Oristano 11 dicembre 2020
Cari amici,
Quello che sta arrivando
è un NATALE certamente molto diverso dagli altri che lo hanno preceduto. L’attuale
pandemia, arrivata tra l’altro in un momento già carico di vecchi problemi, ha
creato nuove povertà che mordono e rendono tante famiglie incapaci di arrivare
tranquille a fine mese. Un Natale che trascorreremo, tra l’altro, isolati in
casa, senza nemmeno il contatto ristoratore di amici e parenti. Festeggiamolo,
allora, dando per quello che possiamo una mano alle tante attività artigiane locali
che stentato a sopravvivere, scartando, per quanto possiamo, la grande distribuzione.
Sono certo che da buoni sardi lo faremo.
Con questo mio post oggi voglio
fare con Voi un viaggio virtuale nei sapori e nei saperi del Montiferru,
tra i quali primeggiano certamente “Su fil ‘e ferru” e “Su casizolu”,
due prodotti che rappresentano la tradizione e l’orgoglio di Santu Lussurgiu, capoluogo
del Montiferru, posto a 500 metri di altitudine sul versante sud-orientale di
questo piccolo monte. Due prodotti la cui lavorazione ancora oggi conserva le
tracce e i segreti dei mestieri di una volta.
Su casizolu è ottenuto dal
latte di vacche appartenenti alla razza sardo-modicana (comunemente conosciute
anche come bue rosso), allevate tutto l’anno in totale libertà allo
stato brado e non in maniera intensiva. In passato erano le donne a occuparsi della
lavorazione, operazione portata avanti interamente a mano, partendo dal latte
appena munto; esse abilmente impastavano la cagliata nell’acqua bollente, modellandola
con sapienza, fino a realizzare la tipica e riconoscibile forma di pera
panciuta. Un lavoro lungo, sinonimo di fatica e pazienza ma anche di grande
qualità. Qualità che si è tramandata fino ai giorni nostri e che ha portato su
casizolu a diventare, nel 2000, presidio dello Slow Food e ad esser conosciuto
e diffuso anche al di fuori dei confini sardi, nelle varie fiere di settore.
La produzione di casizolu avviene dall’autunno
fino all’inizio dell’estate, nel rispetto dei cicli di lattazione delle vacche.
Dalla stessa pasta de su casizolu si ottiene inoltre anche un formaggio fresco,
la cosiddetta triza dalla forma intrecciata e con decorazioni sul dorso
che va chiaramente consumata fresca. Non solo. Sempre da questo formaggio si
ricava anche sa fresa, una formaggella ovale e cremosa che si lavora soltanto
in autunno, preferibilmente con il latte ricco di grassi delle vacche gravide.
L’esperienza maturata in tempi in cui nulla poteva andare perduto, ha fatto sì
che non si perdesse nemmeno l’acqua bianca di siero rimanente dopo la filatura
della pasta del formaggio: dalla lavorazione di casizolu e triza avanza infatti
quello che viene chiamato s’abbagasu, un liquido grasso e denso con il
quale si preparano gustose minestre a base di formaggio.
Il comune di Santu
Lussurgiu, da qualche anno, per promuovere su casizolu, organizza nel mese di giugno
unitamente ai produttori locali la “Sagra de su casizolu”, nella borgata
turistica di San Leonardo de Siete Fuentes. L’obiettivo dell’iniziativa è,
oltre quello di rendere omaggio ad un prodotto locale che contraddistingue
fortemente la storia e il territorio di Santu Lussurgiu e del Montiferru, creare anche un’importante occasione per far degustare ai partecipanti alla sagra
questo formaggio tipico, valorizzandone così le sue peculiarità.
Amici, il latte che
consente di realizzare questo splendido formaggio è prodotto, come detto, dalle
vacche sardo-modicane, il bue rosso, anch’essa un presidio Slow Food, che
consente una produzione di carne di ottima qualità. Dopo la costituzione del Consorzio
di allevatori del Montiferru (nell’estate del 2002), il bue rosso, attraverso
vari accordi con i macellai dell’isola, ha ottenuto un gradimento importante,
spuntando anche prezzi abbastanza remunerativi. Ora la razza sardo modicana è
conosciuta e apprezzata dai consumatori di tutta la Sardegna; i capi sono poco
più di 3000 e il loro mercato è esclusivamente locale.
Passando all'altro prodotto di nicchia, “Su fil ‘e
ferru”, l’acquavite della tradizione lussurgese in sardo chiamata anche abbardente
(termine traducibile in italiano come “acqua che arde”, in quanto trasparente e
chiara come l’acqua ma ardente e forte come il fuoco), è questa un "distillato", ottenuto
direttamente dal passaggio in alambicco del vino o delle vinacce sarde selezionate. Un
prodotto forte e genuino, che fu usato per secoli come farmaco e rimedio contro
tutti i mali; i primi a diffondere gli alambicchi artigianali nelle zone più
ricche di vigneti furono i monaci e l’acquavite si diffuse poi in tutta l’Isola.
La storia del nome fil ‘e ferru ha un’origine curiosa. Nel 1874 il Regno
di Sardegna vietò la libera distillazione casalinga a scopi commerciali di
questo prodotto, per cui l’acquavite si cominciò a produrla di nascosto,
clandestinamente. Si racconta che fossero le donne a produrla in gran segreto e
a nascondere poi i recipienti nei cortili seppellendoli sottoterra, ma legando
al collo un filo di ferro, che sarebbe servito successivamente, scavando, per
ritrovare più facilmente il recipiente. Da qui il termine fil ‘e ferru.
Cari amici, oggi abbiamo
parlato di due produzioni d’eccellenza del territorio del Montiferru, ma che,
guarda caso, vedono entrambe, come protagoniste, le nostre donne! Si, quelle
nostre regine della casa che, per generazioni, hanno aggiunto al loro già pesante
lavoro, quello di confezionare su casizolu e su fil ‘e ferru, operando con
tanta fatica e pazienza! Premiamo allora il loro attivismo e la loro
determinazione, valida oggi come ieri, andando a comprare questi prodotti d’eccellenza,
dando così una grossa mano in questo momento a queste attività artigianali che non vivono momenti felici, facendo
anche un bel regalo a noi stessi: la grande qualità di questi prodotti!
A domani, amici.
Mario
SAN LEONARDO, L'ANTICA CHIESA TEMPLARE |
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