Cari amici ed amiche,
il caldo sole d'agosto è già un po' meno afoso e le giornate sono, ormai, diventate più corte. Sono i primi sintomi di un'estate che si avvia al termine, portandosi via bagni di sole e di mare, abbronzatura e vacanze.
Vivere queste belle sensazioni vacanziere nel Sinis di Cabras è non solo un piacere ma un grande privilegio, data la particolare bellezza dei luoghi.
La chiusura della stagione estiva, in questo splendido luogo, è resa ancora più interessante da una stupenda festa che coinvolge da secoli gli abitanti di Cabras, capitale del Sinis: La festa di San Salvatore, da secoli arrichita da una spettacolare quanto suggestiva corsa a piedi nudi, la corsa degli scalzi.
La prima Domenica di Settembre è ormai alle porte, le novene sono già iniziate ed i cabraresi hanno riaperto e ripopolato l'antico borgo di San Salvatore. Anche quest'anno la cittadina lagunare è in grande fermento: ogni cabrarese aspetta da San Salvatore, il proprio miracolo, ognuno fiducioso grida a voce alta: " Santu Srabadoi s'aggiudidi! ( San Salvatore ci aiuti!).
Per gli amici che non conoscono l'antica storia della corsa degli scalzi ho il piacere di riportare quanto è stato scritto su questo importante avvenimento, tra mito e leggenda.
La storia dei luoghi.
L'antico villaggio campestre di San Salvatore (Santu Srabadoi in Sardo cabrarese), che sorge alle pendici delle colline del Sinis, nei pressi di Cabras, costituisce il più interessante esempio di centro religioso temporaneo in Sardegna. Il villaggio, disabitato per la gran parte dell'anno, si popola esclusivamente per la celebrazione della festa e dei riti in onore del Cristo Salvatore, tra la fine di agosto e la prima domenica di Settembre.
Al centro del villaggio sorge una piccola chiesa risalente al XVII secolo, intitolata a San Salvatore, costruita a sua volta su un più antico ipogeo di origine prenuragica, dedicato al culto delle acque e interamente scavato nella roccia, nel quale in epoca romana si adoravano Venere e Marte, e nel quale il semidio Ercole era venerato col titolo di “Sotèr”, cioè “Salvatore”.
Per tutta l'antichità il santuario ipogeico fu un luogo di culto importantissimo, al centro un'area ricca di villaggi e a pochi chilometri dalla città di Tharros. Qui si recavano gli abitanti di Tharros e dei villaggi vicini in occasione delle festività religiose, e per implorare agli dei la guarigione dalle malattie. E tale funzione religiosa mantenne anche in epoca cristiana, quando l'ipogeo venne consacrato al nuovo culto e trasformato in chiesa senza che ne fossero alterate le strutture fondamentali. L'antico pozzo sacro al centro dell'ipogeo venne adibito a fonte battesimale, e lo stesso Ercole venne visto come una mera “prefigurazione” del vero Salvatore, cioè Cristo, dal quale il villaggio ha preso il nome.
Il santuario era sicuramente molto frequentato ancora in epoca bizantina, quando la città di Tharros era la capitale del Giudicato di Arborea. La festa di S. Salvatore, di origine bizantina, era celebrata, allora, il 6 di Agosto: durante il Novenario si celebrava infatti il miracolo della Trasfigurazione del Signore, solennità tutt'oggi molto sentita nei paesi ortodossi. Fino all'inizio del '900 la festa dedicata dai cabraresi a S. Salvatore era celebrata il 6 agosto, in coincidenza con la ricorrenza liturgica della Trasfigurazione del Signore. Solo nel 1908, su pressione delle famiglie che prendevano parte alla Novena, l'allora pievano, il Canonico Sanna, spostò la festa alla prima domenica di settembre, al termine della stagione agricola, in modo consentire ai novenanti una più ampia partecipazione ai riti religiosi.
Fino a questo periodo inoltre, accanto al più famoso inno al Santissimo Salvatore, al termine della celebrazione liturgica conclusiva si cantavano ancora “Is Coggius de Sa Trasfigurazioni”, un antico inno sacro in lingua sarda nel quale veniva descritto il miracolo avvenuto sul Monte Tabor.
La novena in onore del Santissimo Salvatore.
La festa di San Salvatore assunse la forma del novenario solamente attorno alla metà del 1600, quando le gerarchie ecclesiastiche istituirono e propagandarono questa nuova forma di culto.
Per motivi ignoti, tuttavia, la pratica del Novenario di San Salvatore finì per assestarsi col tempo non su nove, bensì su soli sette giorni. All'inizio della Novena, il pomeriggio del sabato antecedente a quello della festa, le famiglie dei novenanti partivano da Cabras, e in tale occasione vi era la consuetudine che le donne portassero con se in processione “Su Santigheddu”, ovvero una piccola statua di San Salvatore che secondo la tradizione popolare sarebbe stata rinvenuta nell'ipogeo. Del tutto incerta, in realtà, è l'età di tale statua, sembra però che tale rito risalga ai primi secoli dell'era cristiana, quando non esistevano ancora né il villaggio né la chiesa, e coloro che si recavano a San Salvatore per la festa trovavano rifugio in piccole capanne costruite attorno all'ipogeo, nel quale veniva allora collocata la statua del Santo.
Una volta giunti al villaggio la statuetta veniva sistemata in una nicchia (“Su Niggiu”) dell'altare all'interno della chiesetta. La stessa sera del sabato i novenanti si davano appuntamento nella piazza centrale del villaggio, dove avevano inizio i balli, che si protraevano per tutta la notte. La domenica mattina si celebrava la messa, e poi riprendevano i festeggiamenti, interrotti definitivamente dall'inizio delle funzioni pomeridiane. Aveva così inizio “Sa Nuina”, che sarebbe continuata con lo stesso schema fino al giorno della festa, e prevedeva una messa e una Via Crucis al mattino, una seconda messa quotidiana al pomeriggio seguita dalla Via Crucis e dalla Novena vera e propria. La giornata si concludeva la sera con la recita del Rosario.
Da tale momento e fino alla sera del sabato tutti i festeggiamenti erano banditi dal piccolo villaggio, e i momenti di svago erano scanditi da gite a “Su Monti”, cioè a Su Pranu, e dai giochi dei bambini attorno a Is Predas de Cubas, le antiche terme romane appena fuori dal villaggio. La sera invece le donne si davano appuntamento sulla piazza per conversare tra loro e “prendere il fresco”, mentre gli uomini usavano fare il giro del villaggio andando di casa in casa con gli amici anche per assaggiare le migliori vernacce del paese. Nei giorni seguenti un numero sempre maggiore di “stazzus” (ovvero di capanne coperte da erbe palustri) andava sorgendo nella piazza del villaggio, per ospitare i pellegrini che, pur non avendo la casa, desideravano partecipare al Novenario senza dover viaggiare tutti i giorni da Cabras.
Il giovedì antecedente la festa era invece “sa dì de is istrangius”, ovvero “il giorno dei forestieri”. In tale giorno, infatti, una numerosa folla di pellegrini provenienti da Cabras e dai paesi circostanti confluiva a San Salvatore in piccole carovane, a piedi o su carri riccamente addobbati, e si accampava in capanne improvvisate attorno al perimetro esterno del villaggio in attesa del giorno della festa solenne, mentre nella piccola chiesa i sacerdoti delle varie comunità si alternavano nelle celebrazioni liturgiche per tutto il corso della giornata.
Durante il periodo della Novena, inoltre, la gente usava attingere l'acqua dal pozzo dell'ipogeo anche per gli usi più comuni, compreso lavarsi e cucinare. Accanto a quest'uso “normale”, però, l'acqua del tempio sotterraneo veniva utilizzata anche per altri scopi: quando si scendeva nell'ipogeo si era soliti lavarsi il volto con l'acqua di quel pozzo, perchè si diceva che fosse salutare soprattutto per la vista. Prima di entrare in chiesa, inoltre, soprattutto le donne usavano spruzzarsi l'acqua sul viso prima di farsi il segno della croce, perchè di buon augurio.Vi era infine la consuetudine di porsi sulla fronte della polvere presa da un punto particolare dell'ipogeo, perchè efficace contro il mal di testa e il malocchio. Questa polvere veniva poi usata anche in riti dal sapore magico-religioso, come “S'Affumentu” o “S'Imbruscinadura”, mentre secondo alcuni essa sarebbe stata un rimedio efficace anche contro la sterilità.
Il Novenario di San Salvatore ha mantenuto vive queste tradizioni arcaiche fino alla fine degli anni '50.
Al giorno d'oggi il Novenario in onore del Santissimo Salvatore ha inizio il venerdì mattina, nono giorno antecedente la prima domenica di settembre, quando una processione di donne di Cabras – spesso con indosso l'antico abito della tradizione sarda – trasporta, dalla Pieve di Santa Maria Assunta fino alla chiesetta di San Salvatore, la statua di “Santu Srabadoeddu”, ovvero la piccola immagine del Cristo Trasfigurato.
In tale giorno hanno inizio i riti religiosi, che vengono celebrati quotidianamente sino al sabato che precede la prima domenica di settembre, e prevedono una messa quotidiana al pomeriggio, seguita da una Via Crucis in lingua sarda che si svolge per le vie del villaggio, ed infine dalla Novena vera e propria, anch'essa in Sardo, al termine della quale vengono cantati “Is Coggius de Santu Srabadoi”, l'inno di benvenuto e di ringraziamento al Cristo Trasfigurato.
Un aspetto molto interessante della festa di San Salvatore riguarda,infine, il Sardo utilizzato sia nella Via Crucis, sia nella Novena che ne Is Coggius: non è Cabrarese come si potrebbe pensare, ma un dialetto sardo simile a quelli oggi parlati nella Marmilla, anche se più colto e più arcaico. Pare infatti che il testo della Novena sia stato messo per iscritto secoli fa da un parroco originario proprio di quella regione della Sardegna.
Il santuario era sicuramente molto frequentato ancora in epoca bizantina, quando la città di Tharros era la capitale del Giudicato di Arborea. La festa di S. Salvatore, di origine bizantina, era celebrata, allora, il 6 di Agosto: durante il Novenario si celebrava infatti il miracolo della Trasfigurazione del Signore, solennità tutt'oggi molto sentita nei paesi ortodossi. Fino all'inizio del '900 la festa dedicata dai cabraresi a S. Salvatore era celebrata il 6 agosto, in coincidenza con la ricorrenza liturgica della Trasfigurazione del Signore. Solo nel 1908, su pressione delle famiglie che prendevano parte alla Novena, l'allora pievano, il Canonico Sanna, spostò la festa alla prima domenica di settembre, al termine della stagione agricola, in modo consentire ai novenanti una più ampia partecipazione ai riti religiosi.
Fino a questo periodo inoltre, accanto al più famoso inno al Santissimo Salvatore, al termine della celebrazione liturgica conclusiva si cantavano ancora “Is Coggius de Sa Trasfigurazioni”, un antico inno sacro in lingua sarda nel quale veniva descritto il miracolo avvenuto sul Monte Tabor.
La novena in onore del Santissimo Salvatore.
La festa di San Salvatore assunse la forma del novenario solamente attorno alla metà del 1600, quando le gerarchie ecclesiastiche istituirono e propagandarono questa nuova forma di culto.
Per motivi ignoti, tuttavia, la pratica del Novenario di San Salvatore finì per assestarsi col tempo non su nove, bensì su soli sette giorni. All'inizio della Novena, il pomeriggio del sabato antecedente a quello della festa, le famiglie dei novenanti partivano da Cabras, e in tale occasione vi era la consuetudine che le donne portassero con se in processione “Su Santigheddu”, ovvero una piccola statua di San Salvatore che secondo la tradizione popolare sarebbe stata rinvenuta nell'ipogeo. Del tutto incerta, in realtà, è l'età di tale statua, sembra però che tale rito risalga ai primi secoli dell'era cristiana, quando non esistevano ancora né il villaggio né la chiesa, e coloro che si recavano a San Salvatore per la festa trovavano rifugio in piccole capanne costruite attorno all'ipogeo, nel quale veniva allora collocata la statua del Santo.
Una volta giunti al villaggio la statuetta veniva sistemata in una nicchia (“Su Niggiu”) dell'altare all'interno della chiesetta. La stessa sera del sabato i novenanti si davano appuntamento nella piazza centrale del villaggio, dove avevano inizio i balli, che si protraevano per tutta la notte. La domenica mattina si celebrava la messa, e poi riprendevano i festeggiamenti, interrotti definitivamente dall'inizio delle funzioni pomeridiane. Aveva così inizio “Sa Nuina”, che sarebbe continuata con lo stesso schema fino al giorno della festa, e prevedeva una messa e una Via Crucis al mattino, una seconda messa quotidiana al pomeriggio seguita dalla Via Crucis e dalla Novena vera e propria. La giornata si concludeva la sera con la recita del Rosario.
Da tale momento e fino alla sera del sabato tutti i festeggiamenti erano banditi dal piccolo villaggio, e i momenti di svago erano scanditi da gite a “Su Monti”, cioè a Su Pranu, e dai giochi dei bambini attorno a Is Predas de Cubas, le antiche terme romane appena fuori dal villaggio. La sera invece le donne si davano appuntamento sulla piazza per conversare tra loro e “prendere il fresco”, mentre gli uomini usavano fare il giro del villaggio andando di casa in casa con gli amici anche per assaggiare le migliori vernacce del paese. Nei giorni seguenti un numero sempre maggiore di “stazzus” (ovvero di capanne coperte da erbe palustri) andava sorgendo nella piazza del villaggio, per ospitare i pellegrini che, pur non avendo la casa, desideravano partecipare al Novenario senza dover viaggiare tutti i giorni da Cabras.
Il giovedì antecedente la festa era invece “sa dì de is istrangius”, ovvero “il giorno dei forestieri”. In tale giorno, infatti, una numerosa folla di pellegrini provenienti da Cabras e dai paesi circostanti confluiva a San Salvatore in piccole carovane, a piedi o su carri riccamente addobbati, e si accampava in capanne improvvisate attorno al perimetro esterno del villaggio in attesa del giorno della festa solenne, mentre nella piccola chiesa i sacerdoti delle varie comunità si alternavano nelle celebrazioni liturgiche per tutto il corso della giornata.
Durante il periodo della Novena, inoltre, la gente usava attingere l'acqua dal pozzo dell'ipogeo anche per gli usi più comuni, compreso lavarsi e cucinare. Accanto a quest'uso “normale”, però, l'acqua del tempio sotterraneo veniva utilizzata anche per altri scopi: quando si scendeva nell'ipogeo si era soliti lavarsi il volto con l'acqua di quel pozzo, perchè si diceva che fosse salutare soprattutto per la vista. Prima di entrare in chiesa, inoltre, soprattutto le donne usavano spruzzarsi l'acqua sul viso prima di farsi il segno della croce, perchè di buon augurio.Vi era infine la consuetudine di porsi sulla fronte della polvere presa da un punto particolare dell'ipogeo, perchè efficace contro il mal di testa e il malocchio. Questa polvere veniva poi usata anche in riti dal sapore magico-religioso, come “S'Affumentu” o “S'Imbruscinadura”, mentre secondo alcuni essa sarebbe stata un rimedio efficace anche contro la sterilità.
Il Novenario di San Salvatore ha mantenuto vive queste tradizioni arcaiche fino alla fine degli anni '50.
Al giorno d'oggi il Novenario in onore del Santissimo Salvatore ha inizio il venerdì mattina, nono giorno antecedente la prima domenica di settembre, quando una processione di donne di Cabras – spesso con indosso l'antico abito della tradizione sarda – trasporta, dalla Pieve di Santa Maria Assunta fino alla chiesetta di San Salvatore, la statua di “Santu Srabadoeddu”, ovvero la piccola immagine del Cristo Trasfigurato.
In tale giorno hanno inizio i riti religiosi, che vengono celebrati quotidianamente sino al sabato che precede la prima domenica di settembre, e prevedono una messa quotidiana al pomeriggio, seguita da una Via Crucis in lingua sarda che si svolge per le vie del villaggio, ed infine dalla Novena vera e propria, anch'essa in Sardo, al termine della quale vengono cantati “Is Coggius de Santu Srabadoi”, l'inno di benvenuto e di ringraziamento al Cristo Trasfigurato.
Un aspetto molto interessante della festa di San Salvatore riguarda,infine, il Sardo utilizzato sia nella Via Crucis, sia nella Novena che ne Is Coggius: non è Cabrarese come si potrebbe pensare, ma un dialetto sardo simile a quelli oggi parlati nella Marmilla, anche se più colto e più arcaico. Pare infatti che il testo della Novena sia stato messo per iscritto secoli fa da un parroco originario proprio di quella regione della Sardegna.
L'ultimo giorno del Novenario, la mattina del sabato che precede la prima di domenica settembre, la festa raggiunge il suo culmine.
Di prima mattina, dopo la celebrazione della messa nella Pieve di Santa Maria, una lunga processione di uomini di Cabras, con indosso solo un saio bianco cinto da una corda ai fianchi, e a piedi nudi, si snoda per le vie della cittadina lagunare e si dirige verso l'uscita del paese, dove la statua del Santo, dopo essere stata benedetta, viene affidata a “Is Curridoris”. Dopo l'invocazione del priore «Baxi, in nomin'e Deus» (“Andate, in nome di Dio”), alla quale tutti rispondono in coro «E de Santu Srabadoi» (“E di San Salvatore”), il simulacro, poggiato su una portantina coperta da un telo, viene trasportato a turno dalle centinaia di fedeli che corrono scalzi verso il piccolo villaggio. Una scia bianca di uomini, preceduti da un “curridori” che regge la bandiera con l'immagine di San Salvatore, corre in mezzo alla polvere portando con se il simulacro del Santo, per rinnovare ogni anno il voto fatto e rinngraziare il Santo per la liberazione dai Saraceni.
Pare infatti che le origini di questa particolare processione risalgano ad un periodo compreso tra il 1500 e il 1600, e siano legate ad una delle numerose incursioni barbaresche che atterrivano le popolazioni locali. Proprio durante uno di questi assalti i Cabraresi, riuniti per la festa attorno al santuario, avrebbero messo in salvo il simulacro di San Salvatore, correndo scalzi attraverso la campagna mentre alcuni di loro rimanevano ad affrontare gli invasori. La leggenda vuole inoltre che il polverone sollevato dalla corsa facesse credere ai Saraceni di trovarsi di fronte ad un potente esercito, tanto da indurli alla fuga. Da allora la corsa viene ripetuta ogni anno, in segno di devozione al Santo ed in ricordo dell'evento miracoloso. Recenti lavori di restauro sul simulacro di San Salvatore hanno inoltre permesso di datare la statua proprio in un arco di tempo corrispondente a quello al quale si fanno tradizionalmente risalire le origini della “corsa”.
Tale rito si mantenuto inalterato per secoli, benchè per alcuni anni all'inizio del '900 esso si sia svolto in una forma parzialmente diversa, sempre a piedi ma non di corsa. Si sa per certo, tuttavia, che a partire dal 1929 fino ad oggi non si è mai interrotto, nemmeno durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il piccolo villaggio rischiò di essere bombardato nel corso di una esercitazione militare. Fino agli anni '60, poi, i novenanti e coloro che si erano recati a San Salvatore in occasione della festa usavano lasciare il villaggio al seguito del Santo, cosicchè la processione de is curridoris che correvano con il simulacro di San Salvatore era seguita da un lungo corteo di carri che abbandonano il villaggio facendo rientro a Cabras al termine della festa. Tale usanza si è, in un certo senso, conservata fino ai nostri giorni, anche se oggi a far rientro a Cabras dietro al Santo è solo un carrello agricolo che trasporta i membri del Comitato che si è occupato di organizzare i festeggiamenti civili.
Ancora nella metà prima degli anni '70, inoltre, il numero di coloro che andavano “a pottai Su Santu” – “a portare il Santo”, come si diceva – era estremamente limitato: dalle 10 alle 20 persone.
Di prima mattina, dopo la celebrazione della messa nella Pieve di Santa Maria, una lunga processione di uomini di Cabras, con indosso solo un saio bianco cinto da una corda ai fianchi, e a piedi nudi, si snoda per le vie della cittadina lagunare e si dirige verso l'uscita del paese, dove la statua del Santo, dopo essere stata benedetta, viene affidata a “Is Curridoris”. Dopo l'invocazione del priore «Baxi, in nomin'e Deus» (“Andate, in nome di Dio”), alla quale tutti rispondono in coro «E de Santu Srabadoi» (“E di San Salvatore”), il simulacro, poggiato su una portantina coperta da un telo, viene trasportato a turno dalle centinaia di fedeli che corrono scalzi verso il piccolo villaggio. Una scia bianca di uomini, preceduti da un “curridori” che regge la bandiera con l'immagine di San Salvatore, corre in mezzo alla polvere portando con se il simulacro del Santo, per rinnovare ogni anno il voto fatto e rinngraziare il Santo per la liberazione dai Saraceni.
Pare infatti che le origini di questa particolare processione risalgano ad un periodo compreso tra il 1500 e il 1600, e siano legate ad una delle numerose incursioni barbaresche che atterrivano le popolazioni locali. Proprio durante uno di questi assalti i Cabraresi, riuniti per la festa attorno al santuario, avrebbero messo in salvo il simulacro di San Salvatore, correndo scalzi attraverso la campagna mentre alcuni di loro rimanevano ad affrontare gli invasori. La leggenda vuole inoltre che il polverone sollevato dalla corsa facesse credere ai Saraceni di trovarsi di fronte ad un potente esercito, tanto da indurli alla fuga. Da allora la corsa viene ripetuta ogni anno, in segno di devozione al Santo ed in ricordo dell'evento miracoloso. Recenti lavori di restauro sul simulacro di San Salvatore hanno inoltre permesso di datare la statua proprio in un arco di tempo corrispondente a quello al quale si fanno tradizionalmente risalire le origini della “corsa”.
Tale rito si mantenuto inalterato per secoli, benchè per alcuni anni all'inizio del '900 esso si sia svolto in una forma parzialmente diversa, sempre a piedi ma non di corsa. Si sa per certo, tuttavia, che a partire dal 1929 fino ad oggi non si è mai interrotto, nemmeno durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il piccolo villaggio rischiò di essere bombardato nel corso di una esercitazione militare. Fino agli anni '60, poi, i novenanti e coloro che si erano recati a San Salvatore in occasione della festa usavano lasciare il villaggio al seguito del Santo, cosicchè la processione de is curridoris che correvano con il simulacro di San Salvatore era seguita da un lungo corteo di carri che abbandonano il villaggio facendo rientro a Cabras al termine della festa. Tale usanza si è, in un certo senso, conservata fino ai nostri giorni, anche se oggi a far rientro a Cabras dietro al Santo è solo un carrello agricolo che trasporta i membri del Comitato che si è occupato di organizzare i festeggiamenti civili.
Ancora nella metà prima degli anni '70, inoltre, il numero di coloro che andavano “a pottai Su Santu” – “a portare il Santo”, come si diceva – era estremamente limitato: dalle 10 alle 20 persone.
A partire da tale periodo, però, la popolarità della festa è enormemente cresciuta, tanto che al giorno d'oggi il numero dei partecipanti si è assestato attorno agli 800 curridoris rendendo perciò necessaria una forma di organizzazione dei corridori in più gruppi, a loro volta suddivisi in varie “mudas” formate da tre uomini, uno col compito di portare la bandiera che precede la processione e altri due ai quali viene affidata la portantina che custodisce il Santo. L'organizzazione della processione e il governo dei vari gruppi che si alternano nel portare di corsa l'immagine di San Salvatore è affidata oggi ai corridori più anziani detti “prioris”.
Il rito si ripete poi nel pomeriggio della prima domenica di settembre, giorno della festa solenne, quando, al termine delle funzioni religiose e dopo la aver ricevuto la benedizione, la statua del Santo viene di nuovo consegnata a Is Curridorise portata via di corsa da San Salvatore fino a fare il suo trionfale ingresso a Cabras. Una volta giunti a Cabras, Is Curridoris, stremati, placano la loro corsa e si snodano, insieme ai fedeli, in una composta processione per le vie del paese, che culmina nella chiesa di Santa Maria Assunta, dove il simulacro del Santo verrà custodito per un anno intero, in attesa di far ritorno per altri due giorni alla sua chiesa a San Salvatore. La mattina seguente sarà infine la statuetta di Santu Srabadoeddu – la piccola immagine di Cristo che era giunta nel villaggio il primo giorno della Novena – a far ritorno a Santa Maria, accompagnata dalla processione delle donne, lasciando di nuovo deserto per un altro anno il piccolo villaggio del Sinis.
Il rito si ripete poi nel pomeriggio della prima domenica di settembre, giorno della festa solenne, quando, al termine delle funzioni religiose e dopo la aver ricevuto la benedizione, la statua del Santo viene di nuovo consegnata a Is Curridorise portata via di corsa da San Salvatore fino a fare il suo trionfale ingresso a Cabras. Una volta giunti a Cabras, Is Curridoris, stremati, placano la loro corsa e si snodano, insieme ai fedeli, in una composta processione per le vie del paese, che culmina nella chiesa di Santa Maria Assunta, dove il simulacro del Santo verrà custodito per un anno intero, in attesa di far ritorno per altri due giorni alla sua chiesa a San Salvatore. La mattina seguente sarà infine la statuetta di Santu Srabadoeddu – la piccola immagine di Cristo che era giunta nel villaggio il primo giorno della Novena – a far ritorno a Santa Maria, accompagnata dalla processione delle donne, lasciando di nuovo deserto per un altro anno il piccolo villaggio del Sinis.
Oltre ai riti religiosi durante tutto il periodo della festa hanno luogo nel piccolo villaggio anche numerosi festeggiamenti civili organizzati dal Comitato che presiede alle manifestazioni. Come da tradizione la notte del giovedì che precede l'inizio della Novena la piazza del villaggio si anima coi balli in piazza accompagnati dal suono dell'organetto, che coinvolgono sia i novenanti che i visitatori. Sempre i balli sardi segneranno poi la chiusura del Novenario, la notte della prima domenica di settembre. Ormai famosa, infine, è la Sagra del Muggine, che viene organizzata dal comitato la sera del sabato della festa.
Credo che almeno una volta sia interessante parteciparvi!
Grazie dell’attenzione.
Mario
Mario
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