Oristano 21 agosto 2023
Cari amici,
Il termine “QUEER”,
a leggere il significato dato dall’enciclopedia Treccani, fu usato nel
19° secolo in senso spregiativo nei confronti degli omosessuali, col significato
di «strano», «bizzarro»; la parola, di derivazione anglosassone, che a sua
volta sarebbe derivata dal tedesco Queer, indica «diagonale», «di traverso», in
quanto il termine indicava chi era fuori dal contesto sociale “normale”. Oggi
il termine “Queer” viene utilizzato per definire le persone che non si sentono
di rientrare nelle categorie sociali standard, ovvero quella di vivere all’interno della
classica, consolidata famiglia, costituita dalla coppia
familiare con figli propri, parentele e così via.
Di recente, con la morte
della scrittrice sarda Michela Murgia, il termine “FAMIGLIA QUEER”
è
tornato in primo piano. Vediamo cosa intendiamo realmente oggi con questo termine. La
scrittrice sarda, nel parlare della sua “Queer family”, chiarisce che
con questo termine si identifica una composizione “familiare” senza alcun
legame di sangue con lei, ma che, tuttavia, lei sente come vera famiglia. Insomma,
il Suo è un clan familiare slegato dall’orientamento sessuale delle persone che
lo compongono; Raphael Luis, Francesco Leone, Michele Anghileri e Alessandro
Giammei, componenti della grande famiglia della scrittrice sarda, da Lei
appunto definita “famiglia Queer”, costituiscono una famiglia aperta composta
da persone non obbligatoriamente unite da legami di sangue.
Amici, in una famiglia
Queer le persone che la compongono non si conformano alle norme di genere o
sessualità tradizionali; è questo un concetto potente, che celebra e riconosce
la diversità di tutte le famiglie, che proprio per questo andrebbero declinate
al plurale. Per ora la famiglia Queer è una parvenza di famiglia, non
classificata o inquadrata, innovativa e non regolata, in quanto non viene legittimata dalla legge.
Indubbiamente è una grande scelta di “Libertà”, quella fatta da Michela Murgia,
una particolare scelta di vita familiare inusuale.
Indubbiamente una scelta Libertaria, in tutte le sue accezioni: di espressione, nei rapporti
interpersonali, nei ruoli, senza il vincolo sessuale che di norma regola la
sfera familiare. Tutto questo è "diversità", è Queer, un termine spesso usato da Michela
Murgia per raccontare la sua quotidianità e le sue scelte di vita; un modo
per descrivere quella famiglia allargata, nel suo caso composta da dieci
persone, che non condividono un legame di sangue ma di certo di spirito! E per
questo ancora più forte. Un nucleo fuori dai classici stereotipi, che vedono
persone insieme per «costrizione sociale o culturale». Insomma, in sintesi, un
amore libero da ogni vincolo.
Amici, questo concetto di
Famiglia Queer si avvicina intrinsecamente sempre più al concetto di libertà.
Libertà di espressione, libertà sessuale, libertà nel vivere i rapporti, i
ruoli, la composizione familiare. Ed è così che si arriva alla Famiglia
Queer, a quel concetto condiviso e applicato da Michela Murgia. Lei, in
un’intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera,
aveva spiegato di desiderare di trascorrere il tempo che le rimaneva insieme
alla sua ‘Famiglia Queer’, quella particolare famiglia allargata, composta nel
suo caso da dieci persone, con le quali Lei non ha un legame di sangue ma di
spirito.
Come ha scritto Roberta
Scorranese, analizzando la visione familiare della Murgia, con il concetto
di Famiglia Queer si intende una nuova idea di nucleo familiare, che sfida
stereotipi, convenzioni e leggi. Vivere in una “Famiglia Queer” significa
vivere sotto lo stesso tetto insieme ad altre persone per scelta e non per vincolo
costrittivo di sangue, o, comunque, vincolo sociale o culturale; significa, in
sintesi, condividere emozioni e pensieri, amore e rabbia, con chi ha con te
un’affinità mentale, spirituale, intellettuale. Significa amare ed essere amati
nel modo più libero possibile.
Una visione nuova di
famiglia, fatta di legami e di rapporti fuori dagli schemi, condivisa anche dal
cantante e musicista Diodato. In un’intervista sul settimanale 7 (del Corriere della sera), Diodato
ha confessato di immaginare, un giorno, di vivere spazi e luoghi in
condivisione con le persone che gli vogliono bene. «Mi piace l’idea della
comune, che ho sperimentato da studente a Roma, anche se il concetto suona un
po’ hippy. È una situazione che ti aiuta a ridimensionare, a stare con i piedi
per terra», ha spiegato l’artista.
Cari amici, Michela
Murgia, sarda come me, credo che si sia ispirata, nel concepire e praticare questo nuovo modo di
“Fare famiglia”, all’antico concetto sardo di “Comunità allargata”,
praticato da secoli. Nel passato, fatto in particolare di piccole Comunità, funzionava il
“VICINATO”; era questo un modo comunitario di vivere insieme: una bozza di “Famiglia
Queer”, che metteva insieme le diverse famiglie che lo abitavano e che
condividevano tutto: amicizia, amore per il prossimo, cibo e fatiche. All’interno
di questa Comunità, i bambini erano praticamente figli di tutti, protetti e
seguiti dalle famiglie vicine, e, in caso di necessità, il bambino di una
famiglia che poteva trovarsi in difficoltà, andava a vivere come “FILL’E ANIMA”
(ovvero “affiliato”, anche se non giuridicamente) presso una famiglia
abbiente, dove viveva da vero figlio. Era un bellissimo modo di "vivere insieme", di fare parte di una Comunità in modo
altamente umano, libero, altruistico e senza ruoli predefiniti.
A domani, cari lettori.
Mario
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