Oristano, 28 Novembre 2012,
Cari amici,
penso che molti di Voi, Domenica
scorsa, si sono affannati, come me, a seguire l’ultimo gran premio di formula
uno. I due pretendenti principali al titolo, Fernando Alonso su Ferrari e
Sebastian Vettel sulla Red Bull, hanno, fino all’ultimo, duellato con forza e
determinazione, quasi che dalla vittoria dell’uno o dell’altro dipendessero le
sorti del mondo!
L’uomo fin dalle sue origini,
nonostante il suo desiderio di pacifica vita sociale, non ha mai concepito il
Suo “stare in comunità” come un sonnolenta convivenza “tra eguali”, ma, invece,
come un continuo rivaleggiare, “primeggiare”, dimostrare all'altro la
sua maggiore forza e capacità. Come
Hobbes ha dimostrato senza ombra di dubbio nelle Sue opere, all’interno
dell’uomo non è mai scomparsa la voglia di lottare per vincere, di dimostrare
di essere più bravo. “La condizione
dell' uomo é una condizione di guerra di ciascuno contro ogni altro", cosi
sosteneva l’illustre filosofo prima citato e, anche se la civiltà ha mitigato
la bellicosità iniziale, l'uomo ha mantenuto, al suo interno, il suo istinto
“guerriero”. Questo lo possiamo constatare ancora oggi nella vita quotidiana, perché Egli applica questo principio tutti i giorni, in tutte le situazioni. La
competizione è applicata in tutte le attività, da quelle lavorative a quelle
sociali, da quelle affettive a quelle ludiche. Se l’uomo non portasse dentro di
se l’obiettivo della vittoria, se non mettesse in gioco ogni volta tutte le sue
forze, se competesse solo per il piacere di confrontarsi, disinteressandosi del
raggiungimento della meta, egli non sarebbe arrivato sulla luna, non avrebbe
scalato montagne e dominato mari, fiumi e continenti. Estremizzando, se
partecipare fosse la sola cosa importante, forse l’umanità vivrebbe sicuramente più
serena e con minori angosce esistenziali; certamente con meno conflitti ma anche con minori
scoperte geografiche, scientifiche e mediche. Ogni passo avanti della nostra
civiltà è stato fatto da uomini che si sono battuti per giungere primi al polo
nord od alla scoperta del virus della rabbia o del vaccino della polio. Competizione,
quella dell’uomo, particolarmente evidente al giorno d’oggi in campo sportivo.
Nelle attività sportive in
particolare, da quando l’uomo ha scoperto il piacere della sfida (basti pensare
alle grandi e cruente battaglie che si svolgevano nel Colosseo a Roma), si compete
e si gioca sempre e solo per vincere, mai semplicemente per partecipare. Partecipare, certo, ma con l’obiettivo della vittoria, anche se questo, però, significa mettere in conto la possibile sconfitta. E’ proprio la paura della
sconfitta la molla che fa scattare dentro ciascuno di noi una speciale “forza misteriosa”. Viene da chiedersi da dove arriva quella nascosta “forza speciale”
che alimenta, come uno speciale carburante, le rinnovate energie per cercare di arrivare al traguardo vittoriosi? E’
soltanto la ‘voglia di vincere’ la forza che spinge una persona a raccogliere tutte le
proprie energie per raggiungere la vittoria o c’è dell’altro? Qual è la fonte da
cui nasce veramente questa forte volontà di "riuscire"? Io credo che
questa spinta aggiuntiva derivi da quella “forza primordiale”, da sempre latente
dentro di noi, ben nascosta nel nostro patrimonio genetico, trasmessaci dalle
generazioni precedenti e retaggio di quel primordiale “stato di natura” di Hobbesiana memoria.
Ho voluto fare questa doverosa
premessa per riflettere con Voi sull’ultimo e stimolante avvenimento sportivo
automobilistico di “Formula uno”, che si è concluso domenica scorsa e che ha
visto, per il terzo anno consecutivo, Sebastian
Vettel laurearsi campione del mondo. Dopo una stimolante ed avvincente lotta
con il suo principale avversario Fernando Alonso, è arrivato a vincere il
titolo con soli tre punti di vantaggio in classifica sullo spagnolo della
Ferrari, 281 contro 278. Non è salito sul podio (è arrivato sesto) ma ha
conquistato il primato, anche se sul filo di lana. Sul podio di San Paolo sono
saliti: Batton, vincitore della corsa, e i due piloti della Ferrari Alonso
secondo e Massa terzo.
“Fernando Alonso e la Ferrari perdono per la seconda volta in tre anni
un mondiale all’ultima gara. Un finale stavolta scontato per un fallimento
arrivato da lontano, da inizio stagione, e completato con la pausa estiva”,
cosi titolavano i giornali sportivi all’indomani della mancata vittoria della
Ferrari e di Alonso, paragonando quest’ultimo ad un “Samurai” lasciato solo. Fernando, anche secondo me, è rimasto davvero solo,
in un mondo in cui la solitudine ti lascia per forza di cose giù dal podio, se
ti mancano i supporti (la Red Bull è stata notoriamente l’auto migliore) che,
invece, altri hanno. E proprio in questa mancanza di sostegno, di appoggio e di
aiuto, “Ferdinando” (come a volte continua a chiamarlo il presidente
Montezemolo) ha dovuto trovare in se stesso la forza per andare avanti e
correre, anzi inseguire. È stata a detta di tutti la migliore stagione di
Fernando. Non ci sono dubbi. Nonostante la macchina meno competitiva ha
cercato di fronteggiare a viso aperto il suo avversario, Vettel, la cui forza e determinazione, con i suoi freschi 25 anni, è non solo nota ma anche agevolata, più supportata e quindi vincente.
"Mi sento orgoglioso della stagione che abbiamo fatto".
Così Fernando Alonso ha commentato dal podio del secondo posto, ottenuto nel Gran
Premio del Brasile, che però non è bastato per rimontare Vettel per la conquista del titolo.
"Non lo abbiamo perso oggi - ammette lo spagnolo della Ferrari - ma in alcune
gare precedenti, dove abbiamo avuto sfortuna. Ma questo è lo sport. Quando si fanno le
cose con il cuore e dando il 100%, bisogna essere orgogliosi, sempre. E io - aggiunge
Alonso - sono orgoglioso e felice della mia squadra". Anche Felipe Massa,
arrivato terzo nell’ultimo gran premio a fare la doppietta con Alonso sul podio, ha
commentato: "Penso che la mia seconda parte della stagione, che è stata
positiva, sia stata una preparazione per il prossimo anno". "Correre
qua è sempre emozionante. E' stata una corsa fantastica - prosegue il
ferrarista - poteva andare meglio per il risultato. Ma è stato
fantastico".
La lotta continuerà certamente ad
oltranza. Senza dubbio il prossimo anno, con rinnovato vigore, tutti
riprenderanno a lottare, senza esclusione di colpi. La competizione e il forte
desiderio della vittoria alimenteranno in tutti, come il particolare carburante
della formula uno, la voglia di vincere, di essere il numero uno! Inutile
negarlo è la nostra società, basata sulla competitività a tutti i livelli, a
creare le motivazioni per primeggiare. Ognuno corre per arrivare primo, per
raggiungere traguardi e obiettivi spesso troppo ambiziosi, trasformando i ritmi
della propria vita in modo insostenibile. In tutti i campi ed in
tutte le attività umane, è una frenetica ed inarrestabile corsa verso il potere, il successo,
la carriera, la perfetta forma fisica; la ricerca del benessere materiale, ottenuto a
qualsiasi costo, non accenna a diminuire, anzi cresce ogni giorno di più.
Questo comporta un terribile stravolgimento dei ritmi di vita, creando, spesso, più
vittime che vincitori. Vittime dell'ansia, dello stress e della depressione,
incapaci di gestire la maggior parte dei rapporti interpersonali, di
raggiungere quel livello accettabile di socialità che tutti, invece, dovrebbero avere.
Così facendo, però, non ci rendiamo conto che anziché migliorare la qualità
della nostra vita, la peggioriamo inesorabilmente.
Dovremo seriamente riflettere, vivere
la competizione con più serenità, senza l’ansia di essere sempre i primi, accettando anche la sconfitta e tendendo
la mano all’avversario vincitore senza rancore; considerare chi compete con noi
più un amico che un avversario. Credo che Il barone Pierre De Coubertin,
promotore delle Olimpiadi moderne, ci abbia lasciato un grande esempio con la
sua famosa frase: “L'importante non è vincere, ma
partecipare”.
Grazie a tutti Voi della gradita
attenzione.
Mario
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