martedì, giugno 30, 2020

ITALIA, PANDEMIA ECONOMICA ED EUROPA MATRIGNA. LA CHIMERA DEL “RECOVERY FUND”, TRA STATI EGOISTI (“FRUGAL FOUR”) E SOVRANISTI.


Oristano 30 giugno 2020

Cari amici,

Chiudo le riflessioni di giugno con una breve analisi sull'Unione Europea. Che cosa sia in realtà, oggi “L'Unione Europea”, questo oggetto misterioso che non è una nazione, ma nemmeno un qualcosa di somigliante in quanto continuano a predominare gli interessi dei singoli Stati, nessuno lo sa. Un'Unione che, anziché far prevalere un sistema mutualistico comune, capace, come in una famiglia, di lenire le difficoltà che si vengono a creare nei singoli Stati che ne fanno parte, cavalca il sovranismo nazionale. Sono passati molti anni dalla sua costituzione, abbiamo anche cambiato nome a questa “Unione”, ma in realtà passi avanti per creare una vera, unica, struttura (economica, fiscale, monetaria e politica) non ne sono stati fatti.
Oggi, quanto sia grande questa 'disunione' lo possiamo constatare dopo la terribile pandemia creata da Coronavirus, in quanto nonostante le evidenti difficoltà di alcuni Stati (tra cui in particolare Italia e Spagna) nessuno sforzo comune sembra pronto ad entrare in azione! In realtà si parla tanto ma si fa poco o nulla, per cercare di risolvere i problemi che comunque poi ricadranno anche sugli altri Stati dell’Unione. Purtroppo prevale l’egoismo nazionalista, ed anche il recente summit europeo che ha iniziato a discutere del grande Fondo anti-Covid denominato “Recovery Fund”, non è riuscito a fare i necessari passi avanti a causa degli Stati riottosi che pensano che ognuno deve togliersi da solo le castagne dal fuoco!
È dimostrato, tuttavia, che senza la giusta solidarietà non c’è Unione che tenga, e continuando di questo passo credo che dopo l’Inghilterra altri Stati potranno prendere decisioni simili. Senza coesione tra gli Stati, l’Unione Europea avrà un cammino sempre più difficile. Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo, nelle scorse settimane in un incontro riservato con i leader dei gruppi politici del Parlamento di Strasburgo, riferendosi alla discussione in atto sul “Recovery Fund”, ha confessato: “Sono realista. Avverto una difficoltà politica enorme”.
C’è una urgente necessità di superare “il clima di reciproca diffidenza” (la definizione è sempre di Charles Michel), visto che gli incontri di giugno non hanno ancora portato il risultato cercato e ora è stato fissato un secondo summit “live” a inizio luglio e un terzo, subito prima di agosto, per arrivare ad una decisione definitiva sul possibile “via libera” al Fondo. Purtroppo tra i vari Stati sono molte le differenze che permangono, anche se in realtà non tali da poter affondare il progetto. Per ora, nessuno sembra dubitare che, dopo che Merkel, Macron, Ursula von der Leyen, che si sono ampiamente esposti, la UE si doterà comunque di un meccanismo di intervento post-Covid. 
Il problema vero, che resta per ora sul tappeto, dovrà dare risposta a queste domande: sotto quale forma, chi ne usufruirà, a quale titolo, con quali condizioni e chi, alla fine, pagherà il conto; a mantenere “ferma la barra” sono in particolare gli Stati cosiddetti “Frugal Four”, i quattro paladini dell'austerità: Austria, Olanda, Svezia e Danimarca. Il terreno su cui si sono impuntati i quattro Paesi “frugali” è la divisione degli interventi previsti dal Recovery Fund (per un ammontare complessivo di 750 miliardi di euro), fra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti. 
Ursula von der Leyen, tedesca, Presidente della Commissione europea, presumibilmente con la benedizione di Merkel e Macron e l'entusiastica approvazione di Italia e Spagna, ha proposto 500 miliardi di euro a fondo perduto e 250 miliardi sotto forma di prestiti. Le quattro capitali riluttanti vorrebbero invece rovesciare il rapporto, con la cifra maggiore erogata sotto forma di prestiti e solo una quota residua come sovvenzioni. Un modo, nell'ottica del ministro olandese Hoekstra, per rendere più responsabili i beneficiari nella gestione degli aiuti. 
Cari amici, come sempre è possibile che un compromesso possa essere trovato, spostando qualche cifra dal fondo perduto al prestito. Per quanto riguarda l'Italia, però, la differenza è rilevante. Non tanto per il pagamento degli interessi, che oscilleranno intorno a zero, ma perché i prestiti appesantiscono la mole dell’immenso nostro debito pubblico e, alla fine, questi prestiti andranno comunque restituiti.
Il prossimo vertice UE per decidere sul Recovery Fund è stato messo in calendario il 17-18 luglio. Il momento appare decisivo, per cercare una soluzione d’uscita dalla peggiore recessione mai avvenuta in tempo di pace. L’Italia attende con ansia il responso: in questi 2 giorni si gioca tutto! Per l’Italia sono in gioco risorse per 172 miliardi di euro, finalizzate in grandissima parte a investimenti, ritagliate dalla Commissione europea nella sua proposta complessiva da 750 miliardi. Chiudere a luglio risulterebbe fondamentale: solo così resterà il tempo per le ratifiche parlamentari e la presentazione dei piani nazionali di riforma e investimento in autunno, per poter iniziare ad attivare gli investimenti nella prima parte del 2021.
Lo spera in particolare il nostro Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ne ha parlato a lungo anche durante il recente incontro sugli “Stati generali”, conclusosi con molto fumo e poco arrosto, se pensiamo che l’unica possibile decisione riguarda una temporanea diminuzione dell’IVA per stimolare i consumi. Insomma, amici, la ripresa dell’Italia, senza il concorso europeo, potrebbe diventare solo una chimera!
A domani.
Mario



lunedì, giugno 29, 2020

IL “FAST LUNCH” DI MEZZOGIORNO PER CHI LAVORA. COME IL CORONAVIRUS HA MODIFICATO IL PRANZO AZIENDALE.


Oristano 29 giugno 2020

Cari amici,

Tra le tante modifiche che la pandemia in atto creata dal Coronavirus ci ha imposto, c’è anche quella relativa alla “Pausa pranzo”, che, rispetto a prima, ha subito modifiche di non poco conto. Niente più lunghe file alla mensa aziendale, niente assembramenti nei locali posti nelle vicinanze dei luoghi di lavoro. A tutto questo, poi, c'è da aggiungere la massiccia diminuzione delle presenze lavorative in azienda, conseguenti alla maggiore applicazione dello Smart Working. Insomma è in atto una vera rivoluzione anche per la consumazione del classico fast lunch, fino ad oggi imperante!
L’emergenza Covid-19, dopo aver cambiato radicalmente il modo di lavorare, spostandolo i lavoratori dalle aziende a casa, ha modificato anche la loro necessaria “pausa pranzo”. Si. Amici, le aziende italiane ed europee stanno provvedendo alla veloce e necessaria trasformazione sia delle postazioni di lavoro che degli spazi e distanziamenti necessari tra un lavoratore e l’altro, comprendendo nella trasformazione anche il luogo della pausa pranzo, ovvero della mensa aziendale. 
Tutto sta davvero cambiando, dalla tradizionale mensa aziendale interna ai locali abitualmente utilizzati dai lavoratori e dislocati nei dintorni dei luoghi di lavoro. Ora è l’elettronica a farla da padrone, mediante un utilizzo pieno delle start-up, che sfornano in continuazione nuove App da utilizzare per la consumazione del pasto; dall’app per ordinare il pranzo o la spesa dalla postazione di lavoro e ritirarla take away in degli speciali frigoriferi smart, fino a dei nuovi modelli di “Canteen 4.0”, senza cucina per la consegna. 
Insomma, il Lockdown ha colpito duramente la ristorazione collettiva “di lavoro”, tanto che marzo e aprile hanno visto un calo complessivo di oltre il 65% per i ricavi del settore. Niente più cucine, né lunghe file con vassoi e tavoli condivisi: la mensa aziendale del post-coronavirus è cambiata insieme alle esigenze di aziende e lavoratori, ed è diventata contactless, digitale e diffusa. Sta cambiando radicalmente il modo di lavorare, amici, probabilmente in modo irreversibile! 
Amici, dalla distanza sociale (che ha costretto a ridisegnare gli spazi lavorativi) allo smart working, le aziende italiane ed europee stanno infatti attraversando un momento di trasformazione che avrà impatto non solo sul modo di lavorare, ma anche sull'intera organizzazione aziendale, dagli spazi necessari negli uffici, alle pratiche di welfare ed ai diversi servizi verso il dipendente, a cominciare proprio dal momento importante della pausa pranzo. Ecco, quindi, che le startup guidano l’innovazione necessaria nel workplace, quello spazio aziendale condiviso, sviluppando nuovi modelli di mensa “diffusa” e completamente contactless che le moderne tecnologie consentono.
Dai telefonini è un caotico digitare delle App: per ordinare in tempo il pranzo o la spesa dalla postazione, per poi ritirarla take away (in speciali frigoriferi smart), fino ai modelli, come detto, di “Canteen 4.0”, ovvero senza cucina per la consegna. Così, gli spazi tradizionalmente dedicati alle mense si trasformano, cambiando in favore dei nuovi format senza cucina e spazi più aperti e flessibili nella loro destinazione d’uso.
Amici, la chiave di volta sembra essere proprio quella di creare pause pranzo “contactless” e sicure. Marco Mottolese, CEO e Co-founder di Foorban, start-up del food-tech, leader nel segmento della pausa pranzo aziendale così afferma: «Foorban sta lavorando a quattro mani con le aziende per sviluppare due soluzioni per l’ufficio, entrambe contactless, prive di cucina e di personale, che sfruttano la tecnologia per garantire luoghi di consumo accoglienti e sicuri; in primis, un frigorifero smart, che diventerà una base di pickup per i dipendenti, il pranzo o la spesa ordinata dall’app; ma anche delle Canteen 4.0 del tutto prive di cucina e personale, con delle grandi vetrine refrigerate da cui prelevare i propri pasti cucinati freschi, già confezionati in monoporzione, evitando code e assembramenti. Anche le aree di ristoro, allestite in prossimità dei punti di pickup, possono trasformarsi all’occorrenza in postazioni di lavoro aggiuntive, per favorire il distanziamento sociale.»
Il problema, però appare ancora più complesso. Con l’emergenza creata da Coronavirus, la pratica dello Smartworking, si è talmente diffusa che il 60% dei lavoratori ha dichiarato di voler continuare a lavorare da casa anche dopo la pandemia (fonte Indagine Cgil/Fondazione Di Vittorio sullo Smart working). L’emergenza Covid-19, infatti, ha accelerato in modo incredibile le trasformazioni del posto di lavoro e, di conseguenza, anche quelli dei servizi e del welfare al dipendente: con lo smart working, le aziende e i lavoratori hanno sviluppato esigenze nuove, “ibride” rispetto a un passato fatto di una dicotomia molto più netta tra posto di lavoro e casa.
È sempre Mottolese a chiarire anche quest’aspetto: «Oltre ai classici piatti pronti e ad alcuni prodotti di gastronomia, infatti, è possibile fare anche una spesa di base, scegliendo tra oltre 80 referenze; per chi lavora da casa, il momento di consumo della pausa pranzo rientra in una più ampia routine di alimentazione quotidiana, ed è comune che l’acquisto di un piatto pronto si accompagni a quello più classico da “spesa”. Ed anche le aziende preferiscono dare al dipendente un servizio più completo e flessibile: a tutti gli effetti, una mensa diffusa.»
Una cosa è certa, amici: nulla, dopo questa pandemia, tornerà ad essere come prima!
A domani.
Mario

domenica, giugno 28, 2020

NEL REGNO UNITO SI SPERIMENTANO I CANI PER RILEVARE CON IL LORO FIUTO I POSITIVI AL COVID-19. POTRANNO TESTARE FINO A 250 PERSONE IN UN’ORA.


Oristano 28 giugno 2020

Cari amici,

Nel Regno Unito di recente è iniziata una nuova sperimentazione che, se porterà i frutti sperati, potrà dare una grossa mano per individuare i soggetti positivi al Coronavirus, tra l’altro in tempi rapidi, garantendo in questo modo interventi tempestivi. Ad essere utilizzati saranno dei cani, già in passato addestrati a rilevare gli odori di alcuni tumori, la malaria e il morbo di Parkinson; ora, grazie agli esperti dell’Ente benefico Medical Detection Dogs, si spera che questi magnifici Labrador e Cocker Spaniel possano fornire “risultati rapidi” nel rilevare con il loro fiuto questa insidiosa malattia.
Il Governo inglese ha subito cercato di favorire l’utilizzo di questa strategia, autorizzando dei test che sono già in corso. La prima fase degli esperimenti sarà guidata dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine, che opererà insieme all’Ente benefico Medical Detection Dogs e alla Durham University. Nelle prime prove sperimentali “il fiuto di Fido” opererà in maniera veloce, riuscendo a scovare il Covid-19, fino 250 persone in un’ora!
Si amici, nel Regno Unito sta per entrare nel vivo il periodo di “prova sul campo” di questo nuovo sistema di rilevamento, che consentirebbe, grazie a dei cani speciali, di aiutare l'uomo a scoprire rapidamente il diffondersi dell’infezione da Covid-19, lanciando di conseguenza l’allarme. Un sistema, quello allo studio, che ricorda gli “sniffer dogs”, quei cani appositamente addestrati a fini medici per “fiutare” la presenza di sostanze pericolose come le droghe o alcuni tipi di malattie che, grazie al sensibilissimo fiuto di questi animali vengono messe in luce.
Per ora gli esperti non si sbilanciano più di tanto. “Non c’è garanzia di un risultato positivo – dicono – ma se funziona potrebbe essere un modo economico e non invasivo per testare la malattia”. Saranno sei i cani, denominati affettuosamente i super six (Norman, Digby, Storm, Star, Jasper e Asher), che, da campioni, metteranno all’opera il loro “naso” per identificare il virus, sia di coloro che sono stati infettati dal Covid-19, che di coloro che non sono stati infettati (le malattie respiratorie possono di fatto cambiare l’odore del corpo).
Nella prima fase l’esperimento coinvolgerà il personale sanitario degli ospedali di Londra, con lo stesso approccio adottato per il cancro e altri tipi di patologie, tranne per il fatto che l’intero processo sarà notevolmente accelerato. Il piano messo in atto, dunque, è quello di addestrare i cani a riconoscere celermente i cambiamenti di odore prodotti dal Covid-19, riconoscimento che poi dovrà confermato poi dalla diagnosi effettuata con un test medico. 
Al termine di questa fase sperimentale, sarà il Governo a stabilire se l’esperimento avrà dato i suoi frutti e quindi deciderà, in caso positivo, come dislocare i cani nei punti ritenuti più utili. Se la ricerca, come si spera, avrà esito positivo, i cani da rilevamento Covid-19 potrebbero essere utilizzati in luoghi pubblici come aeroporti o ristoranti, contribuendo a prevenire una seconda ondata di infezioni. 
Cari amici, quello di cui stiamo parlando è certamente un esperimento davvero interessante. Il gruppo di lavoro operativo ha dimostrato come i cani possono essere in grado, con il loro finissimo fiuto, di rilevare la presenza di molte malattie, come la malaria, il cancro, il Parkinson e le infezioni batteriche; sono anche in grado, addirittura, di rilevare lievi variazioni della temperatura della pelle, per cui, secondo il Medical Detection Dogs, potrebbero essere in grado anche di indicare se qualcuna delle persone che stanno fiutando ha la febbre. 
Claire Guest, cofondatrice dell'organizzazione che addestra gli animali, si è così espressa: «L' obiettivo è che i cani saranno in grado di sottoporre a screening chiunque, compresi quelli asintomatici e dirci se hanno bisogno di essere testati. Questo test sarebbe veloce, efficace e non invasivo e assicurerebbe che le risorse limitate per i test del servizio sanitario nazionale vengano utilizzate solo dove sono realmente necessarie».
Anche per James Logan, capo del Dipartimento di controllo delle malattie della London School of Hygiene & Tropical Medicine, l’esperimento con i cani è senz'altro positivo. «I nostri precedenti lavori hanno dimostrato che i cani possono rilevare con estrema precisione gli odori degli esseri umani, come in presenza di un'infezione da malaria, ben al di sopra dello standard dell'Organizzazione mondiale della sanità»
Il professor Steve Lindsay dell'Università di Durham, ben favorevole all'esperimento, si è così espresso: «Se la ricerca avrà successo, potremmo usare i cani per la rilevazione Covid-19 negli aeroporti alla fine dell'epidemia, per identificare rapidamente le persone portatrici del virus. Ciò contribuirebbe a prevenire il riemergere della malattia dopo che avremo messo sotto controllo l'attuale epidemia»
Cari amici, è proprio vera l’antica e sempre valida affermazione, che il cane è il “Miglior amico dell’uomo”!
A domani.
Mario

sabato, giugno 27, 2020

ORISTANO, PIAZZA MANNO: È ARRIVATA L’ORA DELLA RINASCITA? BANDITO IL CONCORSO PER LA PROGETTAZIONE ENTRO L’ANNO E LAVORI IN PRIMAVERA PER UNA SPESA DI 1,5 MILIONI DI EURO.


Oristano 27 giugno 2020

Cari amici,

“Tanto tuonò che piovve! Oggi per la mia riflessione quotidiana voglio partire dalla famosa frase che la tradizione attribuisce al grande filosofo Socrate. La frase era rivolta a sua moglie Santippe, che un giorno, mentre Egli dialogava con un suo allievo nel cortile di casa, sentendosi disturbata aveva iniziato ad inveire contro di lui in modo poco urbano, tanto che, affacciatasi poi alla finestra, gettò sul capo del filosofo una brocca d’acqua (si sospetta fosse più che acqua un liquido organico). Socrate, allora, sempre imperturbabile, pronunciò la famosa frase.
Tornando al nostro mondo oristanese, la frase andrebbe ad affermare che, finalmente, dopo un infinito parlare dell’importanza rivestita in passato dalla gloriosa Piazza Manno, oggi ridotta in condizioni disastrose, l’Amministrazione comunale si sia posto il problema. La Giunta comunale, infatti, ha approvato di recente il preliminare di progettazione dei lavori di riqualificazione urbanistica della piazza, con un preventivo di spesa di circa 1,5 milioni di euro, di cui 72 mila euro destinati al concorso di progettazione. 
Dopo tanto parlare, finalmente gli oristanesi si trovano davanti a qualcosa di concreto! Il rifacimento della famosa piazza è un’opera attesa da decenni, come confermano sorridenti gli stessi componenti della Giunta oristanese. La delibera ha fissato anche i tempi: studio di fattibilità, concorso di progettazione e progetto definitivo con contrazione del mutuo, da concludere entro l'anno; il progetto esecutivo, invece, dovrà arrivare entro la prossima Sartiglia, mentre l'appalto e l'inizio lavori sarà calendato immediatamente dopo.
Amici, a ben pensare Piazza Manno non avrebbe dovuto essere “lasciata perdere” per tanti anni, facendo sì che diventasse un angolo della città sporco e dissestato. Questa piazza in passato, al tempo degli Arborea, era il cuore pulsante della vita amministrativa della nostra città! Una piazza dove si affacciava le Reggia giudicale ed il cui ultimo baluardo “Porta a Mari” fu piratescamente demolito ai primi del secolo scorso. Dopo questa inopportuna demolizione la piazza non ha più avuto storia e lentamente ma inesorabilmente la polvere dell’oblio ha continuato a posarsi senza ritegno.
È tempo, dunque, di restituire valore e prestigio a questa piazza (che oggi ospita anche una scuola che appartiene alla storia della città) e nel cui sottosuolo giacciono le fondamenta delle vecchie mura e della Porta a mari. Per poter individuare e mettere in risalto quanto residua delle vecchie costruzioni, il Comune, in collaborazione con l'università di Cagliari, ha commissionato una prospezione con il Georadar; un’indagine, questa, sollecitata dall'associazione culturale Oristano nascosta, e che sarà fondamentale per avere un chiaro quadro della situazione prima che la piazza venga interessata dai lavori di sistemazione.
Nei giorni scorsi i tecnici, coordinati dal professor Gaetano Ranieri, hanno iniziato le misurazioni e i rilievi sotto lo sguardo vigile dell'assessore alla Cultura Massimiliano Sanna e di Maurizio Casu, dell'Associazione Oristano nascosta. Come ha avuto modo di dichiarare l’Assessore all’Urbanistica Dora Soru, “Vogliamo riportare alla luce e valorizzare dal punto di vista storico e turistico i resti delle mura con la Port’a Mari e la Torre di San Filippo, che le ricerche archeologiche agli inizi degli anni 2000 hanno evidenziato esistere sotto l’attuale pavimentazione di piazza Manno”.
Un altro obiettivo importante nella riqualificazione della piazza è la sistemazione degli spazi pubblici, considerato che da questa piazza si accede al centro storico della città e tenendo anche conto delle nuove funzioni urbane che l’ex carcere (ora in ristrutturazione) rivestirà in futuro. Nella piazza, sostiene l’Assessore Soru, dovrà essere garantita anche la migliore fruibilità pedonale, viste le attività presenti (scuola e uffici pubblici) ed anche in funzione del possibile, futuro sviluppo turistico. Le soluzioni progettuali dovranno tenere conto anche dello svolgimento della Sartiglia (che parte da questa piazza) e di altre manifestazioni civili e religiose; senza dimenticare la necessità di parcheggi, aree verdi e di suolo pubblico da destinare alle attività commerciali.
Cari amici, spesso gli iter per arrivare alla giusta soluzione sono laboriosi e con tempi non proprio brevi, ma l’importante è che alla fine la soluzione arrivi, e che sia la migliore possibile. Sarà così anche per la Piazza Manno, tanto importante in passato? 
Si riuscirà finalmente, dopo il lungo tempo di oblio, a restituire a questo storico luogo la dignità perduta? Io lo spero e come me lo sperano gli oristanesi, che da troppo tempo aspettano il ripristino del suo valore!
A domani.
Mario
Le improvvide demolizioni del passato...



venerdì, giugno 26, 2020

ENERGIE RINNOVABILI. NASCERÀ IN SICILIA (AL LARGO DI MARSALA) IL PRIMO PARCO EOLICO GALLEGGIANTE DEL MEDITERRANEO.


Oristano 26 giugno 2020

Cari amici,

Che il futuro si svilupperà attraverso l’energia prodotta dalle rinnovabili, ormai non è più una supposizione o un pio desiderio ma una realtà sempre più evidente. Il tramonto delle vecchie fonti energetiche è ormai all’ultimo stadio e la crescita della produzione delle rinnovabili è in costante aumento. A parte i pannelli solari, che comunque non potranno essere messi dappertutto, prosegue alla grande l’espansione dell’energia prodotta dal vento, con pale eoliche anche di dimensioni gigantesche, posizionate sia su terra che in mare.
Poiché, però, vincolare la terra è più difficile, l’indirizzo più attuale è quello di costruire “Parchi eolici” in pieno mare, cercando posizioni che possano, comunque, non turbare paesaggio, navigazione e quant’altro. All’estero, in particolare nel Nord Europa questo sistema è già abbastanza diffuso e con ottimi risultati, tanti che alcune società realizzatrici di questi impianti hanno pensato di portare questa tecnologia anche all’Italia.
La società danese Copenhagen Offshore Partners, con il sostegno del fondo Copenhagen Infrastructure Partners, specializzato in grandi progetti di energia rinnovabile in tutto il mondo, ha di recente presentato (poco prima dello scoppio della pandemia da Coronavirus) al nostro Ministero dell'Ambiente e al Ministero delle Infrastrutture, il progetto per la realizzazione di un parco eolico galleggiante da realizzarsi in Sicilia al largo di Marsala. Il progetto, che sarebbe il primo di questo tipo nel Mediterraneo, potrebbe nascere presto, dunque, nel Canale di Sicilia; l'impianto, chiamato 7Seas Med, sarà composto da 25 pale galleggianti da 10 megawatt ciascuna e sarà invisibile dalla costa siciliana, in quanto distante oltre 35 chilometri da Marsala e altrettanti dalle Egadi, in direzione della Tunisia.
Perché si è pensato ad un impianto galleggiante e non fissato al fondale? Perché in quello specchio di mare il fondale ha circa 300 metri di profondità e quindi sarebbe impossibile installarvi delle normali turbine offshore fisse, che non possono superare una profondità di 50-60 metri, mentre si presta a meraviglia per posizionare delle turbine galleggianti. Il progetto, che comporta un investimento di 741 milioni di euro, se la nostra eterna burocrazia non rallenterà l’iter e tutto procederà per il meglio,  inizierebbe la fase operativa e quindi i lavori, aprendo il cantiere nel 2023, come afferma il progettista Luigi Severini, che ha firmato anche il progetto del parco eolico offshore di Taranto.
Amici, seppure al momento l’energia elettrica prodotta dagli impianti offshore rappresenti ancora meno dell'1 percento della produzione mondiale di elettricità, questa sta prendendo sempre più piede, a partire dalle nazioni del Nord Europa. Da qui al 2040, l'International Energy Agency prevede che l'eolico offshore attrarrà investimenti per 840 miliardi di dollari, equivalenti a quelli investiti attualmente nel gas naturale. Sempre l'International Energy Agency stima che le turbine eoliche galleggianti potrebbero fornire elettricità sufficiente a soddisfare 11 volte la domanda mondiale di elettricità, in base alle proiezioni del fabbisogno previsto nel 2040.
Quali, dunque, le opportunità fornite dai “parchi eolici” per quanto riguarda la nostra nazione, l’Italia? Il nostro Paese potrebbe essere davvero interessato da questa opportunità; l’Italia potrebbe addirittura diventare un leader in questo settore in grandissima crescita, perché ha le strutture per affrontare la realizzazione delle turbine giganti, strutture che, tra l’altro, nel resto del Mediterraneo non ci sono. Luigi Severini, che ha firmato anche il progetto del parco eolico di Taranto, ha così commentato:
«Per l'industria italiana potrebbe essere un'occasione straordinaria, che andrebbe esaminata con attenzione in sede di programmazione economica. Taranto, in particolare, ha ancora sia la cantieristica adatta a strutture di grandi dimensioni, necessaria per sviluppare una produzione di questo tipo, sia la materia prima, che potrebbe venire dall'Ilva».
Cari amici, dopo questo lungo fermo creato dalla pandemia del Coronavirus, l’Italia dovrà ripartire in modo pieno e concreto; farlo mettendo in moto le nostre grandi industrie le nostre eccellenti capacità manageriali e operative mi sembra la prima cosa da fare. Sono certo che la ripresa ci sarà e molte delle attuali nebbie potranno presto scomparire. Che Dio ci aiuti!
A domani, amici.
Mario


giovedì, giugno 25, 2020

NEL PROGETTO MARISTANIS, SONO ENTRATE ANCHE LE AZIENDE RISICOLE FERRARI DI CABRAS. OBIETTIVO, CREARE UNA RISICOLTURA MODERNA CHE RISPETTI L’AMBIENTE E RISPARMI ANCHE L’ACQUA.


Oristano 25 giugno 2020

Cari amici,

Il progetto “MARISTANIS”, strutturato a livello di cooperazione internazionale per la tutela e la gestione integrata delle zone umide costiere del Golfo di Oristano, è nato con un fine specifico: tutelare  nel  modo più consono le zone umide della costa del Golfo di Oristano. Le zone umide presenti nel nostro golfo non solo sono numerose, ma risultano abitate fin da epoca nuragica, in quanto da sempre ritenute utilissime e addirittura vitali per la sopravvivenza umana, grazie alla presenza di una grande varietà di biodiversità. 
Al fine di salvaguardare queste zone umide e le loro risorse, il progetto Maristanis intende apportare un contributo significativo per cercare di mantenerle integre e conseguentemente ridurre l'impatto dei cambiamenti climatici, che stanno sconvolgendo la nostra terra in maniera sempre più aggressiva e pericolosa. Il problema è serio, tanto che quasi il 90% dei Paesi membri delle Nazioni Unite hanno da tempo aderito alla Convenzione di Ramsar, un trattato ambientale in vigore dal 1975, che fornisce le indicazioni per la conservazione e l'uso sostenibile delle zone umide di importanza internazionale.
Il progetto MARISTANIS si occuperà della tutela e gestione integrata dei 6 Siti Ramsar presenti nel Golfo di Oristano: Stagno di Sale ‘e Porcus, Stagno di Mistras, Stagno di Cabras, Stagno di Pauli Maiori, Stagno di S’Ena Arrubia, Stagni di Corru S’Ittiri, Marceddì e San Giovanni. Sviluppato grazie al sostegno economico della Fondazione MAVA, il progetto è coordinato dalla Fondazione MEDSEA in collaborazione con l'Area Marina Protetta "Penisola del Sinis Isola di Mal di Ventre" e si avvale del supporto tecnico e scientifico di 6 partner internazionali: MedPan, MedWet, Ramsar, Plan Bleu, Medina, Tour du Valat, Birdlife.
Amministrativamente sono 13 i Comuni coinvolti nel progetto: Arborea, Arbus, Cabras, Cuglieri, Guspini, Narbolia, Nurachi, Oristano, Palmas Arborea, Riola Sardo, San Vero Milis, Santa Giusta, Terralba. Gli obiettivi principali del progetto sono: Migliorare la conoscenza delle zone umide, Realizzare una gestione integrata delle zone umide costiere, Ridurre le minacce sugli ecosistemi marini, Promuovere una gestione ed un uso efficiente delle risorse idriche, Ridurre il rischio derivante dalle fonti di inquinamento, Migliorare il livello di tutela di specie e habitat a rischio, Valorizzare il patrimonio culturale e paesaggistico, Aumentare la consapevolezza sull’importanza delle zone umide.
Ebbene, amici, la tutela e la gestione integrata di queste zone umide, riguarda ovviamente anche le colture che vi si realizzano, come la coltivazione del riso. 
Ad entrare nel progetto per prima l'Azienda Ferrari, al momento l’unica azienda risicola entrata a far parte dell'innovativo progetto, con l'obiettivo di ridurre il consumo idrico nella coltivazione, garantendo allo stesso tempo la salvaguardia dell'ambiente. Le nuove tecniche sperimentali messe in atto prevedono l'utilizzo del sistema aeromobile a pilotaggio remoto (Sapr), che attraverso l'impiego di un drone, permettendo così di monitorare in modo preciso e dettagliato lo stato di salute delle coltivazioni.
I dati rilevati in volo vengono poi trasmessi ad un software che a sua volta li incrocia con altre indicazioni (trasmesse da appositi sensori multispettrali) inerenti alla radiazione solare e tenendo conto della risposta delle piante; tutte informazioni importantissime, in quanto rivelano l'indice di vitalità del riso, il suo stress idrico, eventuali attacchi da agenti patogeni, oltre l'umidità e la temperatura del terreno. 
Carlo Ferrari, titolare dell’azienda risicola, intervistato sulla partecipazione al progetto ha dichiarato: “Questo nuovo approccio tecnologico alla coltivazione del riso, consente ai produttori di mettere in atto una nuova agricoltura di precisione, un passo in avanti davvero importante verso un’agricoltura moderna, che sfrutta l’innovazione digitale e che sarà in grado di portare benefici alla massa di vegetazione, al prodotto finito ed ai costi di produzione”.
L’azienda Ferrari, che ha già ottenuto la certificazione agroalimentare di Produzione Integrata, si è dotata di un capace impianto fotovoltaico per produrre in autonomia il 100% dell’energia di cui ha bisogno. “Nell’intento di modernizzare al massimo il processo produttivo – ha dichiarato ancora Carlo Ferrari – l’azienda ha puntualmente ricercato nuove tecniche d’avanguardia per un’agricoltura sostenibile che migliorasse ogni fase del ciclo produttivo ed al tempo stesso fosse di giovamento all’abbattimento dell’inquinamento ambientale”.
Cari amici, plaudo all’iniziativa di Carlo Ferrari, che mi onora della sua amicizia, e sono sempre più convinto che in futuro l’innovazione tecnologica la farà sempre più da padrone, con sicuri vantaggi sia nei costi di produzione che nella tutela dell’ambiente.
A domani.
Mario