Oristano
28 Marzo 2015
Cari amici,
pur avendo radici
lontane il detto “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca
di Dio” (la Bibbia, Deuteronomio 8.3), anche al giorno d'oggi sta a
significare la costante necessità per l’uomo di apprendere, di migliorare la propria conoscenza. Eppure ampliare i propri orizzonti, acculturarsi, nel nostro
Paese sta diventando sempre più difficile, e il sapere non solo stenta a
divulgarsi, ad aumentare, ma addirittura sembra destinato a decrescere in modo
sempre più preoccupante. La grande indifferenza degli italiani nei confronti
della cultura, appare quasi come un disastro annunciato.
Cultura, cari amici, è
un termine che spazia a 360 gradi: non significa solo saper leggere e scrivere, ma utilizzare tutti gli strumenti che portano
l’individuo ad ampliare la sua mente, a riempirla con quel fruttuoso bagaglio
di utile sapere. Cultura, però, non è solo il libro da leggere, ma è anche il cinema,
il teatro, la poesia, lo studio della natura e l’arte, in tutte le sue
incredibili forme e varianti. Eppure, nonostante questa immensa varietà
culturale, stentiamo a riempire il vuoto della nostra mente: sembra quasi che
il “non sapere” non ci mortifichi più di tanto, dominati come siamo, in modo
impressionante, dall’indifferenza, dall’apatia, dalla disaffezione, se non
addirittura dall’antipatia verso la nostra crescita cognitiva, che ci darebbe
la possibilità di allargare i nostri orizzonti, di apprendere ciò che non
sappiamo, che non conosciamo.
Si, proprio “Antipatia”,
questo è il termine davvero calzante, perché siamo arrivati ad odiare la
cultura ad un punto che tendiamo a tenere lontana da noi anche la persona impregnata
del suo odore! Al giorno d’oggi chi bazzica sui libri, va ai concerti, a teatro,
è persona da scansare. Siamo passati dal profondo rispetto di qualche decennio
fa, quando la maestra, il professore, l’intellettuale venivano da noi
apprezzati e ammirati, al loro rifiuto, quasi fossero soggetti da disprezzare, da evitare. Il
credo imperante, ormai, è un altro, molto più banale: siccome la cultura non ti dà
da mangiare, non vale la pena studiare! In realtà a contare sono solo i soldi, e
non si può perdere tempo con le sciocchezze del sapere. La cultura in
quest’ottica viene percepita come fatica sprecata, noia garantita, ozioso
passatempo per anime belle che non vogliono proprio capire come funziona il
mondo.
Se
qualcosa non produce denaro, non vale niente, questo il credo imperante!
Viviamo tempi che, già a partire dalla scuola, il vocabolo “conoscenza”, inteso come sapere culturale, è stato sostituito dal
vocabolo “competenza”, a significare
che tutto deve immediatamente tradursi in qualcosa di utilità pratica,
altrimenti non serve. Il Sapere, inteso come studio del passato, come orgoglio e
identità culturale, è ormai qualcosa di obsoleto, non più al passo coi tempi,
definito semplicemente improduttivo. La logica è imparare solo quello
che serve per vivere (sarebbe meglio dire “sopravvivere”): la poca cultura
necessaria è quella intesa come un “manuale
di istruzioni”, tipo quello per gestire un elettrodomestico, una lavatrice, un forno a micro onde,
l'auto o il cellulare. I ragazzi sensibili, quelli che amano ancora scrivere poesie,
studiare musica, teatro o recitazione, sono considerati “out”, insomma tipi
strani da lasciare da parte.
I ritmi della vita
moderna non danno più spazio al piacevole conversare nei noti luoghi d’incontro: piazze,
bar, caffè e circoli. Viviamo nella società dell’apparire, più che dell’essere!
Ci ubriachiamo di insulsa TV, di social network dove il gossip imperante è di
livello così scadente da rasentare l’abbruttimento. Il rischio reale che corriamo è
l’allontanamento dalla realtà, immersi in un mondo virtuale che ha eliminato anche
il piacere del contatto fisico, cancellando dalla nostra mente pure i sogni. Eliminare la cultura,
però, ripudiarla, ha lo stesso significato dello "sputare controvento": lo sputo,
come un boomerang, ci ricadrà immancabilmente addosso.
Un Paese ignorante, cari
amici, con la mente vuota, è un Paese senza cervello: non può andare lontano, come lontano non può
andare una gallina decapitata, che dopo quattro passi finisce a terra.
Gli impietosi dati
dell’Istat rivelano che nel nostro Paese quasi il 55% degli italiani al di
sopra dei sei anni di età non legge neanche un libro all’anno e solo 3 persone
su dieci visitano un museo una volta
l'anno. In Francia i musei sono frequentati dal 61 per cento della popolazione (almeno
una volta all’anno) mentre in Inghilterra la percentuale è del 75 per cento.
Eppure qualcosa per risvegliare l’interesse culturale bisognerebbe pur fare.Non possiamo pensare di sepellire la cultura senza reagire!
A Londra, ad esempio,
un italiano, Sergio Dogliani, ha dato vita agli Idea's
store, biblioteche, ma anche caffè, internet point, dove si realizzano
corsi che vanno dalla cucina etnica alla danza, veri centri polivalenti di
cultura e di integrazione sociale. I nostri classici luoghi d’incontro, con le
dovute differenze, potrebbero ispirarsi a questi modelli di vero welfare
culturale e non solo al banalissimo cliché di affittare sale per ricevimenti o
per sfilate di moda.
Cari amici, noi
italiani credo che come idee non siamo secondi a nessuno. Servirebbero innovative
politiche culturali di ampio respiro, stimolate e portate avanti dalla Pubblica
Amministrazione. In tempi come questi, però, tempi grami di spending review,
sarà difficile che ciò succeda! Così, noi italiani, diventeremo ancor più delle
cenerentole, superati da Paesi che non possono neanche accostarsi timidamente
al nostro luminoso passato culturale. Chissà come si rivolteranno nella tomba
personaggi come Dante Alighieri: credo che sicuramente inventerebbe qualche
altro girone infernale…
Ciao, a domani.
Mario
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