lunedì, gennaio 06, 2025

ANTICHE STORIE (…MEGLIO DIRE LEGGENDE) DELLA SARDEGNA DEL PASSATO. TRA LE TANTE, ECCO QUELLA DI MARIA ORTIGHEDDA.



Oristano gennaio 2025

Cari amici,

La Sardegna è una terra ricca di leggende e storie popolari, che col passare del tempo, però, le nuove generazioni le hanno lasciate cadere nel dimenticatoio. Nella nostra antichissima terra, da sempre si sono tramandate di padre in figlio, quasi sempre oralmente, restando vive di generazione in generazione. Storie fantastiche: di fate e di streghe,  di giganti e di animali costruiti dalla fantasia, custodi di tesori straordinari, che, spesso, avevano pericolosi guardiani costituiti da pericolosi insetti malefici, come la fantasiosa “Sa musca macedda”. Erano fior di leggende, che servivano a tenere viva l'antica nostra tradizione, storico e solido patrimonio culturale millenario del popolo sardo.

Queste storie fantastiche in passato venivano raccontate dagli anziani, in particolare d’inverno, riuniti intorno al caminetto a scaldarsi, con i bambini attenti e curiosi, incantati ad ascoltare gli anziani; anche d’estate, in tarda serata dopo cena, ci si riuniva nell'ampio piazzale del “vicinato”, tutti in cerca di un alito di fresco venticello in quelle calde giornate estive. Ebbene, buona parte di queste storielle leggendarie, erano destinate ai bambini, in quanto, essendo queste intrise di mistero, e con protagonisti dei personaggi cattivi, erano capaci di intimorirli non poco.

Le storie fantastiche destinate ai bambini erano tante e con personaggi alquanto temuti. Tra le più famose ci sono quelle di Mommotti e de S’ammuntadori, di Maria Mangorofa e delle Janas, tutte storie molto suggestive e inquietanti. Ebbene, cari lettori, oggi voglio riportarvi una storia fantastica, anche se purtroppo dimenticata, di cui è protagonista una certa Maria Ortighedda. Questo personaggio fantastico, era molto temuto dai bambini, in quanto non tollerava i bambini disobbedienti, quelli che, seppure ammoniti sui comportamenti corretti da tenere, non rispettavano, come avrebbero dovuto, le regole stabilite in casa dai genitori.

Si, amici, oggi voglio riportarvi la curiosa storia di questa “MARIA ORTIGHEDDA”, che, nelle tradizioni della nostra isola, riusciva ad incutere ai bambini un grande spavento. Questa donna, a volte descritta come una vecchia, si aggirava per le campagne dell’Isola con indosso un grembiule munito di una grande tasca sul davanti. Il suo passatempo preferito era raccogliere le ortiche (di qui il nome di Ortighedda), che, dopo averle estirpate, collocava proprio nella grande tasca del grembiule, che risultava sempre piena zeppa di quelle pizzicanti piante capaci di irritare e e fa venire le bolle sulla pelle.

Questa misteriosa figura, sempre vestita di nero secondo la leggenda, era una donna di campagna dura e solitaria, che aveva un animo alquanto malvagio; lei, mentre si aggirava nelle campagne della Sardegna alla ricerca di ortiche, osservava, con malvagia curiosità, tutto il circondario. Mentre raccoglieva con cura le ortiche, mettendole nel suo grande grembiule, non appena vedeva nei dintorni un casolare, lo osservava con grande attenzione. Dotata di vista acuta e orecchie finissime, Maria Ortighedda era in grado di radiografare lo svolgersi della vita nel casolare; ne ascoltava le voci e i discorsi che vi si tenevano, osservando scrupolosamente il comportamento delle persone, in particolare quello dei bambini. Per Lei l’educazione dei bambini era ritenuta di importanza fondamentale, tanto che si raccontava che, se lei avesse sentito o visto un bambino disobbedire ai genitori, non avrebbe esitato ad intervenire!

Si, la leggenda racconta che, una volta che Maria Ortighedda, avesse per caso intravisto in un casolare un errato comportamento  dei bambini, senza esitare sarebbe intervenuta per sistemare la faccenda, ovvero punire il capriccio messo in atto. In questo caso lei afferrava i piccoli malcapitati, li infilava nella sua grande tasca, piena di ortiche pungenti, e li portava via con sé, con grande disperazione dei piccoli trasgressori delle regole familiari. Nemmeno a dirlo: i bambini di un tempo al solo sentire “Se non la smetti ti porta via Maria Ortighedda”, rinunciavano ai capricci e alle monellerie e iniziavano subito a rigare dritto! Amici, come accennato in premessa, la leggenda di Maria Ortighedda, figura inquietante temuta dai bambini, era stata inventata proprio per dare una mano ai genitori, che in questo modo potevano porre un freno alle intemperanze dei bambini. Insomma, un figura che, incutendo paura, serviva a spaventare quelli monelli, convincendoli a comportarsi bene. L’instillata paura di incappare nelle grinfie di Maria Ortighedda serviva da deterrente ai giovani intemperanti, che, seppure recalcitranti, si astenevano dal mettere in croce i genitori.

Amici, seppure i tempi siano cambiati, c’è da dire che anche allora i genitori (stiamo parlando dei tempi della civiltà contadina) erano alquanto stressati: il padre impegnato nel pesante lavoro dei campi, la madre nella gestione totale della casa, delle risorse e dei figli.  Gestire figli iperattivi era anche allora un grande problema! Certo, rileggere queste leggende oggi, nel Terzo Millennio, fa alquanto sorridere, ma, allo stesso tempo, ci fa riflettere: ci fa pensare che certe problematiche, specie quelle legate all’educazione delle nuove generazioni, non cambieranno mai! Ecco perché “Educare i figli era, è e sarà, un compito irrinunciabile dei genitori”!

Cari amici, come molte altre leggende popolari, anche quella di Maria Ortighedda rappresenta uno spaccato della vita e della cultura rurale sarda del passato, quando queste storie fantastiche avevano un importante ruolo educativo, e aiutavano a mantenere l’ordine e il rispetto all’interno della famiglia e della Comunità.  Certo, in modo molto diverso da oggi, ma mi domando: ERA MEGLIO IERI O OGGI? Risposta difficile....


A domani.

Mario

 

domenica, gennaio 05, 2025

QUANDO SI VIENE COLPITI DALL'IMMOTIVATA “PAURA DI USCIRE DI CASA”. LE NEGATIVE CONSEGUENZE DEL CHIUDERSI ALLE RELAZIONI SOCIALI RELEGANDOSI IN SOLITUDINE.


Oristano 5 gennaio 2025

Cari amici,

Che la specie umana sia stata creata da Dio per vivere una vita sociale, di relazione, è un realtà concreta e irrinunciabile, nota fin dai tempi della Creazione. La vita di relazione è basilare e indispensabile, ed è il motore del nostro vivere. La grande Oriana Fallaci ebbe modo di affermare che “Un uomo che non parla a nessuno e a cui nessuno parla, è come un pozzo che nessuna sorgente alimenta: a poco a poco l’acqua che vi stagna imputridisce ed evapora” (Oriana Fallaci).

Eppure succede! Sta capitando sempre più spesso che, sia uomini che donne, dopo una vita di lavoro, ad un certo punto decidano di fermarsi; insomma, smettono di essere attivi non solo nel senso di “estraniarsi dall’impegno lavorativo”, ma anche di chiudere con le relazioni sociali, relegandosi in casa a tempo pieno, occupandosi di nulla! In questo modo arrivano ad escludersi volontariamente dal contesto sociale, interrompendo praticamente ogni attività esterna e cancellando ogni contatto. I motivi che portano a questa triste decisione possono certamente essere diversi, a partire da quelli di natura depressiva. Il problema è che “Meno si esce da casa”, meno si vuole lasciare il proprio rifugio, e, di conseguenza, viene a cadere, arrivando a sparire, la voglia di uscire di nuovo. Persino le persone normalmente abituate a uscire, dopo un certo periodo di isolamento, maturano una sorta di pigrizia mentale, che le porta ad evitare di confrontarsi con l’esterno.

Ad entrare in questo temibile circuito di chiusura all’esterno sono in particolare gli anziani, che, decidendo di rinchiudersi volontariamente in casa, vanno incontro a pericolose conseguenze che minano seriamente la loro salute, condizionandone la vita, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Conseguenze negative che si possono così riassumere: in primis di salute: la ridotta esposizione alla luce solare comporta una riduzione dei livelli di vitamina D, preziosissima per gli anziani, a cui fa seguito la mancanza di stimoli di cui necessita il cervello, stimoli che derivano dai contatti e dalle relazioni sociali; ciò comporta un maggior rischio di solitudine interiore, che causa depressione e tristezza, oltre a sensazioni di ansia e paura. E questo non è certo tutto!

Secondo un’indagine effettuata dagli studiosi dell’University of Colorado at Boulder, infatti, la luce del sole ci serve per regolare i nostri cicli sonno-veglia, per cui l’abitudine di stare a casa, perdendo così i benefici della luce solare, può causare un aumento della possibilità di soffrire d’insonnia. Inoltre, chi sta a casa tutto il giorno trascorre molto più tempo in modo sedentario (ovvero seduto) per cui  vi è anche un aumento dell’obesità, oltre che fonte di ansia e di depressione. Per questo gli studiosi consigliano di stare all’aperto ogni giorno per almeno 45 minuti, preferibilmente nelle ore mattutine, e, se possibile, a contatto con la natura.

Amici, l’altro problema importante è dato dall’autoescludersi dalle relazioni sociali. La volontaria auto-reclusione, infatti, ha effetti alquanto negativi, meglio dire deleteri. La relazione sociale fisica è quella da privilegiare, in quanto anche l’utilizzo dei social network e in generale di Internet per parlare con familiari e amici, non sostituisce il contatto fisico, che, mancando, non fa altro che inaridire la relazione con gli altri (basti pensare all’effetto benefico di un abbraccio…), impedendo a chi abbandona la relazione fisica per quella virtuale, di godere appieno dei piaceri della vita.

Come accennato in premessa, rinchiudersi volontariamente in casa dando vita ad un vero e proprio “ritiro sociale” comporta conseguenze pesanti anche sul piano della propria “CURA DI SE”. Giorno dopo giorno, non avendo necessità di cambiarsi d’abito, come si fa normalmente quando si esce di casa, si tende a trascorrere  la giornata (e anche la settimana) con gli stessi vestiti, trascurando la propria immagine e anche la propria igiene. Senza il confronto con gli altri la conseguenza è che ci si trascura, arrivando a quel “lasciarsi andare”  che alla fine può nuocere anche alla salute. 

Cari amici, l’auto-recludersi in casa è assodato che è un atteggiamento fortemente negativo, e le cause, come accennato prima, possono essere alquanto diverse. Senza dubbio, comunque, sono, almeno in parte, di natura psicologica. Una Bassa autostima, la paura del mondo esterno, il timore delle relazioni sociali, sono tutti sintomi che, in particolare nell'età senile, possono portare alla volontaria reclusione. È un modo alquanto "sbagliato" di aver paura del mondo esterno, effettuato per non dover affrontare ciò che si trova al di fuori della propria casa, quasi che fuori ci sia il bosco coi lupi! È  triste, cari lettori, ma purtroppo ci sono quelli che scelgono questa strada sbagliata!

A domani,

Mario

sabato, gennaio 04, 2025

ORISTANO, CON I MOSAICI DELL’ARCH. A. LODDO, CERCA DI FAR RIVIVERE IL RICORDO DELL’ANTICA “PRATZA DE I BOIS” (OGGI PIAZZA PINTUS), UNA VOLTA DEDICATA AL MERCATO DEL BESTIAME.


Oristano 4 gennaio 2025

Cari amici,

Se è pur vero che il cambiamento, il rinnovamento, sono parte integrante dell’evoluzione del percorso di vita del genere umano, è anche vero che col passare del tempo nessuno dovrebbe dimenticare il suo passato, ovvero le sue radici, nel senso che non si dovrebbe mai scordare "chi siamo stati", in modo da vivere bene il presente e anche fare in modo di programmare al meglio il futuro. Le radici sono sempre importanti, sia nella formazione dell’uomo che nell’evoluzione del contesto dove operiamo, ovvero quello che noi abbiamo costruito nei secoli e nei millenni. Anche il rinnovamento delle città, dunque, dovrebbe sempre seguire questa regola, e le tracce del passato dovrebbero essere religiosamente conservate, per ricordare ai posteri lo stile di vita di quelli che ci hanno preceduto.

Oristano, purtroppo, non ha conservato molto del suo passato, nonostante la città abbia rivestito un’importanza strategica, in particolare nel periodo giudicale, tanto che oggi ben poco possiamo osservare del suo passato: dalle sue possenti mura, alle torri (unica sopravvissuta quella di Piazza Roma), oltre agli altri elementi del suo nobile passato. Non è mai troppo tardi, però, e, per quanto possa essere poco quello che ci è rimasto, questo dovrebbe essere orgogliosamente messo in evidenza e valorizzato, perché possa essere conosciuto e apprezzato dalle generazioni future.

Amici, ho fatto questa premessa per prendere atto che, seppure con grande ritardo, Oristano sta cercando di far conoscere alle nuove generazioni sprazzi del suo passato. Lo dimostrano i lavori in corso nel vecchio complesso di San Francesco, opera medioevale di valore posta a fianco della Cattedrale, edificio in parte poi requisito dallo Stato e diventato Distretto Militare, che, una volta dismesso, ora è in restauro; a seguire (seppure con non poche critiche) il rifacimento delle due piazze (Piazza Manno e Piazza Mariano), di recente riconsegnate alla città. Un altro punto storico che a breve verrà restituito rinnovato alla città è l'antica “Pratza de i Bois”, ovvero il luogo dove si svolgeva il mercato del bestiame, che era diventato il mercato di scambio più importante dell’isola. 

Dopo il lungo restauro del fabbricato, e la sistemazione della piazza antistante, a breve verranno realizzate delle "particolari opere", che dovranno ricordare alle nuove generazioni la sua originaria funzione di mercato del bestiame. A ricordare agli oristanesi ed ai visitatori l'antica funzione della Piazza saranno dei particolari mosaici, r
ealizzati dalla PRGT Restauri, dell’Architetto Antonio Loddo, mosaici che, collocati sui muri di recinzione del fabbricato confinante con la scuola di Via Marconi, non solo abbelliranno la piazza, ma, raffigurando gli elementi identitari del passato, ne celebreranno la storia.

A. Loddo nel cortile interno
Personaggio straordinario, l’Architetto Antonio Loddo, che, innamorato oltre che di Oristano e della sua storia, dell’arte dei mosaici, ha creato ad Oristano una eccellente scuola di formazione di quest’arte, tanto che da tempo realizza opere di grandissimo, straordinario valore. Su queste opere portate avanti dall’architetto Loddo ho già scritto diverse volte sul mio blog,
 in particolare nel 2018, in data 16 settembre e 4 novembre. Chi è curioso può andare a leggere quanto scrissi cliccando sui seguenti link:  http://amicomario.blogspot.com/2018/09/oristano-e-larchitetto-antonio-loddo.html, in settembre e http://amicomario.blogspot.com/2018/11/i-mosaici-dellarchitetto-antonio-loddo.html, in novembre.

Ora i mosaici di questo straordinario architetto arricchiranno anche i muri del fabbricato al centro dell’antica piazza-mercato del bestiame, luogo deputato alle lunghe trattative di compravendita; nella Pratza de is Bois, per la grande festa di Santa Croce, arrivavano numerosi personaggi del mondo agro-pastorale provenienti da tutta la Sardegna, che la riempivano all’inverosimile. Era una grande festa di popolo, con bancarelle, piene di ogni cibo di terra e di mare, con lunghe permanenze dei forestieri, tanto che venivano allestiti dei rifugi di fortuna, dove essi trascorrevano la notte.

A ricordare gli antichi fasti, ora, ci saranno i mosaici realizzati dalla scuola dell’architetto Loddo, che verranno posti, come accennato, sui muri di recinzione dei fabbricati confinanti con la scuola di via Marconi, e che raffigureranno elementi identitari che richiamano l’antica destinazione della Piazza. Si, dopo il centro storico e il quartiere di Su Brugu, anche piazza Pintus (Pratza de is Bois) sarà, dunque, presto abbellita dagli eccellenti mosaici identitari, completando così i lavori di riqualificazione della piazza.

Cari amici, conosco da molti anni l’Architetto Antonio Loddo. Lo conobbi quando lavoravo in banca, molti anni fa, e ricordo che si adoperò in tutti i modi, con grande caparbietà, per acquisire l’antica, storica casa posta in Via Diego Contini (che si affaccia anche sulla via De Castro), trasformandola in una meravigliosa abitazione (dove oggi vive), operando nel pieno rispetto della costruzione originaria, ripristinando in tutto e per tutto la sua antica destinazione di casa-fattoria, dove allora si preparava e si produceva tutto il necessario per vivere.

Amici, sul muraglione che racchiude la sua casa e il suo vasto cortile, (l'antico spazio interno dove ancora si trovano ben conservate parti delle mura della città giudicale), sono state inserite nel 2018 degli straordinari mosaici, con scene che riportano immagini della civiltà contadina: vi sono rappresentati carri trainati da buoi, cavalli, arazzi e scene di feste agresti, legate alla tradizione sarda, insomma, simboli della passata Civiltà contadina. Altri stupendi mosaici della scuola dell'architetto Loddo adornano oggi la città di Oristano: sui muri delle palazzine tra via Iglesias e via Caprera, le antiche “case minime”, con soggetti equestri che celebrano il profondo legame del quartiere con la Sartiglia, ed anche in altri punti della città. Amici, è anche grazie a questi stupendi mosaici, che il ricordo della grande Oristano, l'antica città giudicale che ha vissuto tante vite, può continuare a ricordare il suo passato, che non deve mai essere dimenticato!

A domani, amici lettori.

Mario

venerdì, gennaio 03, 2025

GLI SQUALI: GIGANTI MARINI TEMUTI MA PREZIOSI, IN QUANTO IL LORO RUOLO È INSOSTITUIBILE NELL'EQUILIBRIO ALIMENTARE DEL MARE.


Oristano 3 gennaio 2025

Cari amici,

Gli SQUALI, quegli enormi giganti marini terribili, forti predatori e razziatorida sempre sono stati considerati (a torto) dall’uomo pericolosi e da evitare, anzi, addirittura da eliminare! Eppure la loro presenza è indispensabile, e la loro possibile eliminazione sarebbe un grande autogol per l’umanità! Questi grandi predatori, infatti, svolgono un ruolo essenziale negli oceani, risultando addirittura fondamentali e insostituibili nel complesso sistema ecologico del mare. L’uomo, come dimostrano importanti studi sull’argomento, non può e non potrà mai fare a meno di questi giganti, perché la loro scomparsa sarebbe deleteria e altamente pericolosa per il futuro dell'umanità.

La loro presenza, infatti, risulta essenziale per il mantenimento dell’equilibrio alimentare nel mare, contribuendo non solo a regolare l’ecosistema, ma anche, seppure indirettamente, a dare una mano alla lotta al cambiamento climatico. Gli squali, infatti, svolgono un ruolo essenziale nel mantenere l’armonia e il funzionamento degli ecosistemi marini. Attraverso le loro abitudini alimentari, aiutano a controllare l’equilibrio delle altre specie di cui loro si nutrono, che, se lasciate indisturbate, potrebbero fare danni anche irreversibili, come ad esempio consumare eccessivamente LE ALGHE, vegetazione marina essenziale per la salute degli oceani. Inoltre, la loro presenza intimorisce le specie più piccole, allontanandole dai luoghi dove possono fare danno, impedendo così l’eccessivo sfruttamento delle diverse risorse marine.

Purtroppo, però, l’importanza dello squalo è alquanto sottovalutata dall’uomo, che, noncurante del loro prezioso servizio, è diventato il principale predatore di queste specie, tanto che il consumo di carne di squalo risulta, a livello globale, raddoppiato dagli anni ’90 ad oggi, a discapito della salute dei mari e anche della nostra. Secondo il Food Balance Sheet della FAO, nel 2017 circa il 3% del consumo totale pro capite di prodotti di pesca e acquacoltura è composto da squali e razze. Ma come ricorda il WWF, lo squalo non dovrebbe mai entrare a far parte della nostra dieta!

È triste constatare che nel mondo, ogni anno vengono uccisi fino a 100 milioni di squali e razze, tanto che alcune popolazioni ne risultano decimate. Oggi il 37,5% delle popolazioni di squali e razze nel mondo è a rischio di estinzione, con gravi conseguenze su tutto l’ecosistema marino. La sopravvivenza di queste specie a livello globale è minacciata soprattutto dalle abitudini di consumo e dalla elevata richiesta di carne di squalo, che alimenta un mercato globale di cui l’Italia è protagonista, e spesso questo mercato è poco trasparente e tracciabile. Tra il 2009 e il 2021, l’Italia è risultata essere il terzo più grande importatore di prodotti di squalo a livello globale!

Gli squali, amici, sono i veri ‘guardiani del mare’, in quanto svolgono un ruolo chiave nel mantenere l’equilibrio della rete alimentare marina. Devono perciò essere tutelati e trattati con cura e rispetto, e non dovrebbero essere mangiati! Anche perché, oltre ad essere a rischio di estinzione, possono essere un problema anche per la nostra salute, in quanto le loro carni sono spesso contaminate da sostanze tossiche. È necessario perciò porre un limite alla pesca eccessiva di squali e razze e al loro commercio massivo a livello globale, evitando di acquistare carne di squalo e prodotti derivati ma anche facendo formazione e dando la giusta informazione a pescatori, commercianti e autorità deputate al controllo.

Di squali ne esistono diverse specie, ma tutte necessarie per mantenere gli equilibri ecologici prima ricordati. Questo significa che più specie diverse di squali ci sono nell'immenso ambiente marino, più l’ecosistema è in salute e produttivo. Tuttavia, il prezioso contributo di questi pesci, indispensabile per mantenere in salute gli oceani, è minacciato da troppi fattori: dalla pesca eccessiva ai cambiamenti climatici, dalla perdita di habitat alle altre attività umane. Lo studio condotto dalla Florida International University (FIU) ha evidenziato, inoltre, come anche la dimensione degli squali debba essere un fattore chiave. Michael Heithaus, autore principale dello studio, ha sottolineato: "Gli squali svolgono molti ruoli diversi negli ecosistemi e alcuni di questi sono davvero importanti. Dobbiamo mantenere sia la diversità di specie, che le dimensioni degli individui. Ciò significa anche ricostruire le popolazioni gravemente danneggiate e capire come gli squali funzioneranno negli oceani che stanno cambiando a causa dello sfruttamento".

Cari amici, la triste realtà è che, nonostante la loro insostituibile presenza negli oceani, le popolazioni di squali in tutto il mondo continuano a diminuire: sono calate del 71% negli ultimi 50 anni, e le cinque principali specie di squali che vivono tra le barriere coralline hanno subito un calo del 63%. Questa riduzione drastica rende la tutela e il ripristino di questi predatori una questione prioritaria, soprattutto in un contesto di stravolgimenti climatici e di crescita dell’industria della cosiddetta “blue economy”, ovvero lo sfruttamento delle risorse marine attraverso la conservazione e le rigenerazione degli oceani. Michael Heithaus, l’autore dello studio prima riportato, ha così sentenziato: «Se vogliamo oceani sani, abbiamo bisogno di popolazioni di squali numerose e sane». Parole sante, anche se l’uomo, spesso, è sordo ai richiami…

A domani.

Mario

giovedì, gennaio 02, 2025

"PAESE CHE VAI, USANZA CHE TROVI". VITA DI COPPIA: IN GIAPPONE MARITO E MOGLIE DORMONO IN LETTI E STANZE SEPARATE! ECCO IL PERCHÉ.


Oristano 2 gennaio 2025

Cari amici,

In Giappone, la vita familiare e sociale ha stili di vita molto diversi dalla nostra cultura occidentale; sono "modi di vivere" appartenenti ad una filosofia orientale di antico rispetto, che si sono tramandati nei secoli e che, oggi come ieri, influenzano notevolmente il ménage familiare, tra cui, in particolare, le abitudini legate al riposo notturno delle coppie sposate, sia quelle con figli che senza. L’educazione in Giappone, a differenza del nostro stile di vita occidentale, enfatizza notevolmente l’indipendenza e la disciplina, che iniziano fin dalla più tenera età. In concreto, la cultura orientale ha sempre fatto sì che i rapporti tra uomini e donne mantenessero una certa separazione e riservatezza, anche dopo aver deciso di fare vita insieme. come nel matrimonio.

Parlando di coppie, come indicato in premessa, in Giappone buona parte delle coppie sposate dormono in stanze separate. A noi occidentali, a prima vista, questo può sembrare strano, in quanto nella nostra cultura il dormire insieme nel letto matrimoniale è la norma consolidata. Nel Paese del Sol Levante, invece, ragioni storiche e culturali hanno concepito questa pratica di separazione, come il frutto di un affascinante intreccio di tradizioni, valori sociali e psicologia individuale. Nella cultura giapponese, il letto  (FUTON) è considerato un luogo di puro riposo, separato dalle attività sessuali, che vengono spesso associate a luoghi ben diversi, come i love hotels o gli onsen (sorgenti termali). Questa separazione tra spazi di sonno e spazi intimi riflette un profondo rispetto per l'indipendenza individuale, la pulizia e l’igiene, che sono valori centrali nella società giapponese.

Questa particolare  tradizione orientale è confermata anche dal modello di casa giapponese, che è progettata con stanze multifunzionali, dove il  letto (futon), è concepito in modo particolare: viene riposto durante il giorno, trasformando la camera  da letto in una stanza pluriuso. Questa configurazione offre a ciascun membro della famiglia uno spazio proprio, anche nel riposo notturno. La divisione dei letti tra marito e moglie è vista come una pratica di corrente normalità, concepita nel pieno rispetto dell’altro.

Diverse sono le motivazioni che nella cultura giapponese hanno portato a questa separazione dei coniugi nelle ore del riposo. Una importante motivazione è derivata da quella separazione e riservatezza prima accennata; è il rispetto reciproco che impedisce di disturbare la qualità del sonno dell’altro. Ciò significa che un partner mal sopporterebbe il sentire russare l’altro a fianco, oppure disturbare il coniuge col sonno irrequieto, o con i calci in caso di incubi, ecc.. Di norma, quando si ha la possibilità, la coppia dorme in camere separate, oltre che in letti separati.

Altra valida motivazione deriva dal diversi orari di lavoro della coppia, nel caso lavorino entrambi. La reale autonomia, anche nel caso di possibili orari diversi tra i due (spesso gli impiegati fanno straordinari o tornano a casa tardi se ‘devono‘ andare a bere con i colleghi dopo il lavoro, in quanto questo stare insieme è motivo di forte aggregazione), creerebbe sicure problematiche. Se dormissero nello stesso letto, l’uno, rientrando dopo, trovando il coniuge addormentato lo sveglierebbe,  e, anche la mattina, se uno dei due deve alzarsi prima per preparare il BENTO (pranzo al sacco) per tutti in famiglia, infastidirebbe sicuramente l’altro.

Un’altra valida motivazione, in presenza di figli minori,  è che solitamente le madri giapponesi dormono con i figli quando sono ancora piccoli. Anche la scienza ha dimostrato che dormire insieme è consigliato per la qualità del sonno di entrambi. Così la mamma non deve alzarsi continuamente durante la notte se il pargolo piange. Inoltre, la vicinanza tra i due aiuta il bambino a mantenere una temperatura corporea e una frequenza cardiaca stabili nei primi mesi di età. Il distacco (l'inizio per il piccolo a dormire da solo), avverrà crescendo, e ciò aiuta il piccolo a maturare una migliore autostima e una più precoce indipendenza dalla famiglia.

Amici, è proprio vero che la cultura orientale differisce molto dalla nostra! La filosofia giapponese, che rispetto alla nostra concepisce una certa separazione e riservatezza nei rapporti tra uomini e donne, crea legami alquanto diversi dai nostri, anche se ugualmente forti. A dimostrarlo c’è il loro tasso di divorzi mediamente basso. In molti casi la coppia, pur essendo finita dal punto di vista amoroso e sessuale, continua a vivere nella stessa casa senza divorziare. E il dormire in stanze separate di certo aiuta! Li chiamano “divorzi familiari” e consistono nel mantenere formalmente solo l’apparenza di una coppia, sebbene i due coniugi siano ormai emotivamente distanti l’uno dall’altro.

Cari amici, questo millenario modello educativo applicato in Giappone, come accennato prima, parte dall’infanzia. Fin da piccoli viene fortemente enfatizzata l’indipendenza e la disciplina. I bambini sono incoraggiati a dormire presto da soli, maturando così quel senso di autonomia che li forgia e persiste nell’età adulta. Questo approccio educativo favorisce la formazione di individui autonomi e rispettosi degli altri, che, anche da sposati, sempre nel pieno rispetto l’uno dell’altro, non sentiranno quindi il bisogno di condividere (disturbandosi a vicenda) il loro spazio di riposo notturno!

A domani.

Mario

 

mercoledì, gennaio 01, 2025

I TERRIFICANTI ERRORI FATTI DALL’UOMO CON L’ADOZIONE DELLA “FILOSOFIA DELL'USA E GETTA”: PRODURRE, USARE POCO E GETTARE VIA...


Oristano 1° gennaio 2025

Cari amici,

Oggi è il primo gennaio del 2025: un nuovo anno che, ce lo auguriamo tutti, sia foriero di gioia, salute, serenità e PACE! Voglio iniziare le mie riflessioni di questo 2025 parlando con Voi di un problema sempre più serio: LO SPRECO! In meno di un secolo siamo passati dall’uso esagerato delle cose (...fino alla consumazione degli oggetti, che fossero utensili o capi d’abbigliamento poco importa), al suo contrario: usare poco (anche con il furbo sistema dell'obsolescenza programmata) e poi gettare via, anziché effettuare le necessarie riparazioni! Per fare qualche esempio pratico, parlando di abbigliamento siamo passati dal “Cappotto rivoltato” al capo, nuovo fiammante, gettato via perché non più alla moda, quanto agli utensili, invece, una volta non certo a base elettrica o elettronica, siamo passati dalle certosine riparazioni effettuate fino alla consunzione dell'oggetto, all’eliminazione del prodotto al primo intoppo nel funzionamento (che di norma avviene  non appena terminata la garanzia), creando un costo volutamente esagerato per la possibile riparazione in modo da convincere all'acquisto del nuovo.

In questo modo, giorno dopo giorno, non facciamo altro che "SPRECARE LE RISORSE", inquinando, forse in modo irreversibile il nostro pianeta, con tonnellate giornaliere di “rifiuti”, che vengono abbandonati in terra, in mare e in ogni luogo, in particolare nei Paesi sottosviluppati. Nel documentario di Netflix Buy Now - L'inganno del consumismo, l’ex Presidente di Adidas Eric Liedtke, l’ex Ceo di Unilever Paul Polman, l'ex Designer Amazon Maren Costa, e la stilista Chloe Asaam, hanno dialogato sul tema, rispondendo alle domande se era logico che tante cose ancora ben funzionanti fossero considerate obsolete, quindi da “gettare via”.

Domande alle quali, purtroppo, è difficile rispondere, in quanto presuppongono la ricerca e la successiva attribuzione di colpe: quali, quelle del venditore o del consumatore? Insomma, la pesantissima domanda che tutti dovremmo porci è questa: è proprio necessario gettare via le cose che con una semplice riparazione potrebbero ancora funzionare per molto tempo? Il cambio del cellulare perfettamente funzionante, per esempio, per acquisire l’ultimo modello, è giusto farlo? Oppure gettare via l’ennesimo paio di scarpe, la gonna o il pantalone, il maglione o la camicetta, perché magari il modello o il colore non sono ritenuti più di moda, è qualcosa da continuare a portare avanti?  Anche gli esperti hanno avuto difficoltà a rispondere a questi quesiti, in particolare la cosa più difficile è proprio l’attribuzione delle colpe, dato che oramai questo comportamento  generalizzato sta creando gravissime, negative ripercussioni sul futuro del nostro pianeta.

Si, amici, in particolare il concetto di “OBSOLESCENZA PROGRAMMATA”, creata dalle industrie di produzione, è una vera ignominia! E continua senza sosta. Dall’abbigliamento alle apparecchiature tecnologiche, la durata di ogni singolo prodotto è diventata sempre più breve; dai computer agli smartphone, dagli auricolari wireless agli elettrodomestici per la casa, tutto viene costruito in maniera sempre più sofisticata, con all’interno dei chips che bloccano, dopo un breve periodo (di norma appena finita la garanzia), il funzionamento; e, per scoraggiare la riparazione, i pezzi di ricambio necessari o non si trovano o costano praticamente quanto il prodotto nuovo.

Nel campo dell’elettronica di comunicazione, amici, la realtà è ancora più triste: quotidianamente nel mondo vengono «gettati via», seppure ancora capaci di continuare perfettamente a funzionare, ben 13 milioni di telefoni! Facendo un po’ di conti ciò significa che la vita di un telefono è calcolata, se tutto va bene, in circa due anni, mentre potrebbe funzionare almeno il quadruplo degli anni. Una pazzia, se pensiamo che, nella globalità, i dispositivi elettronici che ogni anno vengono rottamati sono almeno 50 milioni, in quanto, seppure funzionanti, i possessori se ne disfano per acquisire l’ultimo modello appena arrivato!

Il problema, amici, è però più serio di quanto appaia. A parte lo “SPRECO DI RISORSE”, abbiamo pensato “dove finiscono” tutti questi prodotti gettati via in quanto obsoleti? Una prima risposta è questa: finiscono, spesso illegalmente, nei Paesi sottosviluppati. Uno di questi Paesi è la Thailandia. Netflix ha intervistato Jim Puckett, investigatore dei rifiuti, che per anni ha seguito gli spostamenti degli scarti più tossici e più difficili da smaltire; in particolare le apparecchiature elettroniche, che dovrebbero seguire un chiaro percorso per lo smaltimento corretto. Investigazione fatta per capire in che modo vengono gestiti gli impianti di riciclaggio. L’indagine ha messo in luce che molto spesso nei container adibiti al trasporto dei rifiuti vengono lasciati dei contanti; il controllore di turno, dopo aver intascato i soldi, li fa comunque partire dal porto, solitamente quello di Anversa dove i controlli sono minori. In questo modo illegale i rifiuti elettronici vanno a finire all'estero, anziché nelle fabbriche di recupero dei materiali appositamente autorizzate, finendo per inquinare acque e terreni nei Paesi sottosviluppati.  

Uno degli elettrodomestici a cui Puckett aveva messo un geo-localizzatore è arrivato in Thailandia. Giunto sul posto l’investigatore ha scoperto un immenso giacimento di rifiuti RAE dove gli operai spaccavano i dispositivi a mani nude, liberando numerose sostanze estremamente tossiche. «Nessuno immagina cose di questo tipo quando progetta i prodotti, non ci sono meeting per gestire la fine del ciclo vitale di questi dispositivi» ha concluso Puckett. Basterebbe produrre questi prodotti con «maggiore intelligenza», facendo sì che siano «facilmente sostituibili e riparabili».

Cari amici, quella che ci troviamo davanti è una realtà tristissima, che in futuro potrà avere conseguenze ancora più drammatiche. Personalmente ho vissuto una realtà totalmente diversa: quella degli anni Sessanta del secolo scorso. Una realtà, già menzionata all’inizio, quando l’uso delle cose era totale, ovvero, si effettuavano tante riparazioni, fino alla completa estinzione dell'oggetto. Pensate si riparavano persino gli ombrelli! Ora siamo passati da un eccesso all’altro: quello dell'uso esagerato, praticato nel periodo della mia infanzia, e quello attuale, dello spreco generalizzato, per cui credo che,  con buona saggezza, potremmo utilizzare una terza possibilità, diciamo una “via di mezzo”, che sarebbe a mio avviso salvifica: un corretto uso di tutto, mai esagerato! Staremo bene tutti, e il mondo ne beneficerebbe davvero, in quanto sarebbe meno inquinato!

A domani.

Mario