Oristano
9 Ottobre 2015
Cari amici,
Adam Smith, il filosofo
ed economista scozzese autore del famoso testo di economia “Indagine sulla natura e le cause della
ricchezza delle nazioni” (1776), universalmente riconosciuto come il padre
della scienza economica, affermava che l’economia ed i relativi scambi
commerciali non avevano bisogno di “aggiustamenti”, in quanto capaci di autoregolarsi; nella sua famosa teoria della “Mano invisibile”, sosteneva che l'economia, senza alcun intervento umano,
trovava il giusto equilibrio e gli scambi avvenivano al miglior prezzo.
Nel mondo, però, nonostante
dall’Ottocento ad oggi ci siano state trasformazioni epocali, in economia poco o nulla è
cambiato, continuando ad applicare le regole ed i principi
espressi nelle sue teorie del 'libero mercato' e della sua autoregolamentazione. Eppure,
se nella fase della prima industrializzazione le regole da Lui dettate potevano considerarsi valide, in quanto innovative rispetto alle regole
precedenti (di stampo medioevale), oggi, con gli straordinari cambiamenti
avvenuti, esse hanno sicuramente necessità di aggiornamento.
L’economia di mercato,
quella svolta in totale libertà, regolata solo dalla legge della domanda e dell’offerta,
va senza indugio aggiornata, integrata, con l'apporto di correttivi che portino
il mercato verso una maggiore apertura nei confronti delle fasce più deboli;
economia di mercato, certo, ma aperta alla condivisione: in sintesi una sorta di ibridazione,
che consenta il passaggio dalla pura
economia di mercato ad un’economia "mista, un'economia condivisa. Cosa significa, direte
Voi, questa mia affermazione? In cosa consiste concretamente la differenza?
Cerchiamo di analizzarla meglio.
L’economia di mercato
è un’economia “libera”, che non subisce nessun intervento esterno, in quanto
viene governata solo dall’incontro della domanda e dell’offerta: ecco perché questo
meccanismo viene chiamato della Mano invisibile! In questo modo, però, chi più
ha più guadagna, chi è già ricco diventa sempre più ricco e chi non lo è, chi risulta meno competitivo, è
destinato inesorabilmente a soccombere.
L’economia condivisa,
invece, pur non discostandosi di molto rispetto a quella di mercato, è
integrata da principi più ampi, più orientati verso il sociale, rispetto alla precedente; essa contiene al suo
interno il “germe” della solidarietà, che, attraverso l’applicazione di un
concreto sentimento sociale, (altruistico, quindi, non egoistico), modifica l’economia
di mercato in economia solidale, di condivisione.
Non sembri cosa
bizzarra questo connubio tra economia e solidarietà! Cercherò, con parole
semplici, di rendere meglio l’idea, partendo dall'esempio della gestione dell'econoomia familiare, il primo nucleo portante, da sempre, della nostra Società. Nell’era
della civiltà contadina, nell’antica famiglia patriarcale una volta ben più
numerosa di quella di oggi, ciascun componente era tenuto ad apportare il
proprio contributo; le persone valide si facevano carico del pesante lavoro produttivo,
le donne di quello domestico (anche i ragazzi apportavando il loro piccolo aiuto) e gli
anziani, senza restare improduttivi, si prendevano cura dei piccoli. Tutti, quindi, risultavano impegnati, senza
esclusione alcuna. Se l’annata agraria era stata scarsa, quanto ricavato era
equamente distribuito a tutti in relazione alle esigenze, poco o molto che
fosse.
Ebbene questo esempio
potrebbe (anzi dovrebbe) essere trasferito alla Società, dove tutti dovrebbero
avere gli stessi diritti e doveri: dal capo famiglia all’ultimo dei figli, così
come dal Primo all’ultimo cittadino. Vi sembra che oggi la Società in cui
viviamo, arrivata al Terzo Millennio, si muova in questa direzione? A me
risulta di no! L’attuale assetto della nostra Società, a seguito delle
trasformazioni sociali, culturali, demografiche ed economiche avvenute, risulta
squilibrato, con pochi troppo abbienti e tanti in difficoltà. Questi ultimi si
dibattono in una caotica insicurezza: mancanza di lavoro, scarso e insicuro potere
d’acquisto, fumoso e incerto avvenire per le generazioni future.
In questo difficile contesto
aumenta ogni giorno, per una grossa parte della popolazione, il livello di vulnerabilità, acuito dalla
crescente difficoltà da parte delle famiglie ad assolvere ai loro compiti
istituzionali (educativi, assistenziali, di recupero e integrazione sociale).
Le sempre più numerose perdite del posto di lavoro, o anche semplicemente il
maggior carico lavorativo rinveniente dalle riduzioni di personale, non fanno altro che aumentare
sensibilmente nelle persone il senso di insicurezza, di precarietà, quando non
le fa addirittura precipitare nella schiera dei “nuovi poveri”.
Se a tutto questo, poi,
ci aggiungiamo l’aggravio delle condizioni di lavoro e di vita di alcune
categorie tradizionalmente svantaggiate o emarginate e il crescente dramma
degli immigrati, il problema diventa addirittura capace di creare una “guerra
tra poveri”. E’ su tutti i giornali, ogni giorno, l’aumento di episodi di
indifferenza o addirittura di ostilità, proprio nei confronti di chi già vive
una situazione drammatica. Il problema, badate bene, non è solo di ordine economico ma
politico. Eppure, nonostante tutto, le relative politiche sociali messe in atto si sono
rivelate dei semplici palliativi, che fanno rimpiangere addirittura quanto già esistente in passato.
Cari amici, tornando al
titolo che ho voluto dare a questa mia riflessione sulla inderogabile necessità di mitigare l’economia di mercato con l'applicazione dell’economia
solidale, poco o nulla finora si è fatto. E’ necessario che il nostro Paese riprenda quanto prima a
marciare spedito, per dimostrare che l’Italia c’è, anzi che “ha cambiato verso”,
in positivo. Potrà farlo se la crescita avverrà in modo intelligente, se crescerà
nella coesione, nella fratellanza, non nell’egoismo di quei pochi sempre pronti a sfruttare
i più deboli. L’Italia potrà crescere solo applicando i sani principi dell’Economia
Condivisa, con la partecipazione attiva di tutti gli attori del processo
produttivo: datori di lavoro, dipendenti, famiglie. Con lo Stato vero Pater Familias. Amici miei, non dimentichiamolo, "Siamo tutti sulla stessa barca!
Grazie a tutti.
Mario
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