Oristano
25 Luglio 2015
Cari amici,
la notizia ha quasi
dell’incredibile: l’ape sarda, piccola ma robusta, apparentemente minuta ma
feroce, non era scomparsa, estinta, ma si era solo abilmente “nascosta”, nelle
forre del Supramonte, come molti secoli fa fecero i sardi barbaricini
all’arrivo dei conquistatori di Roma. Ritrovarla è stato come rivedere un
figlio ritenuto perduto, tanta è stata la gioia degli esperti che, con grande
attenzione, l’hanno portata in laboratorio per verificarne lo stato di salute e
controllarne l’evoluzione.
La Sardegna è davvero,
come diceva Marcello Serra, un vero e proprio “Continente”. Terra antica, la
nostra Isola, come antica è la presenza delle api sulla terra. Gli studi
paleontologici hanno appurato che gli “Apoidei” (Apoidea, Latreille 1802, sono una grande famiglia di imenotteri che
raggruppa circa 20.000 specie, la più nota delle quali è l'ape domestica da
miele, Apis mellifera) sono presenti sulla
terra da circa 135 milioni di anni. Il connubio, però, tra l’ape e l’uomo iniziò
milioni di anni dopo, quando quest’ultimo si accorse che l’operoso piccolo
insetto accumulava nel proprio nido una densa e dolce sostanza molto gradevole
e nutriente: il miele; fu facile a questo punto iniziare a cibarsene, prima depredando
i nidi e successivamente iniziando ad allevare il prezioso insetto, pur
sopportando le dolorose punture derivanti.
L’antica specie
presente da millenni in Sardegna, si mantenne praticamente pura per molto
tempo. Un’ape visibilmente più piccola delle altre, più scura, ma particolarmente
aggressiva e forte: resistente, come i sardi, alla contaminazione. Col passare
del tempo e l’introduzione anche nell’Isola delle api da allevamento intensivo,
la piccola ape sarda lentamente passò in secondo piano: quasi abbandonata al
suo destino, come è successo per tanti altri nostri endemismi, considerati di
poco conto e utilità, soppiantati da prodotti di maggior diffusione e maggior
reddito, anche se di minore qualità.
Nel tempo, non
vedendola più circolare nelle campagne in cerca di fiori, l’ape sarda fu dagli
esperti ritenuta estinta, e di essa ormai nessuno praticamente parlava più. Di
quest’ape parlavano fra di loro solo gli anziani d’Ogliastra, che le avevano
allevate negli ovili d’altura insieme a pecore e capre. Essi vantavano la
particolare dolcezza del miele, nettamente superiore a quello delle nuove api. Il tempo passa e un giorno,
all’improvviso, qualcuno si accorge che l’apetta sarda, non si era affatto
estinta, ma abilmente nascosta nelle forre del Supramonte, proprio nei luoghi
da lei ben conosciuti e abitati nei secoli precedenti.
Come scrive Simone Loi, nella pagina culturale de
L’Unione Sarda del 22 Luglio, un vecchio pastore, Eugenio Cabras, la cui
famiglia nell’ovile di “Oseli” aveva allevato, per generazioni, con le capre
anche le api sarde, ritrova, con un colpo di fortuna, all’interno di un
vecchio tronco di leccio, un piccolo alveare costruito dalle piccole api
nostrane. Dopo attenta osservazione il vecchio pastore con convinzione sentenzia: “Est custa”! La osserva con
competenza, convinto senza dubbio alcuno: la “nostra
ape” è ben diversa dalla Ligustica
Italiana, specie ora ben diffusa anche nella nostra isola. Le
differenze non sono solo nella taglia ma anche nei colori: gli anelli
sull’addome della specie sarda tendono in modo più marcato all’arancione.
La notizia della felice
scoperta ha fatto subito il giro dell’Isola dimostrando a tutti, in modo
inequivocabile, che l’ape sarda non si era affatto estinta, ma solo rifugiata negli anfratti del Supramonte. Subito dopo la scoperta sono iniziate le verifiche. Gli
esperti dell’Ente foreste si sono recati nei monti di Dorgali a caccia delle
piccole “latitanti”, che per lunghi anni erano vissute in solitudine quasi monastica,
senza troppe relazioni sociali, senza incrociarsi con le altre api presenti.
Come i sardi, piccoli
di statura ma incredibilmente forti e coriacei, questi insetti melliferi made
in Sardinia, hanno caparbiamente resistito al “melting pot” della modernità,
trincerandosi nel loro mondo fatato: il Supramonte. Di taglia piccola, colorito
più scuro delle altre, zampette pelose, di carattere forte e aggressivo, le piccole api nostrane hanno pure
nel loro DNA particolari anticorpi ultra potenti: sono resistenti anche alla Varroa. Queste qualità hanno consentito loro di sopravvivere, superando le avversità e riuscendo ad evitare l’estinzione,
mimetizzate all’interno di un ecosistema sano e aspro, come quello del nostro
Supramonte.
In perfetta armonia con
l’aspra natura di quei luoghi, cibandosi di essenze straordinarie, in parte
endemiche, come i fiori dell’asfodelo, dell’erba gatto (teucrium marum), del
lentischio, del corbezzolo, dei narcisi, dell’erica e del leccio, hanno svolto
il compito di “sentinelle silenziose” di un ecosistema unico, che resiste con
caparbietà alla contaminazione. Sentinelle operose, piccole ma produttive,
capaci di creare un miele fra i migliori al mondo. Scrive Simone Loi nel suo
bell’articolo: “S’abe sarda barbaricina o arvaresa, produce un miele molto meno amaro
delle sue colleghe italiche inquadrate nella folta legione ligustica…”.
Cari amici, è una bella
storia quella della riflessione di oggi! Il recupero dell’ape nostrana, minuta
come molti di noi sardi, ma forte e decisa, resistente e caparbia, capace di
impollinare molti di quei fiori ad altri preclusi.
Ora che è stata riscoperta
verrà, con buona probabilità, nuovamente valorizzata. Artefice principale di questa operazione di
recupero Salvatore Bovore Mele, direttore
del Servizio Territoriale dell’Ente Foreste a Lanusei. Con Lui hanno operato il
capo cantiere di Urzulei Eugenio Cabras, il pastore dorgalese Bovore Mula
Bennardinu, profondo conoscitore del Supramonte, e il capo squadra dell’Ente
Foreste di Dorgali Tonio Sale, che per primo individuò “Su Caiddu”, il nido
delle apette sarde.
I primi esemplari
catturati sono ora a Sassari, esaminati con cura da un entomologo
dell’Università. Sicuramente l’apetta sarda, sopravvissuta anche nel Terzo Millennio,
ha molti segreti da svelare agli esperti, custoditi nei suoi cromosomi. La
scoperta ci impone, se siamo davvero sardi che amano le specificità della
nostra Isola, di valorizzare questo raro
esemplare d’ape, che potrebbe creare nuove opportunità economiche, nuovi filoni
commerciali e produttivi, in particolare all’interno di un mondo giovanile inopersoso perchè privo di lavoro, ma che sembra aver
riscoperto il grande valore della terra.
Se noi sardi sapessimo,
davvero, dare concreto valore alla nostra potenziale, inestimabile ricchezza….
Grazie dell’attenzione,
a domani.
Mario
Supramonte ogliastrino
Da sardo non posso che essere orgoglioso e contento della notizia, specie ora che vorrei riniziare ad allevare api.Quale occasione migliore mi si potrebbe presentare in questo momento, sapendo c'è la possibilità di farlo con le nostre apine.
RispondiEliminaGiovanni Pisciottu
Ciao Mario, sa se è già possibile avere degli sciami di queste api?a chi posso rivolgermi?
RispondiEliminaScusate nel mio orto ci sono delle api di piccole dimensioni potete postare la foto dove si possa vedere bene.
RispondiEliminaScusate ancora ci sono più anni hanno sciamato già due volte
RispondiEliminaScusate, capisco tutto ma definire questo articolo puro clickbait poco ci manca. Non è certo così che si fa una differenziazione dalla apis ligustica o dall’intermissa unica sotto specie alloctona differente dalla ligustica in Sardegna registrata a suo tempo a livello scientifico.
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