Oristano, 7 Novembre 2012
Cari
amici,
l’attesa
è finita. Il lungo spoglio della notte scorsa, tra l'una e le 7 del mattino (in
Italia), dopo la chiusura dei seggi per l’elezione del 45° Presidente degli
Stati Uniti d’America, ha dato il suo responso: Obama, dopo una lunghissima e
combattuta battaglia, è stato confermato, per un secondo mandato, alla
presidenza dello stato simbolo della democrazia nel mondo: gli U.S.A.
Gli
Stati Uniti hanno dunque scelto il rappresentante democratico per altri 4 anni.
Fra i primi a complimentarsi con lui, sgombrando il campo da possibili
contestazioni, è stato proprio Romney, tributandogli il riconoscimento di Presidente di tutti gli americani. Romney,
lo sfidante che ha lottato strenuamente fino all’ultimo, non ha esitato ad
ammettere subito la vittoria dei democratici e di Obama, non vergognandosi di
ammettere la sconfitta. Con grande senso di responsabilità, rivolgendosi alla
platea che lo ascoltava, ha detto: "Auguro il meglio a Obama, vi invito a
pregare per il presidente eletto". Ha ringraziato poi gli elettori e tutti
i supporters che hanno alacremente lavorato per Lui. I repubblicani, comunque,
in queste elezioni mantengono il controllo della Camera, mentre i democratici
quello del Senato, dove è record per il numero delle donne che ne fanno parte.
Anche Obama,
il vincitore, che prima di mostrarsi alla folla ha aspettato il discorso di
Romney, nell’atteso discorso alla Nazione da nuovo Presidente per i prossimi
quattro anni, ha reso omaggio a tutto il popolo americano per la rinnovata
fiducia, confermando che ora sarà in grado di “completare” il suo programma. "Il meglio deve ancora venire"
ha detto alla folla che, numerosissima, attendeva le Sue parole. Ha, poi
ringraziato tutti i supporters che, ha detto, “hanno lavorato in modo
fantastico”, la moglie e tutti gli americani.
“Grazie, avete portato
speranza", ha sostenuto con forza. Nell’applaudito discorso Obama ha
parlato in particolare della forte coesione che tiene unito il popolo
americano. “La nostra nazione è una
famiglia”, ha detto, “che si alzerà o cadrà ‘tutti insieme’, mai disunita”. La famiglia, ha detto, è la
vera forza del popolo americano: è dalla famiglia che parte la coesione, l’impegno
e lo stimolo a lottare, alla ricerca di quel vivere “tutti insieme” in pace. Ha
ringraziato in particolare la moglie Michelle, dichiarando quanto la ami e
stimi, oggi più di ieri e le due figlie,
che si augura possano crescere in libertà e serenità. L’unità della famiglia ha
aggiunto è la forza basilare di ogni comunità, aggiungendo poi, scherzando e rivolto alle
figlie, che, però, “ in casa un solo cane è abbastanza”!
Obama,
dunque, torna per altri quattro anni alla Casa Bianca più forte di prima.
Sicuramente la sua conferma eviterà quel necessario “terremoto” che ad ogni
“cambio” di presidenza si verifica nella compagine presidenziale: quello “spoil
system” che vede un grande avvicendarsi nelle cariche più importanti di
supporto al Presidente. Figura di grande prestigio e potere quella del
presidente degli Stati Uniti. Nazione questa, forte di una Costituzione che è
tra le più antiche in vigore nel mondo.
La Carta
Costituzionale infatti è sempre quella del 1787, con pochi emendamenti, e regola un immensa federazione: sono 50 gli
Stati federati. Al momento della dichiarazione di indipendenza (1776), gli
Stati Uniti erano costituiti da 13 stati, ex colonie del Regno Unito. Negli
anni seguenti il numero è costantemente cresciuto stante l'espansione verso
ovest, con la conquista e l'acquisto di terre da parte del governo americano, e
anche a causa della suddivisione degli stati già esistenti, fino a portare
all'attuale numero di 50. La bandiera, il simbolo che rappresenta gli Stati
Uniti, contiene “la memoria” dello Stato: tredici strisce orizzontali rosse e
bianche alternate (la prima dall'alto è rossa) e nel quadrante superiore (sul
lato dell'asta) un rettangolo blu con 50
piccole stelle bianche a cinque punte, disposte su nove file da sei o cinque
stelle che si alternano (la prima è da sei). Le 50 stelle rappresentano i 50
Stati federati degli Stati Uniti e le 13 strisce rappresentano le tredici
colonie originarie.
La
domanda che molti certamente si pongono è: Come viene eletto negli Stati Uniti
il Presidente? All’apparente semplice risposta “viene eletto dal popolo” (che è
inesatta) corrisponde, invece, un sistema elettorale, apparentemente semplice, ma più complicato di
quanto possa apparire. Per sfatare un luogo comune, il Presidente americano non
è eletto “direttamente” dagli elettori. Essi nella scheda consegnata per
l’espressione della preferenza non votano per ”OBAMA O ROMNEY”, ma danno la
preferenza ad uno dei “Grandi Elettori” indicati nella scheda, i quali in
precedenza si sono già “espressamente dichiarati” verso uno dei due candidati.
Per capire meglio il complesso sistema di voto in vigore negli Stati Uniti ecco
un breve riepilogo delle modalità di elezione,
ovvero come si arriva a “costruire” un candidato presidente. Il sistema in uso
è un marchingegno poco semplice e
abbastanza variegato al suo interno.
Il
Sistema americano è un sistema bipartitico, considerata la legge elettorale
maggioritaria. Fondamentalmente i due partiti
chiamati in causa sono il Partito Democratico e il Partito Repubblicano, pur
essendo presenti altri schieramenti minori. I candidati Presidente e
Vice-Presidente vengono scelti in una grande assemblea di partito, chiamata Convention. Fanno parte di questa
grande assemblea, i delegati che sono legati ad un candidato e che sono scelti
o tramite Caucuses (Caucus: questa
parola trova origine nella tribù indiana Algonquin e significa
"consiglio", "assemblea"), che sono riunioni di partito, o
tramite le più famose Primarie che possono essere aperte o chiuse. La maggior
parte degli Stati degli USA si avvale delle Primarie. Nelle Primarie aperte,
possono partecipare tutti i cittadini mentre in quelle chiuse partecipano i
membri o i simpatizzanti di quel partito. Quindi il candidato Presidente deve
ottenere la Candidatura dal Partito
e conquistare, poi, per essere eletto la maggioranza dei Grandi Elettori, che rappresentano i
singoli stati e formano il Collegio
elettorale degli Stati Uniti.
Gli USA, stato federale, assegnano ad
ogni stato appartenente, un numero di voti elettorali, equivalente alla somma
dei rappresentanti spettanti: con questo sistema sono assegnati un minimo di due
grandi elettori più un numero che varia a seconda della popolazione. Negli Usa, per chiarire, è ogni singolo Stato a contare e pesare
direttamente nell’elezione presidenziale. I “voti popolari” dei cittadini si
contano Stato per Stato, non al livello nazionale. Colui che vince, anche di
uno solo voto, in uno Stato conquista tutti i Grandi Elettori in palio in
quello Stato. I grandi elettori, insieme, formano il “ Collegio dei Grandi
elettori”, costituito da 538 delegati (100 senatori e 438 deputati) e sono l’organo
deputato a eleggere il presidente degli Stati Uniti. Le elezioni presidenziali
sono quindi “indirette”: è loro tramite che i cittadini americani, esprimono la
loro preferenza e quindi sono successivamente i “Grandi elettori” che, una
volta eletti, si riuniranno per eleggere il Presidente, nel mese di dicembre. La
particolarità del sistema bipolare americano fa si che, considerato che al
candidato-presidente che ottiene la maggioranza in un determinato Stato sono
assegnati tutti i grandi elettori del suddetto stato, Esso può essere eletto
presidente pur non avendo ottenuto la maggioranza del voto “globale” espresso da
tutti gli elettori americani, come successe nel caso Bush - Al Gore nel 2000, e
come pare sia avvenuto anche ieri, avendo Romney avuto a suo favore un maggiore
“globale” voto popolare rispetto a Obama. E’ sufficiente, dunque, avere a
proprio favore almeno 270 grandi elettori per assicurarsi la vittoria.
“La
democrazia è il governo del popolo, dal popolo, per il popolo”, sosteneva Abraham
Lincoln, e gli americani continuano su questa strada. L’evento conclusosi eri notte è stato seguito in diretta Tv, via satellite
e su Internet, da miliardi di persone. L’importanza di questa scelta interessa
il mondi intero. L’ansia per la scelta tra il democratico Barack Hussein Obama,
avvocato e professore di diritto costituzionale, e l’imprenditore repubblicano
pluri-laureto Mitt Romney ha tenuto col fiato sospeso il mondo intero da est a ovest,
da nord a sud. Ora, senza scossoni, senza cambi di rotta, la politica avviata
da Obama prosegue e gli consente di dichiarare che porterà avanti il suo piano
“più forte di prima”. Si raccolgono già le prime impressioni negli altri Stati
e Organizzazioni del mondo. Dalla NATO (che si augura di poter continuare una
stretta collaborazione) alla ANP (i palestinesi sperano che il rinnovato
mandato sia foriero di pace in M.O.), dall’Europa (la Merkel si augura che
Obama porti avanti quella iniziata collaborazione che possa sconfiggere la
grave crisi economica e finanziaria) all’Italia (il ministro degli Esteri
Giulio Terzi ha dichiarato che "L'America è più forte e rappresenta
un'ulteriore grande opportunità per l'Europa e l'Italia"), tutto il mondo
plaude al rinnovato incarico presidenziale ad Obama.
Nonostante tutto Obama è atteso da
sfide di grande spessore. La grande pesantezza del debito pubblico americano,
la recessione che comincia come un cancro ad insinuarsi anche in larghi strati
della popolazione americana, è una grande sfida che Obama cercherà di
combattere e vincere. In questo millennio, governato più che dalla sapienza e
lungimiranza di ogni singolo Stato, da quella “Globalizzazione” che mette
insieme ricchi e poveri, stati
industrializzati ed in via di sviluppo o molto arretrati, giocherà un ruolo
importante e, forse, determinante la capacità di uscire dai singoli egoismi di
parte: senza la necessaria sussidiarietà, senza guardare alle necessità, ai
bisogni, del vicino neanche chi è benestante potrà godere in solitudine del suo
apparente benessere.
“Aggiungiamo
un posto a tavola”, non facciamo come il ricco Epulone citato nel Vangelo
che dalla sua tavola imbandita lasciava cadere solo le briciole con le quali il
povero cercava di sfamarsi. E’ tempo di allargare la tavola, far partecipare
anche gli altri, dividendo equamente le risorse. Non sarà facile ma, credo, che
sia necessario almeno provarci, se vogliamo, davvero, sperare in un mondo
migliore, di pace e serenità.
Grazie della Vostra attenzione.
Mario
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