costante incremento. Nel solo 2020 le
esportazioni cinesi, soprattutto di materiale sanitario e apparecchiature
elettromedicali, sono aumentate del 10,4%, mentre, già dallo scorso fine anno,
il PIL cinese ha registrato un più 1,9%.
Cari amici, solo casualità?
Certamente no! Questa convinzione è chiara e forte sia nell’UE che negli altri
Stati, a partire dagli USA. Il mondo intero sta rivedendo le relazioni
economiche e politiche con la Cina, potenza che porta grandi responsabilità
nella crisi globale causata dal virus, e che Pechino continua con ostinazione a negare. Finora,
infatti, Pechino ha rifiutato, anche minacciosamente, di aprire le porte a
un’inchiesta internazionale indipendente sull’origine della pandemia, richiesta addirittura da 194 Paesi. Le responsabilità che Pechino continua a negare, però, hanno già avuto
effetti, sia economici che politici, che certo non favoriscono l’amicizia e le
relazioni amichevoli. La Cina è oggi, a livello internazionale, un Paese
abbastanza isolato, visto con enorme diffidenza.
L’Italia, però, guarda
caso, continua ad essere in splendida controtendenza, e, dati gli accordi a suo tempo raggiunti, sta cedendo ai
gruppi cinesi Weichai e Cosco una parte consistente del porto di Taranto. La Nuova
Via della Seta, il progetto chiave di Xi Jinping attraverso il quale
Pechino intende costruire una rete di infrastrutture terrestri e marittime che
tenga unita l’intera Eurasia con al centro la Cina, però, rischia di finire
nella sabbia. I comportamenti misteriosi tenuti da Pechino nella diffusione
della pandemia continuano a sollevare timori anche nei Paesi che pure dell’aiuto cinese
avrebbero bisogno. Ma noi, come al solito avventati e incoscienti, siamo al
classico romanesco “VOLEMOSE BENE”!
A domani.
Mario
1 commento:
La cura è molto semplice: prendete Klaus Schwab e il suo World Economic Forum, Mario Draghi e il loro delirante sogno del "Build Back Better" e BUTTATILI NEL CESSO! Altra opzione: vogliono una "economia verde"? Bene. costruisci un bel complesso di pale eoliche. Quello è il cemento... E tu van der che fai lì? Su vai a lavorare in fonderia...
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