Oristano 16 dicembre 2020
Cari amici,
Che l’epidemia di
Covid-19 si stia dimostrando difficile da debellare e che pertanto dovremo
abituarci a convivere con il virus ancora per un bel periodo è ormai una
certezza. Gli attuali strumenti di protezione, in particolare i presidi (gel e
le mascherine), utilizzati nella vita ordinaria di tutti i giorni,
continueranno pertanto a servirci quotidianamente senza ombra di dubbio.
L’utilizzo costante delle mascherine, dunque, sarà ancora per un tempo
relativamente lungo, un nostro comportamento indispensabile, soprattutto in
luoghi chiusi e dove non si possa mantenere un distanziamento sociale
appropriato.
Tutto questo sta a
significare che dovremo avere in casa la giusta scorta di mascherine, anche se
non sembra il caso di comprarne quantità industriali, tenendo anche conto che
ecologicamente sarebbe opportuno limitarne il consumo, incentivando
il possibile riutilizzo. Il modo in realtà esiste,
perché certi tipi di mascherine si possono sterilizzare, consentendo di riutilizzarle, e ciò sta a significare non solo un certo risparmio ma anche un minor
inquinamento. Si, amici, la sterilizzazione è possibile (per esempio con uno
sterilizzatore UV), cosa che ci consente di utilizzare la stessa apparecchiatura
anche per sanificare altri oggetti. È importante sapere, però, che per poter
riutilizzare con buona sicurezza una mascherina, bisogna essere in possesso di
determinate informazioni su di essa, facendo un bel distinguo, a seconda delle
mascherine che andiamo solitamente ad utilizzare.
Le mascherine in tessuto.
Le mascherine fatte in tessuto (cotone o TNT, il più delle volte) si possono
lavare in lavatrice usando semplice acqua calda (avendo l’accortezza di usare
un programma di almeno 60 gradi). Prima di riutilizzarle è indispensabile farle
asciugare bene stendendole possibilmente al sole. E, ad asciugatura avvenuta,
non stirarle. Le mascherine di questo tipo si possono riutilizzare più volte (i
produttori di solito suggeriscono fino a 10), purché non siano danneggiate,
strappate o infeltrite. Se vengono usate per brevi periodi (per esempio, andare
a fare la spesa) si possono anche lavare dopo 3-4 utilizzi. Diversamente, se le
si indossano al lavoro per 8 o più ore, è opportuno disinfettarle ogni sera.
Le mascherine chirurgiche.
In linea di massima, questo tipo di mascherine dovrebbe essere monouso.
Esistono però dei metodi per estenderne la vita per altri due utilizzi, a patto
che ovviamente siano del tutto integre, o non siano state indossate per troppe
ore consecutive (quattro sarebbe il limite prudenziale):
• Pulirle con uno spray disinfettante idroalcolico con alcool
almeno al 70% (e farle asciugare perfettamente all’aria prima di riutilizzarle,
senza usare una asciugatrice). Lo svantaggio è che la capacità filtrante, già
minima nel caso delle chirurgiche, si affievolisce ancora di più.
• Tenere la mascherina sospesa su di una pentola in
ebollizione per almeno 10 minuti. Metodo pericoloso se non si fa estrema
attenzione al vapore.
• Lasciare la mascherina su uno stenditoio, all’aria aperta,
per qualche giorno. In questo modo il virus non sopravvive e scompare del tutto
perché non trova alcun organismo umano in cui potersi replicare.
• Usare uno sterilizzatore UV.
Le mascherine FFP2/3 (o
N95, secondo gli standard americani). Anche per queste mascherine (che
generalmente dovrebbero essere usate dagli operatori sanitari e di soccorso) la
riutilizzabilità sta nel disinfettarle in modo che possano conservare la
capacità filtrante e aderire bene al volto. Oltre ai metodi illustrati nel
precedente paragrafo ce n’è un altro, quello che prevede l’utilizzo dei raggi UV, i raggi ultravioletti.
Cosa sono esattamente e
perché hanno un potere disinfettante i raggi UV? Vediamolo insieme. La
luce ultravioletta è, per farla semplice, un tipo di radiazione
elettromagnetica con una lunghezza d’onda inferiore alla luce che l’occhio
umano riesce a percepire, e quindi non è visibile per la maggior parte degli
esseri umani. Anche se non possiamo vedere I raggi UV, di certo ne sentiamo i
loro effetti. La luce ultravioletta generata dal sole, ad esempio, è quella che
ci fa abbronzare (ma è anche in grado di provocare tumori alla pelle).
Secondo l’Organizzazione
Mondiale della Sanità, i raggi ultravioletti ricadono in tre categorie:
• UV-A: sono i raggi più deboli, in pratica il 95% della luce
ultravioletta mandata dal sole sulla Terra. Riesce a penetrare profondamente
nei vari strati della pelle, contribuendo non solo alla formazione
dell’abbronzatura, ma anche all’invecchiamento della pelle stessa, alla
comparsa di rughe e in casi estremi ai tumori della pelle.
• UV-B: Questo tipo di luce ultravioletta è in grado di permeare
gli strati superficiali della pelle, ed è responsabile per l’abbronzatura (e
per le ustioni), oltre a dare un grosso contributo all’invecchiamento e, anche qui, ai
tumori della pelle. La maggior parte dei raggi UV-B viene assorbita dallo
strato di ozono della Terra, e quindi costituisce appena il 5% dei raggi solari
che raggiungono il nostro pianeta.
• UV-C: È la luce ultravioletta che genera più energia in
assoluto, ed è quella che può fare maggiori danni. Fortunatamente, lo strato di
ozono e l’atmosfera la assorbono completamente. Le lampade UV-C usate nei
dispositivi per la disinfezione in ambiente medico hanno una particolare forma
d’onda.
I raggi UV come possono
disinfettare gli oggetti? Lo possono fare perché la luce
ultravioletta è in grado di penetrare nelle cellule degli agenti patogeni e danneggiarne
il DNA o l’RNA contenente il codice genetico. Inoltre, esistono delle prove che
i raggi UV possano danneggiare gli aminoacidi e le proteine che proteggono il
virus oppure che gli permettono di attaccarsi ed infettare una cellula ospite. L’impiego
dei raggi UV per la disinfezione risale a più di un secolo fa. Oggi esistono
dei dispositivi di tutte le forme e dimensioni. Una ricerca effettuata
dall’americano National Institutes for Health ha messo a confronto quattro
metodi per decontaminare le mascherine N95/FFP2:
1)
raggi UV-C (260-285 nm), 2) vapore secco a
70 gradi, 3) spray di etanolo al 70%, 4) VHP (perossido di idrogeno
vaporizzato). Tutti e quattro i metodi hanno eliminato, in tempi variabili, il
virus SARS-CoV-2 (alias Covid-19) dai campioni di tessuto presi in esame. I
ricercatori hanno scoperto che le maschere decontaminate con lo spray avevano
perso la loro efficacia, e quindi ne sconsigliavano l’utilizzo. Dove si è usato
il vapore a 70 gradi, le maschere si sono potute riutilizzare altre due volte. Quelle
decontaminate con i raggi UV-C e col VHP, invece, si sono potute usare fino a
tre volte. È da tener presente che le mascherine sono state sottoposte ai raggi
UV-C per un’ora e che sono state appiattite e girate durante la procedura (dato
che i raggi UV-C agiscono sulle superfici piane).
Cari amici, seppure viviamo questo periodo di pandemia con grande tristezza e apprensione, dobbiamo cercare di superare nel modo migliore questo virus che ci ha colpito; solo con il responsabile comportamento di tutti sarà possibile liberarsene quanto prima possibile, in attesa del vaccino. Operiamo allora tutti con pazienza e rigore, solo così potremo riprendere con gioia e speranza la vita di prima.
A domani.
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