Cari amici,
non c’è bisogno di andare a rileggere la Costituzione per affermare che la “Famiglia” è il primo e più importante nucleo della Società.
L'articolo 29 della stessa, infatti, considera la famiglia il nucleo basilare dell'ordinamento sociale. I membri della famiglia sono soggetti a specifici diritti e doveri. Tra questi l'obbligo dei coniugi di salvaguardare l'unità familiare, nella reciproca assistenza e l’obbligo del mantenimento e dell'educazione comune dei figli fino alla maggiore età. La famiglia è riconosciuta legalmente quale soggetto economico con appositi istituti giuridici.
La famiglia, anzi l’organizzazione basata sulla famiglia, esiste fin dai tempi più remoti, quando l’uomo ha creato le condizioni per vivere “insieme” ad altri esseri umani. L’uomo è sempre partito dalla famiglia, come base irrinunciabile per la pacifica convivenza con gli altri individui.
La parola italiana famiglia deriva dal latino familia, termine che indica l’insieme dei “famuli”, ovvero i componenti di quel nucleo “familiare” legati da un rapporto di dipendenza dal capo famiglia, il “paterfamilias”. Non necessariamente questa famiglia era legata da vincoli di sangue: nel concetto latino di familia si sovrapponevano e coesistevano la “familia iure proprio” e la “familia domestica”. La prima non era basata quindi su vincoli di sangue, sulla parentela, ma su vincoli di tipo politico-economico e religioso; la seconda si fondava sulla consanguineità. Il paterfamilias era il capo assoluto di entrambe. Egli disponeva, come di cose di sua proprietà, non solo dei beni e dei servi, ma anche della moglie e dei figli.
Nella lenta ma costante evoluzione, la familia perse importanza come entità politica e divenne patriarcale, con più generazioni di consanguinei sotto lo stesso tetto. Il potere del paterfamilias sui familiari da assoluto divenne limitato, regolamentato per legge. Durante il Medioevo l'influenza del Cristianesimo e il legame matrimoniale, considerato un “sacramento”, apportarono ulteriori modifiche alla convivenza matrimoniale, dando alla nuova struttura della famiglia un significato ben diverso da quello antico, certamente meno “padronale”.
Per l'antropologia e la sociologia moderne, la famiglia è considerata “un gruppo sociale” fondato sul legame matrimoniale. Ha come nucleo i coniugi e i loro figli, ma può estendersi anche ad altri parenti di sangue o acquisiti. Si caratterizza per l'esistenza di una rete di vincoli, divieti e diritti affettivi, legali ed economici. Oggi si è ben lontani dalla precedente struttura di famiglia patriarcale, anche se resiste ancora in certe zone e in certe classi sociali la tradizione di questo tipo di famiglia, in cui diverse generazioni di parenti abitano sotto lo stesso tetto. A parte le eccezioni, però, ai giorni nostri la mobilità geografica e sociale, il mutamento del ruolo della donna, l'aumento dei costi della gestione familiare, la crisi della natalità e il divorzio stanno creando oggi nuovi tipi di famiglia.
La famiglia è sempre stata oggetto di studi approfonditi da parte degli studiosi sociali. I primi studi sulla famiglia furono condotti da F. Le Play (1806-1882), il quale per primo ideò uno schema di classificazione: la famiglia patriarcale (tutti i figli sposati convivono nello stesso ambiente domestico e l’autorità spetta al padre e, alla sua morte, al primogenito maschio); la famiglia instabile (caratterizzata da piena libertà dei figli sulla scelta del coniuge e su l’autonoma scelta della residenza); la famiglia ceppo (quando un solo figlio maschio porta la moglie a casa dei genitori). Un’ulteriore tipologia è stata sviluppata da P. Laslett per venire incontro ai mutamenti nella strutturazione della famiglia occorsi con i cambiamenti della società. Egli classifica la famiglia in cinque tipi: nucleare (una sola unità coniugale), estesa (una sola unità e più parenti conviventi), multipla (due o più unità coniugali), del solitario (una sola persona), senza struttura (più persone non vincolate da un rapporto coniugale). Oltre alle classificazioni su menzionate successivamente sono apparse nelle Comunità altre forme di convivenza familiare, essendosi sviluppate nuove forme di unioni familiari, come le convivenze more uxorio e le unioni civili, diventate sempre più modelli alternativi a quelli del passato.
Nei primi anni del secolo XX, quando era imperante la “civiltà contadina”, la famiglia era un’unità allargata, estesa, che comprendeva i discendenti di una stessa linea familiare, e che conteneva – al suo interno - diversi nuclei familiari. Le famiglie contadine di allora erano decisamente numerose: non c’era allora il problema che affligge oggi il nostro Paese e cioè un incremento demografico vicino allo zero. Era normale per quei tempi che le famiglie fossero composte da trenta o quaranta persone, perché i poderi avevano un’estensione tale che occorrevano molte braccia per lavorarli. É anche per questo motivo che i figli venivano considerati una vera ricchezza. Nella famiglia rurale, nucleo importantissimo di un sistema economico di tipo artigianale - contadino, prevalevano schemi di autorità patriarcale o, in alcuni casi, matriarcale. Il governo degli affari familiari era affidato al capo famiglia. Ciascuna famiglia operava sotto la guida forte dell’anziano Pater familias, in genere in un clima di armonia e collaborazione. A Lui solo spettava il potere di dirigere l’organizzazione familiare: i lavori dei campi, i contatti con il fattore e il maneggio dei pochi soldi, la gestione delle risorse. Tutto ciò nella logica della saggezza e dell’esperienza che l’anziano poteva vantare, ed al quale erano dovute obbedienza e rispetto. Difficilmente i suoi ordini venivano disattesi. Le “riunioni decisionali” (vi era una discussione-approvazione ancorché formale) erano prese nelle due sedute più importanti della giornata e che vedevano riunito tutto il nucleo familiare: il pranzo e la cena. Questo quotidiano “stare insieme” della famiglia patriarcale-contadina consentiva di rafforzare la coesione del “gruppo” e dimostrava la forte connotazione che la legava: il legame di sangue ed il conseguente affetto dei suoi componenti.
Tenere unito un clan familiare spesso formato anche da decine di persone era allora più semplice di adesso. La famiglia patriarcale, dove tutti avevano un compito ed un ruolo in relazione alle proprie forze e capacità, era una specie di piccola società agricola/artigianale. Questa “unità produttiva” era completamente autosufficiente: capace cioè di provvedere da sola a procurarsi cibo, vestiti, scarpe, attrezzi, ecc. perché all’interno della famiglia/fattoria esisteva un sistema economico di tipo autarchico, capace di soddisfare i bisogni fondamentali di sussistenza, limitando l’interscambio con l’esterno al minimo indispensabile e, comunque, in linea di massima entro i confini della comunità del proprio villaggio.
Con l’avvento della società industriale, a partire dai primi del ‘900, la famiglia si trasforma da “unità produttiva” a “unità di consumo”, oltre che da “ estesa” a “coniugale”. Nel nuovo tipo di società, il lavoro si esplica principalmente fuori dall’ambito familiare: La produzione avviene “fuori”, nelle fabbriche, con retribuzione salariale per il lavoro svolto e che consente di provvedere ai bisogni della famiglia acquistando, direttamente sul mercato, quanto necessario il mantenimento della propria famiglia. Questo cambio radicale apporta modifiche rivoluzionarie anche alla struttura dell’autorità familiare: l’esternizzazione del lavoro ha sciolto o allentato i vincoli di appartenenza e sudditanza prima esistenti. L’abbandono della vecchia famiglia d’origine crea nuovi nuclei di dimensione molto più piccola, dove i coniugi spesso abitano con uno o due figli. Il cordone ombelicale prima esistente con le precedenti generazioni sembra caduto, tagliato di netto. E’ la nascita della famiglia “mononucleare”, ulteriormente ridottasi, spesso, ad un unico elemento.
Con l’avvento di questo nuovo tipo di Società si registra, rispetto al vecchio concetto di famiglia patriarcale, la scomparsa di molte delle tipiche funzioni prima esistenti. Se la grande e numerosa famiglia patriarcale era deputata anche a sopperire alle avverse vicissitudini della vita, come calamità naturali, malattie, assistenza agli anziani e quant’altro, ora queste funzioni sono state demandate allo Stato e quindi all’Amministrazione Pubblica. Con l’avvento dello “Stato Sociale” la famiglia si è spogliata di molte delle sue vecchie prerogative, mantenendo, però, una delle sue più importanti funzioni: favorire al suo interno l’acquisizione di conoscenze, norme, atteggiamenti, valori che sono indispensabili per poter vivere all’interno di qualsiasi società.
Dopo questa rapida carrellata sull’evoluzione che la famiglia ha avuto nel corso del tempo cosa possiamo dire sul percorso fatto e, soprattutto, su quello ancora da fare? La risposta credo non sia ne semplice ne facile.
L’evoluzione, certo, non è stata di poco conto. A partire dagli anni Cinquanta il concetto di famiglia è iniziato a cambiare radicalmente: la donna ha conquistato la sua indipendenza economica ed ha smesso di essere soltanto moglie e madre. E' diventata una figura in grado di muoversi non solo nell’ambito familiare ma anche in quello lavorativo e professionale. Si è portato a termine il processo di trasformazione della famiglia dal modello patriarcale, caratteristico di una società contadina ed artigiana, nel quale l'uomo aveva il "dominio" sulla donna e a lui spettavano tutte le decisioni, al modello moderno, nel quale l'uomo e la donna sono considerati alla pari. L'uomo e la donna diventano quindi uguali sul piano dei valori e dei diritti e diventano complementari nello scambio dei compiti e nell'obiettivo di mantenere unita la famiglia. La conquistata libertà ha portato con se, però, un alto prezzo da pagare: l’allentamento se non la perdita di una parte di valori morali importanti, conseguenti alla vita sociale allargata ed all’espletamento del lavoro e agli impegni quotidiani fuori dalle mura domestiche che condizionano la vita di relazione della coppia. Se prima la donna, che dipendeva in tutto e per tutto dal marito, sopportava qualsiasi situazione e non osava ribellarsi al proprio marito, ora la donna vuole avere gli stessi diritti del marito e può arrivare a fare di tutto per mantenere la propria indipendenza. Inoltre il desiderio di affermarsi nel mondo del lavoro ha portato alla nascita di famiglie con pochi figli, uno solo o al massimo due, con un drastico calo del numero di bambini con due o più fratelli. Si tratta spesso di scelte dettate dalle esigenze economiche e dall’impossibilità di dedicare gran parte del proprio tempo alla famiglia, in una società dai ritmi frenetici e che valorizza il successo personale in ambito professionale. Al giorno d'oggi ci sono, inoltre, nuovi tipi di famiglie: le libere unioni, le famiglie ricostituite, le famiglie allargate e le famiglie formate da single. E sono in molti a domandarsi se l’istituzione familiare sia, come molti sostengono, in serio pericolo.
Evoluzione, quella prima menzionata, che parte dal patriarca “Pater familias” per arrivare alla donna-manager, libera ed indipendente. Ma siamo sicuri che questo processo sia stato realmente “evolutivo” o, sotto certi aspetti”, almeno in parte, involutivo? A ben pensare, a mio avviso, certi risultati e certe fughe in avanti si sono rivelate peggiori del male che cercavano di sanare. Cerco di spiegare meglio questo mio pensiero. Riepiloghiamo.
Siamo partiti, è vero, da una società patriarcale, dominata dal capo famiglia, vero padre padrone del clan familiare, dove però la solidarietà tra le vecchie e le nuove generazioni era la regola, per approdare ad una nuova società arida e globalizzata, dove il sistema socio economico è a dir poco ammalato di “egoismo generazionale”. E’ questa, purtroppo, la tristissima realtà che stiamo vivendo!
Siamo immersi in un sistema realmente ammalato ed egoistico nel quale “il conto” dei privilegi odierni dei padri (cioè NOI) viene rimbalzato e caricato ai figli, ipotecando il loro futuro, sul quale grava il pesantissimo debito pubblico, terzo per dimensioni nel mondo. Un egoismo il nostro che ha radici antiche e si rinnova di continuo, come l’araba fenice, perpetuandosi all’infinito, come il recente provvedimento per l’aumento dell’età pensionabile ha ulteriormente ingigantito. Nessuno si è posto la domanda: “ Ma i nostri figli, i giovani, quando potranno mai entrare nel mondo del lavoro?”. Sono molteplici le connessioni tra le regole pensionistiche ed il funzionamento del mercato del lavoro. Il mantenimento in piedi del “welfare system” attraverso il prolungamento delle carriere e l’allungamento dell’età pensionabile crea un’ulteriore difficoltà nella collocamento di nuova occupazione. L’analisi della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie mette in evidenza l’inderogabile necessità di riformare urgentemente sia il mercato del lavoro che il sistema pensionistico, strettamente legati ed interconnessi.
Le colpe, cari amici, hanno lunghe e lontane radici e sono frutto dell’egoismo di un’intera generazione che prima ha preteso diritti che non si poteva permettere e poi ne ha scaricato il costo sui figli. Perché, come insegnano Holmes e Sunstein, i diritti, tutti i diritti, anche quelli di libertà, hanno un costo e quel costo qualcuno, prima o poi, lo deve pagare. E se non lo fanno i padri il conto lo pagheranno i figli, come giorno dopo giorno continuiamo a toccare con mano.
I recenti dati dell'istituto di statistica (Gennaio 2012) evidenziano che in Italia “Un giovane su tre è senza impiego”. Su base annua i disoccupati crescono del 10,9% a 2,423 milioni: 1,243 milioni sono uomini. L’Unione Europea sostiene che è "inaccettabile un livello così alto di disoccupazione tra i ragazzi". Incredibilmente siamo tornati indietro ai dati del 2001.
Le conseguenze di tutto questo, cari amici, sono a dir poco drammatiche. Il bello è che, da veri sadici, abbiamo preso a considerare questi giovani senza lavoro, arroccati e delusi nella case dei loro genitori, come dei “Bamboccioni”.
Il termine fu coniato non molto tempo fa da Tommaso Padoa-Schioppa, che volle definire in questo modo i giovani che non vogliono allontanarsi dalla famiglia d’origine preferendo, invece, di continuare a vivere nella casa dei genitori. Credo che questa affermazione pecchi se non .altro di superficialità. Ma chi l’ha detto che i giovani che abitano ancora con i genitori lo fanno perché non vogliono crescere? Qualcuno dovrebbe spiegare Loro come far quadrare il bilancio di un giovane “precario” fatto di guadagni incostanti se non assenti, di costo degli affitti da capogiro, di mutui negati o di prestiti a tassi usurari. Mettere su famiglia in queste condizioni è un rischio da correre? La risposta mi sembra scontata.
Le mancate necessarie riforme del lavoro costringono questi "bamboccioni" ad una convivenza consolatoria con genitori e nonni: la famiglia si ripiega su se stessa in una società ingessata, incapace di trovare soluzioni. I dati più recenti rivelano che in Italia il 60% dei giovani tra i 25 e i 29 anni e un quarto di quelli tra i 30 e i 34 continuano a vivere ancora con la famiglia d’origine. Il drastico calo delle nascite, inoltre, ha fatto sì che oggi i nonni siano di gran lunga più numerosi dei nipoti e gli ultranovantenni rappresentano ben mezzo milione di italiani.
In un momento di crisi economica che avvolge l’intero pianeta le soluzioni non sono certo facili o a portata di mano. La mia convinzione è che una generazione almeno vivrà in modo “precario” allocata, soprattutto, in famiglia. La curva del benessere ha smesso di puntare verso l’alto e dopo una breve posizione orizzontale si avvia ad una malinconica discesa.
Sembra che il sistema di sia avvitato su se stesso. Se rispettiamo le antiche regole matematiche che sostenevano che “cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia”, anche nell’evoluzione della famiglia, da quella patriarcale a quella odierna, il “prodotto”, in effetti sostanzialmente non è cambiato. L’antico flusso economico che ieri legava nonni e nipoti nella società patriarcale, è ancora oggi vivo e vegeto. Ha solo invertito la direzione, come se avessimo rovesciato l’imbuto. Ieri i nipoti, prima allevati e poi cresciuti, mantenevano nella maturità i genitori ed i nonni; oggi sono i nonni ed i genitori a mantenere a lungo, ad oltranza, figli e nipoti!
Grazie a Voi tutti dell’attenzione.
Mario
1 commento:
Perché tutto questo accanimento contro la famiglia? Non è affatto in crisi, anzi adesso è più amata e diffusa di vent'anni fa.
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