domenica, giugno 30, 2024

LA SARDEGNA, O MEGLIO DIRE IL “POPOLO SARDO”, VA VERSO L’ESTINZIONE. CONTINUA SENZA SOSTA IL SUO SPOPOLAMENTO: SENZA RIMEDI EFFICACI SARA' LA FINE.


Oristano 30 giugno 2024

Cari amici,

Dedico  l'ultimo post del mese di giugno alla mia amata isola, sempre più angustiata da seri problemi. La SARDEGNA,  o meglio dire noi, popolo sardo, stiamo correndo verso l’estinzione! In un solo anno, nel 2022, la Sardegna ha perso 9.267 abitanti, ovvero quanti sono gli abitanti di un centro medio, come può essere Cabras, Terralba, Ghilarza o Dorgali, per fare un esempio. I nuovi nati del 2022 sono stati 7.703 (-529 rispetto al 2021). Secondo i dati diffusi ieri dal CREI ACLI con il RAPPORTO “METE 2024” dell’Osservatorio regionale delle migrazioni, la Sardegna si conferma all’ultimo posto in Italia per fecondità con un indice di 0,91 (meno di un figlio per donna) contro la media nazionale pari a 1,20, arrivando ad essere la seconda regione d’Italia per variazione percentuale annua negativa della popolazione, con una riduzione dello 0,53%, seconda soltanto alla Basilicata.

Amici, questa spaventosa realtà è evidenziata da un dato terribile: dal 2016 al 2024 la nostra isola ha perso ben 88mila abitanti! Un futuro nero, quindi, quello che ci attende, e che vede l’’isola continuare a svuotarsi non solo nell’interno, tanto che le stime dicono che in un periodo alquanto breve (verso il 2080) la Sardegna rischia di scendere sotto gli 800mila abitanti! Una tristissima realtà che, solo attraverso seri interventi immediati, potrebbe migliorare, e l’emorragia potrebbe essere contenuta, restando attorno al milione di abitanti.

Si, amici, questo trend negativo risulta alquanto difficile da interrompere, essendo un circolo vizioso che solo con veloci e drastici interventi politici potrebbe essere frenato. Lo Stato centrale e, a seguire, la Regione sarda, devono quanto prima decidere se lasciar morire i Comuni a rischio spopolamento e quindi estinguersi, oppure intervenire, iniziando a finanziare almeno i servizi essenziali, che magari al momento andranno in perdita, ma che possono alla lunga innescare il cambiamento, prima con un fermo delle fughe e successivamente avviando un nuovo ripopolamento.

Il problema, amici, non è di poco conto, e il tempo gioca sempre più a favore dello spopolamento. La politica deve decidere subito, se accettare la sfida di salvare il salvabile oppure restare immobile, assistendo alla morte di interi paesi che nel tempo hanno fatto la storia dell'isola, con le loro tradizioni e i loro saperi, che in tempi brevi andrebbero nel dimenticatoio! È certo una scommessa, quella di tentare il salvabile, ma è da mettere subito sul tappeto, iniziando con degli incentivi economici, anche se questo di certo non basta. Bisogna operare in modo più concreto per ridare a questi paesi i servizi che negli ultimi tempi sono spariti: dai negozi ai bar, dalla scuola alla banca e all’ufficio postale; tutti servizi oggi indispensabili,  perché le famiglie possano vivere una vita degna di questo nome.

Le previsioni ISTAT indicano che la Sardegna perderà il 21% della sua popolazione entro il 2050 e la popolazione under 15 anni diminuirà del 32% e la popolazione attiva (15-64 anni) del 38%. Su questo indice viaggia anche la migrazione universitaria: oltre il 16% dei giovani sardi sceglie Atenei fuori regione, principalmente in Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. In generale il numero totale di studenti iscritti agli atenei sardi è in lieve diminuzione: nonostante gli investimenti per il diritto allo studio; seppure la Sardegna sia riuscita a far diventare beneficiari tutti gli studenti idonee alla borsa di studio, permane una criticità nei confronti del tema alloggio per gli studenti fuori sede.

Le ragioni dello spopolamento, amici lettori, sono tanti. Ma la prima ragione in assoluto è la ormai consolidata “Mancanza di fiducia dei sardi nel futuro”, causata dalla scarsa o nulla attenzione di chi ci governa. Fiducia che manca innanzitutto nei giovani, che cercano altrove un luogo meno triste per stabilirsi e che, prima di fare dei figli, cercano come è giusto che sia, la sicurezza economica. Oggi è già difficile mettere in cantiere un figlio, figuriamoci due! Ecco perché  il crescente malessere presente nella nostra isola ha ragion d’essere, e va  preso seriamente. Non è solo, dunque, un problema economico ma quello di ricreare la fiducia nelle Istituzioni. Fiducia che può rinascere nelle persone, iniziando a fornire, nei tanti paesi sprovvisti, quei servizi essenziali che consentono di vivere dignitosamente.

Cari amici, nella nostra amata Sardegna, di fronte ad una realtà così difficile e preoccupante, sono necessarie, da parte dello Stato, decisioni immediate. Ogni giorno che passa, la situazione si aggrava e si corre il rischio che i provvedimenti possano arrivare comunque, tardi, perché il tempo non gioca a favore. La trappola demografica si sta serrando sempre di più, e si corre il rischio di chiudere la stalla quando i buoi sono spariti. Certo, nessuno ha  la bacchetta magica, ma non si può stare inerti: in qualche modo il problema va affrontato e risolto!

A domani, amici lettori.

Mario

sabato, giugno 29, 2024

CIBI ANTICHI DI SARDEGNA: “SA MAZZA FRISSA”, UN PIATTO NATO POVERO, MA ANCORA OGGI ECCELLENTE E ALQUANTO GRADITO!


Oristano 29 giugno 2024

Cari amici,

La SARDEGNA è terra antica, e, quale frutto dell'esperienza millenaria dei popoli che l'hanno abitata, conserva gelosamente, oltre i suoi tesori archeologici, saperi e sapori che si sono tramandati nel tempo, arrivando fino a noi. Sono tante le ricette di cucina che risalgono a migliaia di anni fa, ed io oggi, cari lettori, voglio parlare con Voi di un piatto antico, realizzato in tempi di grande povertà, quando le famiglie lottavano per riuscire a mettere insieme il necessario per vivere. La ricetta che ricordo a Voi oggi è quella denominata “SA MAZZA FRISSA”, inventata dai pastori sardi nel lontano passato.

Secondo i ricordi degli anziani, la ricetta de "SA MAZZA FRISSA", sarebbe stata inventata proprio dai pastori, che mettevano a rassodare gli ingredienti durante lai notte, per trovare poi la crema pronta il giorno dopo; altri, invece, accreditano la leggenda che la ricetta sia legata alla tradizione della festa di San Giovanni, quando si diceva che il piatto portasse chi lo mangiava a venire a conoscenza di sogni premonitori. C’è anche chi sostiene si tratti di una ricetta di recupero, nata per utilizzare la panna avanzata: pochi ingredienti a basso costo, sempre disponibili nelle povere case di campagna, per realizzare un piatto buono e nutriente.

Questo piatto è particolarmente presente tra i pastori della Gallura, e la sua ricetta si è tramandata di generazione in generazione, arrivando al giorno d’oggi con un gradimento che ha travalicato l’isola, raggiungendo molta fama, anche a livello nazionale. Si tratta di un piatto tipico molto semplice e veloce da preparare, ma molto sapido e nutriente. Per realizzare questa pietanza bastano pochi ingredienti,  cucinati anche rapidamente, e il gioco è fatto. Originariamente nella cucina sarda, sa Mazza frissa si preparava con solo panna di pecora, farina di semola e miele (ingrediente che può mancare se non si ama  il dolce), anche se successivamente le variazioni non sono mancate.

Oggi, infatti, possiamo realizzare questo piatto sostituendo la panna fatta con latte di pecora con una comune panna vaccina. Panna, farina e un pizzico di sale, dunque, per realizzare un impasto denso e cremoso, da mangiare in purezza o usare per condire primi e secondi piatti. La tradizione del piatto “Sa mazza frissa”, si è conservata come accennato in Gallura, restando spesso sconosciuta nel resto della stessa Sardegna. Questo piatto antico e goloso, nato dall’ingegno degli antichi pastori, è oggi spesso proposto nei ristoranti del territorio. Ebbene, cari lettori, sapendovi “Curiosi”, passo ora a darvi i dati necessari per poter preparare Voi  questo antico piatto.

SA MAZZA FRISSA”, INGREDIENTI PER 4 PERSONE: 500 ml di panna fresca, 50 gr di semola fine, 1 pizzico di sale fino, miele q.b.

.PREPARAZIONE DELLA RICETTA. Amici, è un piatto alquanto facile da preparare, richiede solo 10 minuti di preparazione, oltre una decina di minuti per la cottura. Iniziamo la preparazione prendendo una pentola ampia; ci versiamo dentro la quantità di panna fresca prevista e la posizioniamo sul fornello per iniziare a farla cuocere. Durante la cottura insaporiamo con un pizzico di sale e aspettiamo che giunga a bollore. A questo punto, abbassiamo la fiamma e iniziamo ad aggiungere la semola fine, a pioggia. Attenzione: versiamo due cucchiai alla volta, mescolando lentamente ad ogni aggiunta. Aspettiamo di incorporare perfettamente la semola in polvere, prima di passare all’aggiunta successiva. Per una migliore amalgama, mescoliamo continuamente, fino a quando il composto inizia a distaccarsi dalle pareti della pentola e rilascia tutto il grasso. Spegniamo ora il fornello lasciando intiepidire. Nel frattempo, versiamo il miele in un pentolino e lo facciamo sciogliere un po’. Siamo arrivati al termine: passiamo il composto nei piatti, cospargendo con il miele fuso.

Cari amici, se avete seguito con atternzione i passaggi, sarete d’accordo con me che la ricetta de Sa Mazza frissa è semplicissima da fare in casa. In pochi minuti, anche chi non si intende troppo di cucina sarà in grado di poter servire in tavola una pietanza buona e nutriente, dalla consistenza quasi cremosa, da gustare accompagnata da croccanti fette di pane! Buon appetito, cari lettori!

A domani.

Mario

venerdì, giugno 28, 2024

CHIRURGIA IN SALA OPERATORIA: PREFERIRESTI FARTI OPERARE DA UN TEAM DI CHIRURGHI O DI CHIRURGHE? HAI PIU' FIDUCIA NEGLI UOMINI O NELLE DONNE?


Oristano 28 giugno 2024

Cari amici,

Quando la vita ci pone davanti alla necessità di subire un’operazione chirurgica, se fosse possibile scegliere, opteremo per una equipe di chirurghi oppure di chirurghe? Il dilemma non appare di poco conto, se pensiamo, in particolare, che le donne sono arrivate alla medicina e alla chirurgia molto tempo dopo gli uomini. Anche oggi, nonostante siano numerose le donne che sono entrate a pieno titolo nella professione medica, il mondo della chirurgia è sempre dominato dagli uomini, e secondo alcuni studi, le donne chirurghe risultano anche vittime di sessismo.

Un comportamento indubbiamente prevaricante, in quanto le donne, anche in quel campo, hanno già dimostrato capacità non comuni. Una nuova ricerca, pubblicata su Jama Surgery e condotta in Svezia e Canada, ha dimostrato che le chirurghe in sala operatoria ottengono risultati migliori nella cura del paziente. Secondo i dati raccolti, le persone operate da donne hanno infatti meno probabilità di incorrere in complicazioni post operatorie, rispetto a quando sono gli uomini ad aver operato con il bisturi in mano. Lo studio ha analizzato un campione di oltre 1 milione di persone operate tra il 2007 e il 2019, ha rilevato che 90 giorni dopo un intervento il 14% dei pazienti curati da un chirurgo uomo ha avuto “eventi post operatori avversi” (termini utilizzati per indicare la morte o infezioni gravi) che hanno richiesto ulteriori interventi chirurgici. Il numero di pazienti operati da chirurghe incorsi in complicazioni, è, invece, risultato minore, quantificato in un 12,5%. Anche 1 anno dopo l’intervento, le persone operate da donne hanno avuto risultati migliori: il 20,7% ha avuto un evento postoperatorio avverso, rispetto al 25% di quelli operati da chirurghi uomini.

Guardando ai decessi post operatori, i ricercatori hanno scoperto che i pazienti curati dai chirurghi avevano il 25% di probabilità in più di morire 1 anno dopo l’intervento, rispetto a quelli curati dalle colleghe. A influire su una migliore riuscita delle operazioni, dice lo studio, sarebbe soprattutto il tempo trascorso in sala operatoria. A differenza dei loro colleghi, le chirurghe tendono a operare più lentamente e a limitare i rischi durante le operazioni.

Amici, la realtà è che, purtroppo, le donne specializzate in chirurgia nel mondo sono solo una minoranza: è quasi il 23% negli Stati Uniti e la forbice aumenta guardando a chi occupa ruoli di maggiore responsabilità nei reparti. In Europa il numero di chirurghi supera il 75%, mentre quello delle chirurghe sprofonda sotto il 25%, nonostante la percentuale di donne che si iscrivono alla facoltà di medicina sia in aumento. Quanto alla realtà del nostro Paese, in Italia solo il 14% delle donne è una chirurga nel ruolo di primaria, anche se le lavoratrici under 55 sono quasi il doppio dei colleghi maschi e le professioniste sotto i 69 anni ancora in attività circa il 52%. La ricerca dell’Associazione di medici e dirigenti sanitari Anaao Assomed riporta che l’80% delle donne dottoresse afferma di essere stata svantaggiata nei percorsi lavorativi rispetto ai propri colleghi maschi.

La Società Europea dei Chirurghi e delle Chirurghe Toracici (ESTS) e l’Associazione Europea per la Chirurgia Cardio-Toracica (EACTS) hanno fatto indagini sull’impatto “del Genere” sulla carriera degli operatori di chirurgia in Europa, rilevando una disparità, tra uomo e donna, che colpisce soprattutto gli incarichi di maggiore prestigio e la situazione familiare. Dei 1.181 intervistati, il 22% degli uomini ha dichiarato di avere il ruolo di professore ordinario a differenza del 6% delle donne, mentre il 43% ha riferito di essere capo dipartimento. Allo stesso tempo, se il 37% delle donne ha dichiarato di essere single, l’84% degli uomini ha detto di essere sposato. Il 66% delle chirurghe in Europa poi non ha figli, al contrario del 19% degli uomini.

Indubbiamente a pesare sul divario tra professionisti e professioniste è il diffuso stereotipo che "quello della chirurgia sia un ambito per soli uomini", a cui le donne raramente hanno accesso. La ricerca Survey on Women In Surgery Europe mostra che le donne, visto il comportamento degli uomini, ritengono di avere meno chances di accedere alla carriera chirurgica proprio per il loro genere, e che questo, nella loro percezione, influenza negativamente le loro possibilità di raggiungere ruoli di lavoro apicali. Inoltre, la differenza retributiva e la scarsa possibilità di conciliare l’attività lavorativa con la vita familiare sono altri 2 fattori individuati dalle intervistate come ostacoli alla loro scalata professionale; oltre alla mancanza di adeguati servizi per l’infanzia (ecco perché le poche in attività stentano ad avere figli) e all’assenza di modelli femminili che ispirino le giovani lavoratrici a intraprendere la carriera da chirurghe.

Cari amici, non mi sembra il caso di aggiungere nulla su quanto detto prima: il risultato dell'indagine dimostra chiaramente che il percorso per arrivare alla parità tra uomo e donna è un sentiero in salita, oggi come ieri pieno di pietre d’inciampo…

A domani.

Mario

giovedì, giugno 27, 2024

COSA SUCCEDE AI GIOVANI DI OGGI? QUALI LE MOTIVAZIONI DELLA BRUTALE VIOLENZA CON CUI È STATO UCCISO THOMAS A PESCARA DA DEI MINORENNI?


Oristano 27 giugno 2024

Cari amici,

Tra le nuove generazioni, tra i “Millennial”, in particolare, tra quelli della “Generazione Z”, si è insinuato nella loro mente un “un ospite alquanto pericoloso, dal nome difficile e inquietante: il “NICHILISMO”. Studiato per bene dal filosofo F. Nietzsche, il Nichilismo è quella reazione violenta, elaborata dal nostro cervello che tende a distruggere il sistema di vita in atto, promuovendo e accelerando il processo di distruzione degli ideali tradizionali, sostituendoli con altri pessimi sistemi comportamentali, da loro definiti nuovi valori). Nelle più recenti generazioni il Nichilismo si è insediato in modo silente, praticamente invisibile e inafferrabile. Solo le famiglie più attente hanno iniziato ad allarmarsi, osservando i cambiamenti dei loro figli, mentre la scuola, purtroppo, non ha strumenti per intervenire in maniera efficace.

Questi considerati da loro "nuovi valori", questi nuovi ideali di bassa lega, per tanti giovani amanti delle trasgressioni, si basano sul divertimento, sul consumismo sfrenato, alternando alcool, musica e droga, i nuovi Totem che li stanno portando alla distruzione. La loro vita in realtà è regolata dalla noia, trascorsa nello sfogare le voglie aggressive in gruppo, in quanto in loro è da tempo scomparso il desiderio di un lavoro sicuro, di creare una nuova famiglia e fare attiva, positiva vita sociale. Si, amici, tanti i giovani di oggi che immersi in un pantano di noia nichilistica, gettano via le loro giovani vite, malamente vissute prive di interessi e sane passioni.

La noia e l'assenza di empatia sono il vero Fil Rouge della loro esistenza, tant’è che si ha la sensazione che essi abbiano smarrito il senso della vita. E proprio dalla noia, dalla mancanza di socialità affettiva, infatti,  che scaturisce il comportamento anomalo, che porta alla violenza più bieca verso l'altro, che porta perfino all’omicidio, effettuato senza rimorsi o patemi d’animo. Gli esperti di analisi psicologica, gli psicoterapeuti, studiano il perché di questo comportamento, partendo dall’analisi della vita familiare.

Si scopre così che, il più delle volte, le case non sono più il luogo di riunione delle famiglie, ma solo dei “luoghi di sosta”. Ogni componente del nucleo familiare sosta in una stanza, e difficilmente ci si ritrova insieme per pranzare o cenare. Ci si scambiano le informazioni indispensabili ma non si interagisce. Il dialogo, il confronto, non hanno mai spazio e tempo per svilupparsi. Le emozioni, i sentimenti non vengono condivisi. E man mano che il tempo passa le emozioni si congelano e si arriva a vivere in casa da veri estranei, come in un albergo a ore.

Amici, il recentissimo caso di cronaca nera del tragico omicidio di Cristopher Thomas Luciani, sedicenne di Pescara, che ha sconvolto l'intera città, evidenzia in modo inequivocabile quanto esposto nella mia riflessione di prima. Questo orrendo delitto evidenzia la presenza di un serio problema esistenziale in seno a questi giovani, già ben radicato e inquietante. Evidente la crescente mancanza di empatia tra di loro, il fallimento dei rapporti con le famiglie d’origine e quello delle strutture sociali, incapaci di trasmettere loro i valori fondamentali dell’esistenza. Un delitto, quello di Pescara, che ha scosso profondamente l’Italia. Un ragazzo, Cristopher, è stato accoltellato ben 25 volte da due coetanei, che lo hanno strappato alla vita in modo brutale, senza alcuna pietà e timore. A rendere ancor più inquietante questa tragedia è il comportamento dei suoi assassini: dopo il delitto, i ragazzi sono andati al mare, come se nulla fosse successo! Stupisce non poco l'assenza di rimorso e l'incapacità di comprendere la gravità dell’azione svolta, cosa che denota in loro un terribile vuoto emotivo preoccupante.

Di chi le colpe? Solo le loro o anche quelle di altri? Indubbiamente anche delle famiglie, che dovrebbero essere la prima scuola di formazione, insegnando ai figli il rispetto reciproco, primo baluardo contro la violenza e la disumanizzazione. Invece, molti genitori iperprotettivi, anziché insegnare loro il rispetto e la responsabilità, li coccolano, creando giovani fragili e insicuri. Questi genitori, invece di promuovere l’autonomia, trattengono i loro figli in una dipendenza emotiva soffocante, privandoli degli strumenti necessari per affrontare, poi, la vita da adulti. Amici, l’insostituibile, vero ruolo dei genitori dovrebbe essere quello di crescere figli capaci di pensare con la propria testa, di provare empatia e di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Invece, spesso, si assiste a un perpetuarsi di comportamenti tossici e manipolativi che impediscono lo sviluppo sano delle emozioni e delle relazioni. È cruciale che i genitori imparino a dire "no" e a mantenere la decisione presa, insegnando ai figli il valore dei limiti e della disciplina. Ma le colpe sono più ampie.

C’è però da dire, infatti, che la responsabilità educativa e formativa dei figli adolescenti non grava solo sui genitori. Sia la scuola che le Istituzioni e la Comunità nel suo complesso debbono fare la loro parte. La scuola, per esempio, non si può limitare ad insegnare cultura e sapere, ma deve mettere sul tappeto programmi educativi seri, che insegnino l’importanza dell’empatia e della gestione delle emozioni, a partire dalla più tenera età. Le scuole, dunque, dovrebbero includere nei loro programmi l’educazione emotiva, aiutando i giovani a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e degli altri.

Infine le Istituzioni e le Comunità. Queste debbono creare spazi sicuri e di supporto per i giovani, dove essi possano esprimere le loro emozioni e confrontarsi con gli altri in modo costruttivo. Le istituzioni, in particolare, devono fornire risorse adeguate per supportare le famiglie e la scuola, per poter prevenire situazioni di disagio e disfunzione. Tutti insieme, insomma, per affrontare con la massima urgenza le cause di questa deriva e agire quanto prima per prevenirla. La strada non è certamente facile: sarà lunga e laboriosa, e, soprattutto, richiede l'impegno di tutti!

Cari amici che mi leggete ogni giorno, credetemi. Il problema è più serio di ciò che appare, se vogliamo dare un futuro più sereno alle nuove generazioni!

A domani.

Mario

mercoledì, giugno 26, 2024

VIOLENZA DI STATO: AVOCATE A SÉ, CON DECRETO, LE COMPETENZE PRIMARIE DELLA REGIONE SARDEGNA SUL DEMANIO MINERARIO!


Oristano 26 giugno 2024

Cari amici,

Su questo blog ho espresso tante volte il mio convincimento sul fatto che la Sardegna continua ad essere terra di conquista, ovvero considerata, oggi come ieri, solo una colonia da sfruttare! Il mio recente post del 23 giugno (questo il link per chi vuole andare a leggere quanto ho scritto: https://amicomario.blogspot.com/2024/06/la-sardegna-continua-ad-essere-sempre.html), lo mette chiaramente in evidenza, e ora, dopo l’ennesimo, recente Decreto di cui voglio parlare con Voi oggi, viene confermata ancora di più e in maniera inequivocabile, questa mia convinzione!

Il recente Decreto legislativo, varato dal Consiglio dei Ministri del Governo in carica, ha avocato a sé (ovvero allo Stato italiano) le competenze primarie in capo alla Regione sul “Demanio minerario”, ben previste nello Statuto di "Regione Autonoma", confermando, brutalmente, la crescente spoliazione dei diritti dei sardi. Con questo provvedimento, l’ennesimo, violento assalto all’Isola in tema di competenze delegate, continua senza sosta. Questa volta a finire sotto attacco sono i numerosi giacimenti minerari, in precedenza abbandonati, ma oggi riscoperti, in quanto ricchi di preziose “materie rare”, che sono risultate fondamentali per la transizione ecologica in atto. C’è da restare come minimo costernati, nel vedere con quale violenza questi espropri di competenze stanno avvenendo!

Amici, se materiali importanti in Sardegna ci sono, il loro utilizzo va fatto rispettando le competenze, nel senso che come minimo andrebbero concordate, mica portate via scippando i poteri in capo alla Regione che li possiede! Eppure lo Stato centrale, utilizzando come pretesto la necessità di una «riforma economico sociale» (a dir poco inesistente), ha messo in atto lo scippo in modo perentorio! In realtà, l’unico, vero obiettivo è quello di gestire direttamente il “nuovo tesoro”, sottraendo e gettando alle ortiche le competenze primarie sulle miniere, previste nello Statuto Autonomo della Sardegna, mettendole sotto l’egida di Roma! Credo che il vaso sia ora davvero colmo, e se la Regione sarda, oggi governata dalle forze di sinistra, non impugnerà immediatamente quel Decreto, la nostra già scarsa autonomia potrebbe ufficialmente considerarsi “CARTA STRACCIA”!

Amici, la Sardegna fin dal primo dopoguerra ha ottenuto uno Statuto che doveva garantirle certi vantaggi, in funzione della lontananza dal resto d'Italia. Un’autonomia in diverse materie economiche, concesse in passato proprio per garantire se non proprio l’uguaglianza con il resto dell’Italia, almeno una agevolazione; ebbene, azzerare queste concessioni dimostra proprio ciò che dicevo prima: la Sardegna era e resta una colonia! Facile per lo Stato cancellare l’autonomia invocando l’urgenza di “una riforma economica e sociale”, quando sarebbe stato necessario, come minimo dialogare, anziché utilizzare la “forza predatoria” di Stato, cancellando in questo modo quella già scarsa Autonomia regionale concessa in passato alla Sardegna. Attraverso questo Decreto-blitz ingiustificato e spregiudicato, il piano di esproprio delle competenze della Regione Sardegna sulle miniere, in realtà a noi sardi sembra nascondere molti interessi sottotraccia; vista l’importanza che rivestono oggi le “terre rare”, c'è da immaginare cosa bolle in pentola, a partire dalle “Concessioni minerarie” da mettere a gara, questa volta, però, gestite dallo Stato. Nel decreto sono chiaramente evidenziati gli interventi minerari che a breve dovranno essere portati avanti e quindi dati in appalto. I filoni sono tre: ci sono le miniere abbandonate da riaprire, ci sono le materie prime ieri scartate e oggi diventare rare da recuperare e riciclare e, infine, ci sono le enormi distese dei così detti “fanghi rossi”, che solo nell’area dell’Iglesiente-guspinese ammontano ad oltre 100 milioni di metri cubi.

Amici lettori, oggi lo Stato getta il suo sguardo interessato alla Sardegna, perché c’è da prendere e non da dare! Dov’era lo Stato quando furono abbandonate le miniere dell’Iglesiente, che, dopo la chiusura lasciarono senza lavoro e alla fame migliaia di operai senza lavoro e senza sostegno? Perché in passato non ha mai dato una mano per evitare che i fanghi rossi, alquanto inquinanti, contaminavano anche le falde acquifere senza che lo Stato muovesse un dito? Ora, però, che i residui minerari sono diventati il nuovo oro, ecco arrivare come un fulmine il predatorio scippo di Stato!

La Sardegna, amici, è da sempre considerata una terra servile, da utilizzare al momento del bisogno, per poi essere gettata via come un abito usato diventato un cencio! Ora che quei “rifiuti minerari” sono tornati preziosi, ora che quelle montagne di sterili, tra Monteponi e Montevecchio, Campo Pisano e San Giovanni, che si stima contengano qualcosa come 89,2 milioni di tonnellate di materiale con tenori di 2,07% di zinco e 0,56% di piombo, ovvero oltre 1,8 milioni di tonnellate di zinco e quasi 500.000 tonnellate di piombo, con un valore stimato in oltre 3 miliardi e mezzo di euro, lo Stato li espropria alla Sardegna!

Cari amici, la spoliazione delle competenze in diversi campi, dei diritti dei sardi, rimasti troppo spesso sulla carta, continua senza fermarsi. La nostra negletta regione Sardegna, autonoma solo di nome ma non di fatto, continua a subire, e noi sardi, in gran parte, continuiamo a fare i sudditi senza nemmeno alzare la voce! Credo che continuare a subire senza reagire sia alquanto sbagliato, perché ai sardi l’uguaglianza con gli altri italiani non è mai stata data! Certo, la Regione ora ricorrerà alla Corte Costituzionale contro questo scippo, contro questo “golpe” di Roma sulle miniere sarde, ma credo che si rimedierà ben poco, così come sono convinto che la reazione dei sardi avrebbe dovuto essere ben diversa!

A domani.

Mario

 

martedì, giugno 25, 2024

IN ISLANDA È ENTRATO IN FUNZIONE “MAMMOTH”, UN ENORME ASPIRATORE D'ARIA, CAPACE DI ASSORBIRE FINO A 36 MILA TONNELLATE DI CO2 ALL’ANNO!


Oristano 25 giugno 2024

Cari amici,

L’8 maggio in Islanda, a Hellisheiði, è entrato in funzione il più grande impianto di cattura e stoccaggio diretto dell’aria mai costruito al mondo. Questo immenso “aspira-aria” (funziona proprio come un aspirapolvere) può arrivare ad assorbire fino a 36 mila tonnellate di CO2 all’anno, risucchiando e purificando in questo modo l’aria inquinata. È stato chiamato “MAMMOTH”, ed è  la seconda struttura di questo tipo costruita nel Paese, dove dal 2021 esiste ORCA, un impianto simile ma 10 volte più piccolo.

Costruito dalla società svizzera Climeworks per conto dell’azienda islandese Carbfix (che gestisce lo stoccaggio), Mammoth è stato realizzato in circa 2 anni; ha un design modulare ed è composto da 72 contenitori di raccolta. Questi moduli hanno dimensioni standard, il che consente flessibilità nell’assemblaggio e nella disposizione. «La modularità – come spiega l’azienda - è una caratteristica che permette di massimizzare la rimozione del biossido di carbonio».  Dei 72 moduli di cattura, quelli attualmente attivati sono i primi 12, inaugurati l’8 maggio.

L’impianto, che opera esclusivamente attraverso l’utilizzo di energia rinnovabile (in parte termica, generata da una vicina centrale geotermica), cattura l’aria in modo diretto, usando calore a bassa temperatura. La Co2 catturata passa attraverso i filtri e viene trasportata nel sottosuolo, dove con un processo naturale reagisce con la roccia basaltica, rimanendo immagazzinata nella pietra in modo permanente. Secondo le previsioni dell’azienda, da qui al 2050 andrebbero costruiti 28 impianti simili a Mammoth, con l’intento di arrivare a ridurre la temperatura di 1,5°C, rispetto ai livelli preindustriali.

“MAMMOTH”, è stato realizzato su un altopiano lavico, nel sud dell’Islanda, non lontano dalla capitale Reykjavík, e, come accennato prima, l’impianto funziona “a cattura diretta dell’aria (DAC), una variante della cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). L’impianto, quasi dieci volte più grande dell’Orca, ha una incredibile capacità operativa, che porterà alla rimozione di megatoni entro il 2030 e gigatoni entro il 2050. Amici, impianti di questo tipo si prevede che saranno costruiti in gran numero, tant’è che l’azienda sta già costruendo impianti simili in Norvegia, Kenya e Canada e sta cercando nuovi potenziali siti per la cattura e lo stoccaggio dell’aria.  Strutture simili sono in corso di realizzazione anche negli Stati Uniti.

Ma in realtà, come funziona questo grandissimo “MAMMOTH”? Dotato di enormi “ventilatori”, questi aspirano l’aria nei collettori e la fanno passare attraverso un materiale filtrante solido per separare l’anidride carbonica; successivamente, la società partner di Climeworks, la Carbfix, tratta la CO2 così intercettata, facendola reagire con la roccia basaltica, dove il gas resta intrappolato in forma solida sotto terra in maniera permanente.

Amici, seppure il sistema di  trasferire la Co2 dall’aria nel sottosuolo, relegandola nelle ricce, venga considerato, da alcuni studiosi benpensanti, un sistema per “nasconderla sotto il tappeto, nessuno può negare che il sistema sia valido. La rimozione dall’aria della Co2 è oggi un processo assolutamente necessario, parte irrinunciabile della strategia climatica in atto per cercare di restare al di sotto della soglia di 1,5 gradi. Questi piani d’azione contro la Co2 sono condivisi e validati anche dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), da aziende e Governi, perché la rimozione di Co2 al momento è una via certa per raggiungere l’obiettivo climatico desiderato, anche se potrebbe comportare sfide e rischi ecologici e sociali.

Cari amici, purtroppo nessuno ha in tasca la lampada di Aladino, e per ora qualcosa bisogna pur tentare di fare. Certo, anche le critiche sono ampiamente giustificate, quando sostengono che privilegiare la destinazione dei finanziamenti alla cattura della CO2 su vasta scala, rischiando così di distogliere finanziamenti (già di per se insufficienti) dagli obiettivi ben più urgenti, ovvero quelli di produrre più energia pulita, sostituendo quella ricavata da fonti fossili con quella prodotta con le rinnovabili, con conseguente, drastica riduzione delle emissioni. Chi vivrà vedrà!

A domani.

Mario

lunedì, giugno 24, 2024

ANTICHI E CURIOSI MODI DI DIRE: “PAGARE ALLA ROMANA”. L’ORIGINE DELLA FRASE E PERCHÉ È LEGATA AI LOCALI DI ROMA.


Oristano 24 giugno 2024

Cari amici,

Chissà perché Roma è la città maggiormente citata nei detti popolari che hanno fatto storia! Sarà per la sua grande importanza nell’antichità, per il fatto che la civiltà romani sia stata un grande faro nei secoli, ma certamente la motivazione più valida è che Roma è Roma! Ebbene, oggi voglio parlare con Voi cari lettori, di un detto antico ma sempre in auge, relativo al mangiare fuori porta: “PAGARE ALLA ROMANA”.  Sistema, questo, applicato quando un gruppo di commensali, riunito in un convivio, alla fine è chiamato a pagare il conto.

Con questo sistema di pagamento s’intende onorare il conto presentato dal ristoratore ai commensali, non considerando ciò che ciascuno ha mangiato, ma dividendo l’importo totale per il numero dei commensali. Che uno abbia mangiato poco e niente, oppure si sia abbuffato oltre misura, nulla cambia: il “pro quota” è uguale per tutti. A parte il mascherato malumore di chi ha mangiato poco e fa di necessità virtù, ci si chiede: l’espressione popolare che si è consolidata nel tempo, tanto che si è poi diffusa in tutto il mondo, “pagare alla romana”, da cosa è derivata,  ?

Le origini del detto risultano poco chiare e, addirittura, secondo la tradizione letteraria il significato non è stato sempre quello prima detto. Stando al Grande Dizionario della Lingua Italiana, tra il Settecento e l'Ottocento grandi scrittori come Goldoni, Gozzi e Nievo avevano usato l'espressione “Alla romana” per indicare invece 'l'andarsene dal ristorante di soppiatto o alla chetichella', evitando di pagare il conto. Curiosamente, sempre secondo tale dizionario storico della lingua italiana, non ci sarebbero fonti letterarie che testimonino il passaggio dall'una o l'altra accezione alla corrente, e questo lascia supporre che, come pratica comune per gli idiomi, questo passaggio sia avvenuto prima di tutto a livello popolare e sia passato 'sotto al radar' delle grandi penne del periodo, per poi riemergere con prepotenza in tempi più recenti e col suo 'nuovo' significato.

Passando all’interrogativo perché proprio “pagare alla romana”, ci si chiede: cosa c'entrano Roma e i suoi abitanti con la buona pratica del dividere equamente le spese, o il filarsela di fretta e senza dare nell'occhio, o il condividere le cibarie? Una delle ipotesi è che probabilmente la provenienza del detto derivi dalla tradizione popolare romana delle scampagnate fuori porta, accompagnate da sostanziose merende. In una lettera scritta da Ugo Foscolo troviamo: "Lunedì verrò forse a una Romanata in campagna vicino a Fiesole con la compagnia delle signore Orozco", e ciò può confermare la provenienza romana del detto. C'è chi sostiene che questa interpretazione sia un po' stiracchiata, però, appare piuttosto improbabile che delle signore di buona famiglia come quelle menzionate dal poeta, figlie del diplomatico spagnolo Orozco, potessero anche solo considerare la scena moderna in cui tutti i presenti estraggono i borsellini e cominciano a contare e mettere assieme i soldi da pagare! Molto più plausibile, invece, è che Foscolo abbia usato il termine con l'accezione più antica di 'scampagnata con merenda all'aperto', magari includendo anche lo spartirsi delle vivande.

Un’altra ipotesi su questo particolare modo di dire è che derivi dall'usanza delle antiche trattorie romane di far pagare ai pellegrini il conto dell'intera tavolata “in blocco”, smezzando per numero di persone e non per ordinazioni individuali. Un'altra sostiene che la frase 'pagare alla romana' venga da una celebre osteria Trasteverina, la "Sora Pina", la cui omonima titolare sarebbe stata solita pestare preventivamente col manico della scopa tutti i turisti che entravano nel locale, così da invogliarli gentilmente a pagare il conto con solerzia (da qui deriverebbe anche l'espressione 'Meglio pagare alla romana').

Cari amici, quale che sia la reale origine di questo modo di dire, il fatto che l’espressione “PAGARE ALLA ROMANA” si si perpetuato nel tempo arrivando fino a noi, vuol dire che la sua applicazione non è mai venuta meno, e che, alla fine, anche gli scontenti della tavolata, seppure mugugnando, versano la loro quota!

A domani.

Mario